
Narrativa
Mondadori
7 settembre 2021
Cartaceo e eBook
156

Com'è che, dopo un'infanzia passata a sognare di diventare calciatore, astronauta o magari avvocato o filosofo, uno si ritrova a fare l'infermiere nella corsia di un ospedale? Sandrino – detto Saetta perché nessuno è veloce come lui ad accorrere al letto dei ricoverati – se lo chiede ancora oggi, dopo tanti anni trascorsi a galoppare su e giù per i corridoi dei vari reparti, richiamato dal suono insistente dei campanelli con cui i pazienti esigono le sue attenzioni, giorno e notte. Già, la notte... le ore che tutti attendono per abbandonarsi al riposo sono per l'infermiere, esattamente come per il navigatore solitario, il momento più difficile: quello in cui si percepisce tutta la solitudine e la responsabilità di non poter lasciare la barca ingovernata. Ma per Sandrino sono anche l'occasione per far spazio ai ricordi più esilaranti, drammatici o commoventi che hanno costellato la sua carriera, iniziata come ausiliario delle pulizie – parola d'ordine: «Saetta, vada a cambiare il 23!!» – e coronata dal diploma di infermiere, il vero passaporto per entrare nel mondo della medicina. Nel divertente racconto di Sandrino – che ha una inspiegabile quanto fortissima somiglianza con Giacomo Poretti – sfilano personaggi d'ogni tipo, dal medico di turno restio a farsi svegliare nel cuore della notte, e quindi soprannominato «Brandina», al paziente che si attacca al campanello perché gli si è informicolata una gamba oppure perché si sente solo e vorrebbe fare una partita a briscola. Ma in queste pagine c'è posto anche per la tenerezza verso chi soffre e spesso ha paura, e soprattutto per la riflessione sulla condizione umana che ci espone alla malattia e al dolore, riflessione che induce Sandrino a incalzare l'Amministratore Delegato dell'Universo (o chi per lui) con mille domande e dubbi su tanta ingiustizia. "Turno di notte" è un romanzo fatto di mille personaggi meravigliosi – suore, infermieri, pazienti, dottori – alle prese con tutte quelle piccole cose e quelle questioni enormi che sono il sale delle nostre giornate. Con la leggerezza profonda che lo contraddistingue, Giacomo non solo ci racconta una storia, fatta di tante storie che ci fanno ridere e piangere, ma riesce, senza dare troppo nell'occhio, a farci pensare. Alla malattia, alla cura, alla paura e alla speranza: insomma, a quella cosa esaltante, spaventosa e inesplicabile che chiamiamo vita.
Qualche settimana fa, ho avuto l’occasione di partecipare alla serata di presentazione del libro “Turno di notte”, scritto da Giacomo Poretti per Mondadori.
Poretti, famoso per essere “il 33,33 % del popolare trio Aldo, Giovanni e Giacomo”, ha lavorato per undici anni come ausiliario e poi come infermiere presso l’ospedale di Legnano, in provincia di Varese.
In questo libro, attraverso la narrazione di Sandrino, detto Saetta perché “nessun infermiere è veloce come lui ad accorrere al letto dei ricoverati”, ci racconta, con ironia ma anche “sofferenza”, la propria esperienza.
Notte.
Eccomi qui, in quel punto della notte esattamente a metà strada fra il tramonto e l’alba, in quel punto equidistante dalla realtà e dall’insensatezza, verso le 3 tanto per intenderci: l’ora in cui non ci si sveglia mai perché è quel tratto del sonno dove si è completamente assenti a se stessi, come morti, ma non per davvero.
L’autore ha saputo scrivere di argomenti non sempre semplici, in quanto i protagonisti sono la sofferenza, la malattia e la morte. Eppure la sua bravura nell’alternare attimi seri, sofferti e commoventi con passaggi più ilari e divertenti permette al lettore un approccio più semplice ai drammi che vengono comunque raccontati.
Il mio nome è Sandrino, ma tutti in reparto mi chiamano Saetta perché quando suona il campanello di un ammalato un secondo dopo io sono di fianco al suo letto.
Se di notte suona un campanello, l’unico modo per zittire quel rumore assordante è correre nel minor tempo possibile nella stanza dove c’è un interruttore di spegnimento. La sala medica dove stazionano gli infermieri è posta a metà del reparto: la camera più lontano dista 25 metri e io ci impiego otto secondi da quando parte il primo squillo a ripristinare il silenzio. Se passassero altri due secondi, metà degli ammalati si sveglierebbe, e poi sarebbero dolori. Per l’infermiere.
Alcuni capoversi sono scritti in corsivo. Sandrino parla con una “persona” come farebbe con un amico, con affetto, ponendogli delle domande. Chiede perché i bambini debbano soffrire, chiede perché invecchiamo ecc. E, nel prosieguo della lettura, risulterà chiaro chi è la figura misteriosa.
Gli argomenti trattati sono vari, come ad esempio la difficoltà di comunicazione tra infermieri e medici a causa del linguaggio troppo forbito di questi ultimi. L’autore descrive la sua vita in ospedale quasi fosse l’allievo di una scuola di sopravvivenza con a capo le suore, figure ormai scomparse all’interno dei nosocomi.
La descrizione del lavoro degli infermieri, di quello che c’è “dietro” le quinte dell’ospedale, cose che a noi profani sono perlopiù sconosciute, ci fa capire cosa vuol dire lavorare in Ospedale e cosa vuol dire essere al cospetto della malattia tutti i giorni.
Una “spiegazione” di un’occupazione che non è lavoro in senso stretto, ma possiamo considerarla una “missione”. Poretti cerca di trasmettere questo concetto non solo ai non addetti ai lavori, ma soprattutto agli infermieri stessi.
“Turno di notte” è un racconto che strappa qualche sorriso, ma che soprattutto fa riflettere. Un regalo perfetto per l’amico/a infermiera, ma anche per chi non lo è.
Nei miei ormai undici anni di lavoro in ospedale e facendo i turni 6-14, 14-22, 22-6, ho visto migliaia di aurore, di albe e di tramonti.
Dicono che la notte appartiene agli artisti, ai balordi, ai perditempo, alle prostitute, al divertimento, ai balli, allo sballo.
No: la notte appartiene agli infermieri. Solo loro ne conoscono il mistero, loro che vegliano a pochi metri dal dolore, loro che sentono i passi della morte che si affaccia curiosa nelle stanze, loro, i soldatini della speranza che non chiude mai gli occhi.

I molteplici impegni famigliari (ho due figli stupendi oltre ad un marito e a un cane) mi hanno sottratto per un lungo periodo ad una delle mie più grandi passioni: la lettura (oltre alla pallacanestro -amore questo condiviso con mio marito, allenatore, e mio figlio, arbitro, che ci ha portato a creare una nostra società dove ricopro il ruolo di presidente). Ora complice un infortunio che mi costringe a diradare i miei impegni fuori casa (non posso guidare) sono “finalmente” riuscita a riprendere un libro in mano! Il fato, insieme ad un post di Kiky (co-fondatrice de “La bottega dei libri” che conosco da oltre 20 anni) pubblicato su Facebook han fatto sì che nascesse la mia collaborazione con “La bottega”, collaborazione che quotidianamente mi riempie di soddisfazione.