
romanzo contemporaneo
Feltrinelli
10 settembre 2024
cartaceo, ebook
272

Billie ha quattordici anni e vive con la madre in un caseggiato di periferia, una piccola città colorata di cinque stabili disposti a semicerchio.
Ogni mattina Marika, sua madre, esce dall'edificio dipinto di giallo e va a fare le pulizie in un grande cubo di vetro, pieno di gente in completi costosi che la guarda come si guarda un carrello o una pianta. Il loro appartamento è in cima al palazzo, al piano che dà sull'autostrada vicina. È così piccolo che d'estate Marika piazza due sedie sul ballatoio per prendere il fresco. Difficile vivere in un posto simile, vero?
Sì, ma in quel caseggiato Billie è la ragazza più felice del mondo. Chi ha, infatti, una madre che lavora come cameriera in un bar del centro indossando una maglietta tempestata di paillettes, jeans attillatissimi e stivali da cowboy? Una madre con cui sguazzare a piedi nudi nelle pozzanghere quando piove e tuffarsi da una piattaforma di dieci metri? Una madre, infine, con cui condividere sogni e speranze? Chi ha poi amici come Ahmed, il vicino che profuma di sapone e di tabacco da narghilè e ha le ciglia più lunghe di tutti nel caseggiato? O come Luna, che lavora al solarium, possiede infradito di tutti i colori dell'universo e sogna di sposare un uomo che le paghi i debiti?
Basta accogliere con gioia quello che si ha: ecco quello che ha imparato Billie nella piccola città colorata di periferia.
Un giorno, però, arriva dall'Ungheria la nonna, e la vita povera ma gioiosa di madre e figlia diventa un ricordo del passato. Dolore e lutto irrompono nell'esistenza di Billie. E ciò che prima non era contemplato, il sentimento della mancanza, affiora per la prima volta con ferocia. Billie decide che è giunto il momento di fare i conti con la figura assente da sempre nella sua vita: il padre mai conosciuto.
Con una parrucca azzurra in testa, una fotografia in mano e gli stivali da cowboy di sua madre, parte alla sua ricerca.
“La mia vita si era divisa in due parti. Un prima e un dopo. Nel prima mia madre era la risposta, nel dopo era la domanda”. “Paradise Garden” di Elena Fisher, edito Feltrinelli, è la storia di una quattordicenne alla ricerca delle proprie radici. Una ragazzina che vive in Germania, con la madre di origini ungherese, in un quartiere popolare. Nonostante le ristrettezze economiche, è felice. Nel mosaico variopinto, che è la sua vita, manca, però, una tessera importante: l’identità di suo padre. Un evento drammatico la porterà verso una ricerca nel passato di sua madre, dagli esiti imprevedibili. Sarano le fondamenta del suo futuro.
“Sono come un uccello migratore che ha sbagliato direzione”
Billie, si chiama in realtà Erzsébet, perché è nata in Ungheria e là ogni genitore doveva scegliere il nome per il proprio figlio tra quelli consentiti e scritti in un’apposita lista. Ma lei vive da molti anni in Germania, dove per tutti è semplicemente Billie.
Billie ha quattordici anni, vive con la madre in un modesto alloggio popolare. Ha la carnagione olivastra tipica dei Rom e si sente diversa dai compagni di scuola. Ha un solo genitore, non ha fratelli né una casa sufficientemente spaziosa. Nella sua vita non ci sono parenti, cene di famiglia, vacanze e, quel che è più grave, non c’è un padre. Billie non conosce neppure il suo nome perché sua madre si è sempre rifiutata di parlarne. Nonostante tutto, è una ragazzina serena e responsabile. Non potendo avere la vita che desidera, si accontenta di ciò che ha: una madre che la adora, dei vicini di casa simpatici, un’amica con la quale passare il suo tempo libero e la sua fantasia che la fa volare dove vuole.
“Ogni volta che incontravo un uomo gentile, immaginavo come sarebbe stato averlo come padre”
Sua madre Marika le ha insegnato a sognare. È una giovane donna ungherese molto attraente, dinamica (svolge due lavori per poter provvedere ad entrambe) e con la testa piena di immaginazione. È anche molto affettuosa e tendenzialmente vivace, tranne quando le si rivolgono domande sul suo passato, quando era un’anima inquieta che sognava il successo come étoile. Quando amava perdutamente l’uomo che l’aveva resa madre, del quale non desidera parlare.
Della nonna di Billie, sua madre, invece, parla spesso, ricordando episodi all’insegna dell’incomprensione e intransigenza. La descrive come una donna autoritaria, manesca e bigotta. Quando dovranno accoglierla in casa, la ragazzina si troverà al cospetto di una persona seria, decisa, ma curiosamente serafica. Un vero enigma. Uno dei tanti della vita di sua madre.
“La nostra gita al lago è stata come respirare per l’ultima volta prima che qualcuno ti spinga la testa sott’acqua” – Paradise Garden
Lea è la sua migliore amica. Proviene da un ambiente diverso dal suo. È figlia di persone abbienti, il tipo di famiglia che Billie le invidia. Due genitori ricchi e senza l’assillo dei conti da pagare, stimati da tutti per la loro filantropia. Una casa grande, dove ogni figlio ha il proprio spazio, e vacanze al mare tutti insieme. Lea è apparentemente diligente e ben educata, in realtà trova piacere nella trasgressione, la manifesta attraverso piccoli furti nei negozi e forse anche nell’amicizia con Billie. Per lei significa andare contro corrente, per i suoi genitori invece è un atto caritatevole.
“Solo dopo mi sono resa conto che l’amicizia con Lea era solo a prima vista normale. Ricordava una casa piena di scale che non portavano da nessuna parte e di porte che nascondevano un baratro”
“Paradise Garden” è narrato in prima persona attraverso la voce della quattordicenne Billie. Il linguaggio è semplice, come si conviene al racconto di un’adolescente, ma anche dotato di riflessioni profonde. Esse sono credibili poiché nate da frasi che la madre le ripeteva frequentemente a scopo educativo, sulle quali poi lei si ritrova a pensare, esprimendo la sua opinione. Dalle sue parole si nota il grande sforzo nella ricerca di un riscontro con la realtà circostante.
Lo stile è fluido, lineare e privo di digressioni poiché tutti gli argomenti toccati gravitano attorno alla tematica centrale, in quanto strettamente legate ad essa. Si parla essenzialmente di ricerca, quindi il bisogno di un’identità che si manifesta nel bisogno di conoscere le proprie radici.
“A volte le mie parole sembravano animali selvaggi che avrei voluto e dovuto domare“
La trama si sviluppa nel presente odierno, in Germania. Non si specifica la città, ma si desume sia una di quelle metropoli fatte da tanti quartieri, simili a piccoli paesi. Quello delle protagoniste è un luogo abitato da persone in difficoltà, fatto da palazzi altissimi, privi di comfort, in prossimità di un’autostrada. Un agglomerato che si percepisce come squallido, il suo grigio monocolore contrasta con la personalità multicolor delle due protagoniste. Essa si compone di abiti colorati, musica e manifestazioni di affetto.
Il ritmo di lettura è rapido poiché tratta della vita di una quattordicenne che è in velocissima evoluzione, in questo caso corre più del previsto. La sua ricerca, inoltre, riserva parecchi colpi di scena. Anche i personaggi, peraltro ben caratterizzati, ci regalano sorprese inaspettate.
“Il vero carattere delle persone si vede da come trattano le cose che non vogliono più”
Ho terminato “Paradise Garden” nell’arco di un pomeriggio. Pur trattando di un dramma familiare, è scritto con delicatezza estrema e grande sensibilità che rende lieve la lettura. È come se le parole scivolassero via rapidamente sotto ai nostri occhi.
Può sembrare una storia già letta, mentre, in realtà, è qualcosa che va contro ogni aspettativa e ci coglie di sorpresa.
La scrittura è semplice, ma curata e assai piacevole. Alcuni tratti sono fortemente realistici e si fa una netta distinzione tra ciò che è famiglia/amicizia e semplice conoscenza. Tra verità e immaginazione. Generosità e ipocrisia.
Non si può chiudere questo romanzo senza fare questa riflessione: quale significato diamo alla parola famiglia?
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐