
raccolta
Il ramo e la foglia Edizioni
2021
cartaceo

Il monologo è un racconto da parte di una voce sola, che porta e conduce in sé molte voci. È una scrittura che esce dal silenzio della pagina provando di dove s'è originata: e si consegna all'orecchio che sente e vede mentre ascolta.
Questi tre monologhi raccontano di tre persone singolari, ne traversano le giornate, ne rivelano le forze e le fragilità, le verità e le contraddizioni. E prima che onorarne gli straordinari talenti e le opere affidate alla durata della poesia, ne tracciano i passi e i pensieri nella luce della confidenza, nella grazia di un affetto che nemmeno si nega alla spietatezza come forma estrema di vicinanza. L'autore di questi racconti ha più volte scritto di Sandro Penna, di J. Rodolfo Wilcock, di Elsa Morante, ma ogni volta, e come per la prima volta, sa di assolvere a un impegno che è quello di scioglierli dalle nebbie della propria memoria e di chiamarli a sé vivi e pressanti.
Così Penna interroga la propria fanciullezza mai domata dal tempo e ancora si chiede e chiede un'impossibile felicità; Wilcock intesse le sue strabilianti mostruosità vagando fra stanze ombrose e paesaggi pencolanti negli abissi; Elsa Morante cammina per le strade di Roma recando nei gesti e nelle parole i fantasmi cari e dolorosi delle sue narrazioni. Tre vite segnate da un destino d'arte e da una indomabile passione espressiva, tre vite diverse e uguali nelle giornate di tutti.
E qui - per cenni e per frammenti - si mostrano.
Credo sia complicato per un autore, ma per un comune mortale in generale, far parlare, tramite la propria penna, personaggi di un certo peso realmente esistiti e poco conosciuti nella loro interiorità. Si rischia di stravolgere quello che è stato il loro Io più intimo e di dare al lettore un’immagine diversa di un artista che fu. Elio Pecora, in “Tre Monologhi” non ha commesso questo errore.
Il libriccino si divide, appunto, in tre parti. Dopo la Prefazione iniziale di Marco Lucchesi, che prepara psicologicamente ed emotivamente il lettore alle scene a cui assisterà da spettatore quasi corale, si avviano i singoli monologhi. Elio Pecora pone al centro del palco, uno alla volta, Sandro Penna, Juan Rodolfo Wilcock ed Elsa Morante. Artisti diversi tra loro per vita, opere e stile, ma con in comune una ermetica interiorità. La memoria, l’arte, l’Io qui si intrecciano e danno vita alla rappresentazione della vita, recondita e mai comunicata, ma evidentemente ben carpita dall’autore, che con loro ha avuto la fortuna e l’onore di rapportarsi.
Avete già una vostra preferenza tra i tre?
Seguendo l’ordine del copione realista, il palco diventa una stanza con un letto, sedie piene di libri, un baule, una Olivetti, cassette musicali e un manometro. Un uomo inizia a ripercorrere la propria vita nei suoi tratti salienti: le persone che lo hanno colpito e segnato, la famiglia, la guerra, l’insonnia, la vecchiaia, l’amore, la sofferenza, il rapporto con la scrittura.
L’atmosfera è cupa, ma intensa, così come intense sono le sue opere, stranamente intrise di amore, di luce. Sandro Penna è stato tutto ciò e leggere le parole e i pensieri che Pecora gli attribuisce dà l’impressione che lo scrittore sia ritornato dall’altra vita per, finalmente, raccontarsi. Per spiegare al mondo che, al di là di tutto ciò che si vedeva di lui dall’esterno, la parola chiave per capire era “osservare”: osservare il suo cuore, custode delle nostalgie e delle amarezze della vita, dell’amore perduto, della madre assente seppur ritrovata.
La scena cambia e qualcuno inizia a proiettare spezzoni di vita di un artista definito “insolito”, volutamente estraniato dal mondo e in continua polemica con esso. Wilcock non ha mai accettato la realtà in cui è vissuto: le sue opere sono chiare a riguardo.
Distorcere la realtà, renderla goffa, stramba, fantastica fino all’incredibile, anomala era il suo mestiere preferito. Solo così poteva denunciare velatamente e con l’amaro riso il suo secolo fatto di “rovine e rifiuti”. Eppure un grido di bisogno di affetto si intravedeva in lui; ed emblematica e fortemente simbolica è la descrizione che Pecora fa fare al narratore della morte di Wilcock.
L’atto finale si pregna di emozione: si pone davanti allo specchio Elsa Morante. La poetessa si denuda: lo spettatore la osserva nell’attimo in cui ripercorre le tappe della propria interiorità. La solitudine, il perenne senso di infelicità che più il tempo scorre e più si acuisce, le continue domande fatte a se stessa per cercare di trovare un senso ad un’esistenza che, evidentemente, un senso non vuole averlo.
Il lettore, in “Tre monologhi”, entra in contatto con tre personalità che, seppur non comunemente citate dai libri di letteratura novecentesca, hanno lasciato, in essa, un segno. Il monologo diventa un dialogo: ci sono il protagonista che si esprime, il lettore che lo ascolta, Elio Pecora che mette insieme tutti gli elementi della scena e spinge l’Io dell’artista ad uscire. Tutto questo si svolge a mo’ di scena teatrale: ogni monologo è preceduto da un’introduzione che crea l’habitat in cui il lettore deve immaginarsi prima Penna, poi Wilcock, poi Morante. Si passa, poi, al monologo vero e proprio che sembra quasi rimbombare tra le pagine. Si arriva, infine, alla conclusione della scena e alla chiusura di un sipario che, in realtà, vorrebbe solo rimanere immobile, tanti sono i sentimenti che ribollono sul palco.
Lo stile di Pecora, in “Tre monologhi”, cambia a seconda di chi prende la parola: discorsivo, strutturato per punti, fluido. Il fil rouge è la struttura teatrale, onnipresente e insita nell’estro letterario dell’autore.
Il linguaggio è aulico, ma senza sfociare nella selettività. Perfettamente in linea con gli scrittori che si svelano, o vengono svelati. L’opera la riterrei “atemporale” e “aspaziale”: va al di là del tempo e dello spazio, non categorizzabile nel quanto e nel dove. Una sorta di universalità che aleggia tra ogni riga. E con tali nomi con cui discorrere, non potrebbe essere altrimenti!

Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.