antologia
Carta e Penna
18 ottobre 2019
cartaceo
64
“Nel libro di questo giovane scrittore il primo fattore che senza alcun dubbio emerge è un profondo pessimismo esistenziale di fondo. Dalla lettura si capisce che tutto ciò deriva da tristi vicende personali di vita vissute. Infatti si può constatare un notevole senso di malinconia ed un’assoluta tristezza, causata dalla perdita di persone care o da delusioni, capace di provocare un forte disagio interiore e psicologico, una grande disperazione, che sfocia talvolta in rabbia e talvolta in depressione.
Da qui non possono che scaturire solamente amare riflessioni e meditazioni sull’esistenza ed in particolare sulla morte. E interessante notare che spesso le sue considerazioni sulla vita si trasformano in tragedia non solo personale ma anche universale, toccando sentimenti che accomunano l’intera umanità.
Inoltre dalla lettura emergono una rara sensibilità ed una varietà di emozioni difficili da riscontrare in un autore così giovane. Per quanto riguarda lo stile è da sottolineare che è fluido, incisivo e forte e quindi ben comprensibile a tutti i lettori…”
“Ho freddo, poi caldo, i miei tessuti non capiscono che tipo di euforiche sensazioni mi stanno assalendo. Non ho voglia di pensare, tutto è perfetto, così speciale che non posso tornare indietro e non posso neanche andare avanti. Devo restare esattamente dove sono, con la monotonia e la bradicardia tutta e solo mia”
Sembra quasi una posizione di resa quella di Christian Olcese in Venticinque, una raccolta di pensieri che oggi recensiamo per voi.
A fare da padrone sono gli stati emotivi dell’autore. L’opera è molto personale e soggettiva. L’autore libera la sua mente e la sua “aorta” alla comunicazione di un sentimento, che quasi sempre è malinconico, nostalgico, sofferente. Una sofferenza, invero, molto dignitosa e abbastanza elegante.
Il contesto è fortemente pessimistico; non nascondo che in diversi momenti mi è quasi parso di ricordare i bellissimi versi di leopardiana memoria. Ma alcuni passaggi mi hanno fatto riflettere su questa tipologia di pessimismo “olcese”. Prima di tutto, si parte da uno status connesso alla realtà che circonda l’autore; una realtà che lui fatica ad accettare a causa del proprio vissuto. Dalla realtà si passa, poi, al ricordo: anche qui emerge la malinconia. Malinconia verso un amore che non c’è più; rabbia per le delusioni subite; insofferenza verso quei filtri sociali e superficiali che la società ci riserva. E dalla realtà si passa nuovamente alla dimensione personale, in cui stavolta l’autore si rifugia… come in un limbo in cui si sente al sicuro, ma in cui l’aria che si respira è fortemente drammatica.
Eppure, come dicevo, non mancano tonalità di colore nei pensieri di Olcese, che lasciano intravedere barlumi di speranza. L’esplosione di ciò si ritrova in Blu Speranza, il componimento di riflessioni che prende spunto dal famoso quadro di Pollock. Nel momento in cui si immerge nell’arte, l’autore si libera di ogni negatività e si abbandona alle immagini che vede rappresentate. E lo fa, nonostante tutto:
Provo ad entrare realmente nelle figure rappresentate dall’artista e comprendo che posso diventare tutto ciò che voglio, quando voglio e come voglio. Un enorme terremoto, ha scosso le mie delicate sinapsi concedendomi il vizio di immaginarmi in questo tormentato quadro.
Il terremoto che scuote la mente dell’autore è la rappresentazione dell’impatto che si ha, nel momento in cui si viene distolti dal proprio limbo per ritornare ad interfacciarsi con la realtà circostante. Alle volte si identifica con un ponte da scavalcare, ma il risultato è il medesimo: la tensione verso quella luce soffusa che può lenire la sofferenza e che, senza mai stancarsi, lo invita a continuare a sorridere, vivere e perfino volare.
Sono quasi arrivato, vedo la luce effimera che porta alla salvezza mentale, fisica e spirituale. Non manca
niente, ho tutto, perfino la coscienza pulita, tranne una sottile e rovinata matita, amica e compagna di viaggio da tutta la vita.
Il libro è suddiviso in brevi riflessioni, ciascuna con un titolo che rievoca lo status emotivo prevalente che caratterizza l’autore in quel momento. Sono pezzi di vita interiore che si susseguono e ci permettono di stillare una sorta di suo profilo intimistico.
Il linguaggio è abbastanza semplice e chiaro; l’intento dell’autore è comunicare ai più. Lo stile è forte, almeno nella componente pessimista dell’opera. La comunicazione con il lettore è diretta; non lascia spazio a libere interpretazioni. Christian Olcese comunica ciò che vuole trasmettere al lettore, senza lasciarlo in preda ai ma e ai se. Mi hanno colpita positivamente i riferimenti, che si ritrovano nell’opera, inerenti all’arte e alla letteratura, il che sottolineano una certa preparazione che è solo un merito per un autore così giovane.
Certo è che leggere uno scritto così drammatico e associarlo ad un giovane ragazzo, può lasciare interdetti. Ma è anche vero che i più grandi artisti, in ogni campo, hanno dato vita alla storia della musica, dell’arte, della letteratura proprio da uno status di decadenza dei sentimenti. Personalmente, mi piace pensare all’autore non come un malinconico e tragico scrittore, bensì come colui che ha un cuore sospiratamente agitato ma che continua incessantemente a pulsare.
Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.