
Romanzo
Salani Editore
giugno 2020
cartaceo, ebook
400

Questo romanzo non è solo uno squarcio su un periodo della storia russa, né è soltanto la storia straordinaria di un amore filiale forte come pochi nel panorama letterario contemporaneo. Zuleika apre gli occhi è la Storia nella storia, in una miscela talmente rarefatta e intensa da catapultarci fuori del tempo, fra antichi usi, sopraffazioni radicate, una suocera-arpia, un marito-despota e Zuleika-Cenerentola.
Difficile credere che dietro a questo osannato e pluripremiato romanzo-rivelazione ci sia una scrittrice esordiente, ma così è: al suo debutto letterario, Guzelʼ Jachina riesce nellʼintento di innestare nelle spire sovietiche di una Storia devastante come fu la dekulakizzazione degli anni Trenta del Novecento (con le sue centinaia di migliaia di deportati) la piccola – banale, ma esemplare – vicenda di una donna come tante. Altrettanto difficile è credere che possa averlo fatto con una scrittura che il romanzo storico, pur se sui generis, mai aveva conosciuto. Intima e distesa, la narrazione ricorda la voce calda e profonda dei ʼfuori campoʼ dei vecchi film epici; sapide e affilate, le descrizioni introducono in una realtà altra nel tempo e nello spazio senza nulla concedere allʼesotismo da cartolina; fresca nonostante lʼargomento rovente, agile nonostante il piombo degli eventi narrati, visiva, cinematografica quasi (e dalla cinematografia viene infatti lʼautrice), la scrittura offre con una leggerezza quasi straniante lʼorrore di ciò che accade.
In mezzo allʼorrore, tuttavia, si accende una luce: quella ‘bontà illogicaʼ, quellʼ‘umano nellʼuomoʼ che si ostina a sopravvivere anche là dove dellʼumanità sembra non restare più traccia.
“Zuleika è pronta per il viaggio. Si ferma sull’uscio e osserva la sua izba saccheggiata… Murtaza è ancora riverso sulla panca, con il mento aguzzo puntato verso il soffitto. Non guarda verso Zuleika. Perdonami. marito mio. Non ti lascio di mia volontà”
Il romanzo di cui vi voglio parlare oggi è ambientato nella Russia del XX secolo e ha come protagonista una donna di nome Zuleika. Sposata all’età di quindici anni con un kulak (contadino possidente) molto più grande di lei, Zuleika passa le giornate a lavorare in casa, senza sosta, dalla mattina alla sera, per far si che al suo uomo e alla vecchia madre di lui non manchi nulla. Silenziosa, a testa china, sopporta con rassegnazione quella suocera che per lei nutre un odio viscerale, e obbedisce a suo marito che ammira nonostante dalla sua bocca non sia mai uscita una parola buona nei suoi confronti, nonostante le sue mani non sappiano cosa siano le carezze. La vita non le ha regalato nulla, anzi, si è pure portata via le sue quattro bimbe subito dopo la loro nascita; ma Zuleika non si lamenta, convinta che l’avere un tetto sopra la testa e del cibo da mangiare sia quanto di meglio possa meritare.
Eppure la sua esistenza non è destinata a terminare tra le quattro mura della sua izba. Murtaza, suo marito, viene ucciso da uno dei soldati dell’Armata Rossa incaricati di requisire tutto il possibile in termini di cibo, bestie, e esseri umani dai villaggi della zona.
Ed ecco che Zuleika viene a forza sradicata dalla sua terra e deportata in Siberia. Nel lungo viaggio verso quel luogo sconosciuto scopre di essere incinta. Nonostante le difficoltà della vita nella taiga è proprio lì che lei, da ragazza spaventata qual’era ,si scopre madre, viva, e donna.
Circondata da estranei che diventeranno la sua famiglia, riesce a riscattarsi dalla sua condizione di sottomessa, ad imbracciare un fucile e diventare fonte di sostentamento per il nuovo villaggio creatosi dal nulla su quel lido deserto. E intanto il suo bimbo cresce e venti di una guerra lontana cominciano a soffiare minacciosi superando quelle acque che la separano dal resto del mondo….
Che bello questo libro! La scrittrice pare si sia ispirata alla vita della nonna nello scriverlo che, all’epoca di Stalin, ancora bambina, era stata deportata in Siberia dove ha vissuto in un villaggio di confinati. Al di là dell’ambientazione spettacolare, la cosa che più ho amato di questo romanzo è stata l’evoluzione della protagonista che, nonostante le condizioni difficili, nonostante tutte le sue insicurezze, ha messo un piede davanti all’altro e ha alzato la testa per amore di suo figlio e di se stessa. Zuleika vive per il suo Juzuf (suo figlio), ma questo non le impedisce di notare il suo carceriere dall’animo buono, Ignatov, che non riesce a vedere in quei deportati che gli sono stati affidati solo dei numeri.
Ignatov è il tipico uomo che all’esterno pare freddo e crudele, ma che ha un cuore che batte forte nel petto, nonostante la sua contrarietà. E quella ragazza spigolosa dagli occhi verdi riesce a conquistarlo senza fare nulla, a farlo innamorare nonostante lui affermi di non sapere cosa significhi amare. E il tempo passa, i capelli cominciano a imbiancarsi nella testa dei due protagonisti che continueranno a guardarsi con affetto, anche se da lontano, perché la vita a volte dà e a volte toglie, ma non riesce a piegare i cuori.
Viaggiando e vivendo con persone di diverso ceto sociale, lingua e fede, Zuleika si rende conto che il mondo è molto più vasto di quanto pensava; le persone che lo abitano sono diverse tra loro, ma questo non vuol dire che non possano convivere se c’è il rispetto reciproco. Certo ci sono i buoni e i cattivi, ma questo non dipende da dove si nasce o si cresce, ma da ciò che ognuno conserva nel suo animo.
Molti dei personaggi secondari che appaiono in questo romanzo mi hanno suscitato tanta tenerezza. Dal dottore eccentrico che mette a disposizione di tutti la sua arte senza chiedere nulla in cambio, all’artista nostalgico che dipinge con immagini del suo passato la volta del circolo, al piccolo Juzuf che, non avendo visto altro, crede che il mondo inizi e finisca nella taiga dove sua madre va spesso a cacciare, finché i dipinti del suo mentore non gli aprono la mente.
Pieno di sentimenti spesso inespressi “Zuleika apre gli occhi” riesce ad accarezzare le emozioni degli uomini e donne che lo popolano senza appropriarsene, lasciando al lettore la possibilità di assorbirle con tutte le loro sfumature. Io mi ci sono proprio tuffata dentro sin dal principio, capendo di avere tra le mani una storia che ha tanto da raccontare. Il mio consiglio è quello di leggerlo, il mio voto non può che essere il massimo per un libro come questo che metterò vicino ai classici nella mia libreria personale.
Sahira

Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…