narrativa
Self-publishing
novembre 2016
cartaceo
144
Ci sono dolori che non si possono né evitare né cancellare. Esistono. Possiamo solo affrontarli, e cercare di fare di tutto affinché non ci devastino. Ma talvolta ci vuole tanto tempo.
E non basta fare "come se" niente fosse successo perché la vita continui come prima. Perché, spesso, niente può più essere come prima, e si deve pian piano riuscire ad organizzare la propria vita in modo diverso.
“Vite Spezzate” è un libro che parla di sofferenza ma anche di speranza
Nell’avvicinarmi al libro dal titolo “Vite Spezzate“, ho dovuto farmi forza sapendo che l’argomento trattato non poteva non essere un racconto in cui il dolore avrebbe fatto la sua parte e avrebbe condizionato la mia giornata: demotivato da situazioni contingenti, più che di un narrato verso situazioni problematiche che avrebbero peggiorato la mia situazione umorale, necessitavo di qualcosa che desse uno stimolo positivo ai miei travagliati sessanta anni.
Nel tirare le fila di ciò che si è fatto, non si è mai soddisfatti e si cerca di lasciarsi dietro le spalle, gli avvenimenti negativi, vissuti sia personalmente, sia a livello familiare, sia a livello lavorativo. Ho tentennato qualche giorno prima di approcciarmi al libro; poi, apertolo con questa remora in testa, mi sono imbattuto nella seguente prefazione
Ci sono dolori che non si possono né evitare né cancellare. Ma si può tornare di nuovo alla vita, nonostante la sofferenza
Ho subito notato un seguito positivo che bilanciasse le azioni dolorifiche nelle quali ci s’imbatteva e mi sono incuriosito chiedendomi in che modo l’autore abbia potuto superare il momento melenso, appigliandosi come accade abitualmente alla religio o ad un suo aspetto interno o ad altro addentellato che emergesse tra le righe, ma che avrei scoperto solo con l’avanzare della lettura.
Non provenivo da nessun trauma, forse solo da un’estenuante insoddisfazione legata alla scrittura e, non sempre, ma solo nei casi in cui non riuscivo a mettere sulla carta i miei pensieri, tuttavia anche con tale situazione sulle spalle ho intravisto quel senso positivo dato dalla frase che prevede che si possa tornare alla vita.
Ho superato le prime cinquanta pagine del libro nelle quali si raccontano episodi di sofferenza vissuti su più piani e con diversi artefici e mi son detto: “l’autore ha una visione positiva dell’esistenza e anche quando si cade per situazioni obiettive poi, si può risalire e assurgere a nuova spettacolare visione del proprio vivere”.
Mi chiedevo a cosa si fosse appoggiato per dare un messaggio al lettore se non fosse stato la tradizionale rimessione nelle mani del Signore.
E sfogliando e leggendo, sfogliando e leggendo mi sono imbattuto in questa frase chiave:
Dormono de’ monti le vette e le valli
e i picchi e i burroni
e quanti esseri, che fogliano e che serpono, nutre la nera terra,
e le fiere montane e la schiatta delle api
e i mostri nei gorghi dell’iridato mare,
e dormono degli uccelli
i popoli, dall’ampio alare.
L’autore non poteva esser più chiaro: il suo messaggio di superamento del dolore faceva affidamento sulla natura. E, infatti, nell’opera ci sono il trasferimento dei personaggi dalla città in un borgo e il decantato appannaggio del vivere a contatto con i monti, i boschi, i ruscelli, la natura nella sua accezione più onnicomprensiva; il ritorno alle origini dell’umanità che si è ingentilita nella città e con l’industrializzazione e con il lavoro tecnologico, avulso da ritmi naturali.
Ecco che riemerge la natura incontaminata e tira le fila del discorso per lenire il dolore accumulato per aspetti legati alla civiltà che con la sua velocità e confusione porta anche a dei presupposti non troppo positivi. Positività che invece si ritrova nella natura e nella sua incontaminazione come verso qualcosa di stabile e di perenne in cui il creato non ha spazio come non ha spazio la religio che non è valutata e nemmeno citata per essere fuori dall’esempio che l’autore vuole portare ai suoi lettori.
Un altro punto valorizzato dal narratore è il fattore tempo che dà la possibilità alla vita di continuare tramite scelte oculate e incontri. Il tempo trascorso dall’evento cruento viene a creare presupposti per la diponibilità data agli uomini di incontrarsi e conoscersi e scegliersi. Per ablare le situazioni negative e per dare spago a organizzare nuovi eventi che hanno il loro fulcro con la nascita di nuovi soggetti. Si presentano nuove generazioni che non avranno in sé i presupposti dolenti, anche se questi ultimi sono parte integrante nei genitori, nel momento del compimento della loro esistenza. Il fattore tempo e le nuove generazioni sono i punti cardine contro le atrocità del dolore quale espressione del fatto traumatico che l’uomo può incontrare strada facendo.
La vicenda vede protagonisti un nonno con i nipoti, una donna separata e un uomo cui è defunta la moglie, che si ritrovano nel Matese dopo alterne vicende e si riuniscono e consolidano i rapporti anche facendoli diventare legali. Alla fine trionfano i nuovi nati nelle coppie dei cooprotagonisti.
Il libro, con le sue risposte chiare, ha intrigato quel tanto che basta per far scorrere le pagine con curiosità, al punto da non lasciarlo per nessuna ragione quando ho iniziato la storia e quando l’autore mi ha fatto l’occhiolino con la sua versione dei fatti che mi sembra intelligente e non la solita situazione legata all’argomento religioso o della pietas. La sua esaustiva convinzione del rispetto della natura è un argomento che possa svilupparsi con letture dello stesso tenore. Il tutto con una lettura piana, veloce, rapida e senza intoppi che facilita l’occhio quando scorre tra le righe.
Un libro da leggere senza dubbio alcuno.
Angelo Torre