
romanzo contemporaneo
Rossini Editore
14 dicembre 2023
cartaceo
228

Marco apre gli occhi, ormai sempre più spesso alle 4:30 del mattino. La routine lo assale fino a diventare angoscia. Quello che vive in maniera ciclica è talmente ripetuto che diventa una malsana e piacevole abitudine: nascondersi in pensieri intrusivi.
L’incontro notturno con il tassista Maksim aiuterà Marco a orientarsi tra passato e presente, facendo i conti con la spirale proustiana di eventi che si intersecano e si palesano sottoforma di attacchi di panico e dolori mai affrontati, divenuti cemento di un malessere che ha paura anche solo a citare.
“Scrivi solo per te stesso, scrivi ciò che vorresti leggere tu come se ciò che scrivi mai nessuno dovrà leggerlo e magari sarà così, magari mai nessuno metterà le mani sulle tue passioni, magari rimarranno un mero esercizio terapeutico per sentire quel brio emozionale, ma è quella la sostanza della scrittura, il bisogno che quando è primordiale è solo tuo”. Potrebbe concludersi qui la recensione di oggi. Un libro che riesce in questo obiettivo, è completo sia per il suo autore che per il lettore. Se poi ci soffermassimo sul consigliere che ha pronunciato queste parole, il punto fermo sarebbe d’obbligo. Ogni altra parola sarebbe superflua. Ernesto D’Ambrosio, con il suo “Taxi Therapy”, credo proprio ci sia riuscito.
Esordiente, l’autore non so se immaginava, nella sua vita, di diventare, tra le tante cose che scoprirete durante la lettura, anche uno scrittore. Eppure, il maestro ce lo ha ricordato: “scrivi solo per te stesso”. Scrivere per se stessi non vuol dire avere il sogno di diventare scrittore, ma mettere su carta ciò che si ha bisogno di comunicare.
Il protagonista di “Taxi Therapy” non sente la necessità di comunicare. Questa auto-maieutica gli è stata imposta perché scrivere, si dice, sana l’anima. E lui, all’inizio forse inconsapevolmente, ha bisogno di sentirsi sano. La routine quotidiana, il sentirsi un’automa che dice e fa solo perché così si deve dire e fare, l’allontanamento dal nido familiare, l’ascesa nel lavoro, la quotidianità di una città che vive davanti a te senza preoccuparsi se tu vivi insieme a lei… forse ci ammalano. E, quindi, la terapia è necessaria: appuntare su un diario i suoi pensieri per superare i retro-pensieri. Insomma, un racconto che può essere autobiografico, ma anche biografico di ognuno di noi.
Perché una “taxi” terapia? L’aspetto narrativo lo lascio a voi. A mio parere, il titolo “Taxi Therapy” ha un significato anche figurato: Marco sale a bordo del taxi della sua vita, viaggia e compie tante tappe, su una strada che collega il suo passato al suo presente, accompagnato da Maksim, colui che gli apre lo sportello, ma poi lo lascia al suo viaggio.
Ciò che mi ha colpito di “Taxi Therapy” è stato lo stile. Profondo, intenso… e distaccato: il narratore è interno a 360 gradi, eppure sembra sempre che stia parlando in terza persona, non in prima. Anche quando ricorda avvenimenti del suo passato, della sua infanzia, lo fa con la profondità di chi è protagonista, ma con il distacco di chi sta narrando dell’altro. Questa è la forza di questo romanzo, a mio parere: il lettore legge di Marco, ma sta leggendo di Giovanni, Michela, Emilio ecc., fino ad arrivare a se stesso.
“Nemmeno ho contezza di come si sia svolta la giornata, è stato un flusso di azioni non ben decifrate che ho perso di vista, ho solo cambiato luogo. Ormai non presto attenzione, le giornate si susseguono con una perfetta identità, identiche nella struttura…” – Taxi Therapy
Tecnicamente, lo stile è lineare, ma complesso. I periodi non sono affatto brevi, ma ricchi. E il linguaggio non è sterile, anzi. È ricco sia in forma che in contenuto, grazie ai molteplici riferimenti, diretti e indiretti, al mondo letterario, musicale, filosofico, socio-economico. Per non parlare della presenza di figure retoriche, che rendono la prosa anche poetica (penso, ad esempio al “rumoroso ticchettio”, tra le tante presenti). Tanti sono i discorsi diretti: D’Ambrosio vuole davvero riportare se stesso e chi legge in quel preciso momento, in quel preciso luogo, in quel preciso contesto. Davvero un esordio da pole position!
I capitoli non seguono un ordine temporale, ma seguono l’ordine che la mente suggerisce al narratore. Continui sono i flashback, ed è banale sottolinearlo. Il raccontarsi non è soggetto a regole predefinite di spazio e di tempo. Così, da una call si passa ad una birra con un collega ad una passeggiata per strada, ma in realtà tra pensieri, alla camera da letto, mero mezzo di appoggio per dare inizio ad altri pensieri, riflessioni, ricordi. Ed è la mente che decide se tornare indietro nel tempo, a quando Marco è piccolo, o a rivivere un accadimento di mesi prima, o di anni prima. Ogni capitolo è il pezzo di un puzzle che non va messo al suo posto. I pezzi del puzzle della vita vanno lasciati così, in quella posizione, in attesa di essere visti e di suscitare emozioni in chi vi si imbatte.
I titoli dei capitoli sono d’impatto e racchiudono quella che per l’autore è la parola chiave che, a posteriori, ha individuato in quelle specifiche pagine di memoir.
Gli spazi, gli ambienti sono ben descritti. In realtà, non solo questi. Le descrizioni presenti nel romanzo sono molto precise, dettagliate. Ci si sofferma su un cappello, su una veste, su un’alba in modo vivo. Ma, soprattutto, ci si sofferma sui sentimenti, sulle emozioni, su quella “codardia” che nasce dalla “paura di non riuscire a essere qualcosa di diverso”, su quelle domande che “hanno voglia di libertà e tormentano la mente”. Si percepisce la presenza reale dell’autore in ciò che racconta.
Come si conclude “Taxi Therapy”? Con un sussulto: e lascio a voi ipotizzare o scoprire il perché.
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐

Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.