
serie Bianca
autobiografia
Feltrinello
3 marzo 2022
cartaceo e-book
176

Da Kabul a Hiroshima, il racconto di una missione durata tutta la vita: «Non un'autobiografia, un genere che proprio non fa per me, ma le cose più importanti che ho capito guardando il mondo dopo tutti questi anni in giro».
«Dai ricordi, pubblicati postumi, emerge il ritratto di un uomo sempre in prima linea. Pronto a curare tutti.» – Ezio Mauro, la Repubblica
«Bisogna curare le vittime e rivendicare i diritti. Una persona alla volta.»
«Sono un chirurgo. Una scelta fatta tanto tempo fa, da ragazzo. Non c'erano medici in famiglia, ma quel mestiere godeva di grande considerazione in casa mia. Fa il dutur l'è minga un laurà, diceva mia madre, l'è una missiùn. Un'esagerazione? Non so, ma il senso di quella frase me lo porto ancora dentro, forse mia madre era una inconsapevole ippocratica.» Una missione che parte da Sesto San Giovanni, la Stalingrado d'Italia con le grandi industrie, gli operai, il partito, il passato partigiano. In fondo, un buon posto per diventare grandi. A Milano, nelle aule dell'Università di Medicina e al Policlinico Strada scopre di essere un chirurgo, perché la chirurgia gli assomiglia: davanti a un problema, bisogna salvare il salvabile. Agendo subito. Una passione che l'ha portato lontanissimo. Gli ha fatto conoscere la guerra, il caos dell'umanità quando non ha più una meta. In Pakistan, in Etiopia, in Thailandia, in Afghanistan, in Perù, in Gibuti, in Somalia, in Bosnia, dedicando tutta l'esperienza in chirurgia di urgenza alla cura dei feriti. Poi nel 1994 nasce Emergency, e poco dopo arriva il primo progetto in Ruanda durante il genocidio. Emergency arriva in Iraq, in Cambogia e in Afghanistan, dove ad Anabah, nella Valle del Panshir, viene realizzato il primo Centro chirurgico per vittime di guerra. Questo libro racconta l'emozione e il dolore, la fatica e l'amore di una grande avventura di vita, che ha portato Gino Strada a conoscere i conflitti dalla parte delle vittime e che è diventata di per se stessa una provocazione. In ognuna di queste pagine risuona una domanda radicale e profondamente politica, che chiede l'abolizione della guerra e il diritto universale alla salute.
Questo libro mi ha distrutta. Già dal titolo, Una persona alla volta, ho visto cadere le mie barriere e perdermi fra la frustrazione, l’impotenza, l’incredulità e la rabbia che vi avrei trovato. E mi sono addentrata nella lettura sostenuta dall’idea che mio padre da lassù avrebbe sorriso vendendo il mio interesse e il grande rispetto che avrei portato alle parole di Gino Strada; e così sono arrivata alla fine con il cuore in mano e lo stomaco contratto, e con una grande voglia di gridare al mondo che questo è un libro che si deve assolutamente leggere.
“Gino sentiva il bisogno continuo di disegnare orizzonti nuovi verso cui andare. Che si trattasse di costruire un centro di maternità in Afghanistan, dove le donne non avevano diritti sul loro corpo, o di pensare all’abolizione della guerra, non si tirava mai indietro. Non lo scoraggiava essere definito un utopista perché era convinto che nessuna destinazione sia raggiungibile per chi inizia a mettersi in cammino. Il punto di partenza era sempre lo stesso: la difesa della dignità dell’individuo contro la sopraffazione del potere. Era questa la sua forma di resistenza“
Ho riscritto questa recensione tre volte, per capire bene quale fosse il limite del raccontare un testo e esaltare il suo messaggio; ma alla fine mi sono detta che, trattenendo quello spirito istintivo che mi caratterizza, non avrei mai potuto distinguere fra le parole scritte e il significato che volevano mandare.
Perché questo libro, perché “Una persona alla volta”, non è esclusivamente l’autobiografia di un uomo, ma è anche, e soprattutto, il suo pensiero. Sono anche e soprattutto i sacrifici, il sudore, le lacrime e le rinunce di un medico cardiochirurgo che ha fatto in équipe il primo trapianto di cuore in Italia; che ha studiato nelle più importanti università italiane e statunitensi, per poi mollare tutto per salvare le vite dei più poveri. Perché quel bambino di Sesto, prima laureato in famiglia, figlio di genitori semplici ma dignitosi, ha voluto cambiare la sua vita e metterla a disposizione dei fragili. Degli indifesi. Dei dimenticati. Delle vittime.
“L’importanza del lavoro, la dignità, la solidarietà verso i vicini, l’dea di far parte di una comunità e che quindi in qualche modo alla comunità si dovesse rendere conto dei propri comportamenti erano pane quotidiano a casa mia” – Una persona alla volta
E allora come si può scindere una semplice recensione da tutto quello che solo il nominare Gino Strada mi provoca?
Come si può leggere ogni pagina, ogni frase, senza esserne assolutamente travolti?
Non lo so. E ho segnato davvero tanti aneddoti, tante parole di questo libro, che ho avuto una gran difficoltà nello sceglierli e riportarli.
Su cosa mi sarei dovuta soffermare, sulla nascita di Emergency?
Sull’assurdità delle motivazioni per iniziare una guerra?
Sull’Iraq, la Siria, la Sierra Leone o lo Yemen?
Sulla costruzione del primo ospedale di cardiochirurgia in Africa o della terapia intensiva in Afghanistan?
Perché Gino Strada parla di tutto questo, racconta tutto questo; ed io, di fronte a tanto aiuto, a tanto amore per il prossimo, a tanta solidarietà, non ho potuto che fare un passo indietro e chiudere gli occhi.
E mi sono immaginata Gino Strada, sua moglie Teresa, la loro figlia Cecilia, e tutti i grandi collaboratori che gli sono rimasti al fianco per anni, che si sbattono per migliorare anche le parti del mondo dimenticate da tutti. Dimenticate dai grandi del mondo, dai potenti. E ho immaginato Simonetta, altro grande amore dopo la morte prematura di Teresa, che si commuove finendo questo libro che Gino non è riuscito a terminare. E mi commuovo anche io.
“Rileggo queste pagine e mi chiedo perché le ho scritte. Forse per far contento l’amico Carlo Feltrinelli, che voleva che scrivessi un’autobiografia, o perché queste sono le radici che mi hanno tenuto saldo ovunque sia andato nel mondo: l’antifascismo, la politica, la militanza, la passione per la medicina”
Aggiungerei anche per far capire bene che la stragrande maggioranza delle vittime delle guerre sono civili, e molti di questi bambini. Che speravano in un futuro migliore, che sarebbero potuti diventare qualcuno; che sono stati figli di qualcuno, la ragione di vita di qualcuno, che avrebbero potuto essere i nostri di figli.
Chissà che direbbe Gino Strada vedendo la situazione che stiamo vivendo ora?
Chissà cosa avrebbe pensato se non fosse venuto a mancare il 13 agosto dell’anno scorso.
Lo so, questa più che una recensione sembra un tributo a questo uomo per cui provo una stima immensa, e che penso abbia davvero dato al mondo più di quello che riusciremo mai a sapere.
Ed allora non posso che finire con la frase di un cantante che adoro, che stimava Gino come me, Caparezza:
“Qua l’unica strada che insegna qualcosa è la figlia di Gino”.
Un po’ provata, ma molto grata, vedo le radici del pensiero di Gino Strada, delle sue convinzioni e dei suoi valori continuare a crescere in quelli che lo hanno amato e vissuto; e sorrido pensando che quando l’altro giorno ho chiesto a mio figlio cosa volesse diventare da grande lui non mi ha risposto l’astronauta, il pilota o il calciatore, ma Gino Strada!
Forse da grandi non dovremmo diventare qualcosa, forse dovremmo diventare qualcuno; e diventare qualcuno che spende la sua vita per gli altri sarebbe davvero un grande onore.
Il contributo ricavato da questo libro verrà devoluto interamente ad Emergency.

Appassionata di lettura e scrittura fin da bambina, ho scritto e pubblicato quattro libri. Moglie e mamma, passo le mie giornate ad inventare storie d’amore per emozionare chi le leggerà.