“L’8 marzo si festeggia la giornata internazionale della donna, un momento dedicato al ricordo e alla riflessione sulle conquiste politiche, sociali, economiche del genere femminile.”
Le basi per iniziare a parlare della questione femminile furono gettati durante il Congresso della Seconda Internazionale Socialista che si tenne a Stoccarda nel 1907: venne votata una risoluzione in cui si impegnava a lottare per il suffragio universale. Qualche giorno dopo, venne fondato l’Ufficio di Informazione delle donne socialiste.
Nel maggio del 1908 Corinne Brown (presidente dell’Ufficio) presiedette, a causa dell’indisponibilità dell’oratore, la Conferenza Domenicale Socialista a Chicago, una conferenza a cui tutte le donne erano state invitate. Da li si iniziò a parlare di un Women’s Day.
L’anno dopo, nella manifestazione che il Partito Socialista Americano organizzò il 28 febbraio 1909 a sostegno del diritto delle donne al voto, ci fu un’intensa attivazione sul tema delle rivendicazioni sociali e in molte decisero di scioperare e scendere in piazza: chiedevano un aumento di salario e il miglioramento delle condizioni di lavoro. Così nacque la 1° Festa della Donna in America.
Nel 1910, le delegate americane proposero durante la Conferenza Internazionale delle Donne Socialiste di Copenaghen di istituire una giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti in rosa.
Nella Seconda Conferenza Internazionale delle Donne Comuniste del 1921 venne fissata la data dell’8 marzo per la Festa della Donna.
Si scelse la mimosa, la pianta che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, come simbolo e omaggio alle Donne.
L’8 marzo è un momento in cui tutti sono invitati a riflettere sui temi legati all’universo femminile, sulle grandi conquiste sociali e politiche legate alle pari opportunità ma anche per le discriminazioni e le violenze contro cui le donne continuano ad essere chiamate a combattere, come gli svantaggi professionali ed economici.
Ogni giorno in Italia 88 donne sono vittime di atti di violenza, una ogni 15 minuti. Più di 90 i femminicidi nel 2019. Dall’inizio del 2020 contiamo già 16 vittime. Sono tutte tragicamente diverse le storie delle donne uccise da mariti, ex e compagni. Sono anche tutte però tra loro molto simili. C’è quasi sempre un ultimo appuntamento, la decisione di lasciare il coniuge o il fidanzato, la mancata denuncia di tanti abusi subiti in passato. Le vittime di femminicidio si somigliano in questo: sono spesso donne giunte a chiudere un rapporto e uccise per questo no a uomini violenti.
L’ultimo Rapporto Eures che tratta il tema ‘Femminicidio e violenza di genere’, ha evidenziato come quello familiare sia l’ambiente dove viene commessa la maggior parte degli omicidi di donne. Oltre l’85% di questi delitti con vittime femminili vengono commessi per mano di partner, mariti e fidanzati. La casa, la coppia, si conferma come ‘luogo’ ad alto rischio. Nel 28% dei casi la violenza è preceduta da maltrattamenti come violenze fisiche, stalking e minacce. Per l’Eures, il femminicidio rappresenta “l’ultimo anello di una escalation di vessazione e violenze che la presenza di un’efficace rete di supporto potrebbe invece riuscire ad arginare”.
Dall’estate 2019 c’è il cosiddetto Codice rosso, una normativa che offre un percorso preferenziale e accelerato di tutela alle donne vittime di violenza. Ma occorre renderlo ancora più efficace. Come funziona il codice rosso contro i femminicidi?
Il codice rosso contro i femminicidi è certamente un passo avanti rispetto al passato, le donne devono essere sentite dal pm entro 3 giorni dall’iscrizione della notizia di reato. Sono stati introdotti reati come il revenge porn, cioè la diffusione illecita di immagini sessualmente esplicite, il matrimonio forzato e la deformazione del volto. Ma non è abbastanza. A ben pensare, per cambiare davvero qualcosa l’approccio deve essere culturale. Intanto il Senato ha votato all’unanimità la proroga della Commissione parlamentare di inchiesta sui Femminicidi.
Come ha ricordato il Presidente del Consiglio Conte: “La violenza sulle donne è anche un problema culturale ed è per questo che lavoreremo nelle scuole, tra i ragazzi e le ragazze, perché è da lì che deve partire il cambiamento. Bisogna sostenere percorsi educativi che contribuiscano a diffondere la cultura del rispetto. Rispetto che passa anche dall’uso delle parole, dal linguaggio. Sensibilizzando le famiglie, con il contributo di insegnanti ed educatori questa battaglia si può vincere. Le nuove generazioni devono essere migliori di quelle che le hanno precedute”.
FONTI: Internet
Sono principalmente moglie e mamma di due splendide ragazze ed ho la passione per la musica ma soprattutto per la lettura. Leggo di tutto romanzi, saggi, storici, ma non leggo libri nè di fantascienza né di horror.