Narrativa contemporanea
Mondadori
10 novembre 2020
cartaceo, ebook
168
Galla si chiama così in onore dell’imperatrice Galla Placidia: «Darmi quel nome è stato uno dei pochi gesti coraggiosi di mia madre». Da quando è stata lasciata dal marito, improvvisamente e senza spiegazioni, passa le giornate sul divano a fissare la magnolia grandiflora del cortile, fantasticando di buttarsi dal balcone per sfuggire a un dolore insopportabile di cui si attribuisce ogni colpa. Esce di casa solo per vedere la psicanalista Anna Del Fante o per andare in carcere. «Da quando Doug mi ha lasciata sto bene solo dentro. Canto con altre dieci volontarie in un coro di detenuti tossicodipendenti. Anche io devo disintossicarmi.»
Durante il primo viaggio da sola, a Monaco di Baviera, entra per caso in un museo dove è allestita la mostra della pittrice tedesca Gabriele Münter. Galla, che da ragazza studiava arte, ricorda solo che la Münter era nel gruppo del Cavaliere Azzurro con Vasilij Kandinskij. Ma quel giorno le sue opere «così piene di colore e prive di gioia» la ipnotizzano.
Da quel momento la voce di Gabriele entra nella vita di Galla: la tormenta, la prende in giro e intanto le racconta la sua lunga storia d’amore con Kandinskij, così simile a quella di Galla con Doug.
Mentre il dialogo tra le due si fa sempre più animato, la strada di Galla incrocia quella di altri due pazienti di Anna Del Fante: Bianca, un’adolescente che non riesce più ad andare a scuola, e Nicola, seduttore compulsivo e vittima di attacchi di panico. Le imprevedibili conseguenze di questo incontro potrebbero cambiare le vite di tutti e tre.
Una storia irresistibile – a tratti comica e a tratti struggente – che mescola leggerezza e profondità, grazia e tenerezza, esplorando il nostro rapporto con il dolore, che è poi il nostro rapporto con noi stessi.
“La vita è come l’atelier di un pittore: ci sono tele appoggiate alla parete e altre sul cavalletto, in lavorazione. Ci sono i colori, le tavolozze, i modelli. E l’ispirazione che guida l’autore dentro l’avventura della sua opera.”
Da quando ho letto Oggi faccio azzurro, non faccio altro che associare il titolo al mio pittore preferito: Kandinsky. Sarà forse il termine “azzurro” che sventola sulla prima pagina di copertina, o forse i numerosi riferimenti alla vita e alle opere dell’artista che Daria Bignardi ha sparso tra queste pagine; fatto sta che “Il cavaliere azzurro” e tanti altri quadri del padre dell’astrattismo si sono materializzati nella mia mente, man mano che la storia procedeva. Ci sarebbe tanto da dire sul “grande maestro”, ma questo esula dalla mia recensione, quindi, anche se a malincuore, ne farò a meno. Invece, vediamo in che modo Daria Bignardi omaggia questo grande artista.
Nella storia, Kandinsky entra in punta di piedi, indirettamente. È la voce di Gabriele Munter, la pittrice espressionista tedesca che ha convissuto con Kandinsky numerosi anni che, con l’amaro in bocca, ci racconta sprazzi della loro storia d’amore. Il suo è un dialogo continuo nella mente di Galla, la protagonista del libro, perché Gabriele è morta ormai da tanto tempo, proprio nella casa di Murnau, dove con il suo amato Vasilij aveva vissuto molti bei momenti (casa che è anche stata il rifugio segreto di molti dei quadri dell’artista durante il regime nazista).
Galla “incontra” Gabriele proprio in occasione di un viaggio in Germania, durante il quale visita il nido d’amore dei due pittori; da quel momento in poi, la voce della pittrice le si insinua nella mente, diventa il suo alter ego, il grido di ribellione nei confronti della propria arrendevolezza, del suo lasciarsi andare; dal momento in cui Doug, l’uomo con cui ha vissuto per ben vent’anni, l’ha lasciata, Galla vive un’eclissi di sole senza fine. Cerca in se stessa la causa del fallimento della loro relazione, colpevolizzandosi, non capendo, e, in generale, autodistruggendosi.
Ma Gabriele le sbatte in faccia la realtà nuda e cruda; non le fa sconti di nessun genere. Lei sa cosa significa essere abbandonati da chi si ama; conosce il dolore e la rabbia di chi ha dato tutto se stesso per un altro che si sbarazza di lui da un giorno all’altro, senza un motivo apparente. Lei sa, ma anche Galla sa, però non vuole vedere. Preferisce piangersi addosso e scorgere nel balcone di casa sua una via d’uscita alla sua sofferenza.
“«Buttaci lui dal balcone» spunta la Voce quando resto troppe ore sul divano a osservare la magnolia grandiflora del cortile. «Anch’io volevo morire quando Vasilji se n’è andato. Non posso pensare che cent’anni dopo siamo ancora messe così»”
E sono questi pensieri suicidi, accompagnati da una disperazione muta, il motivo che la spingono a recarsi nello studio della dottoressa Anna Del Fante, una psicologa rimasta da poco vedova. L’incontro tra Galla e la psicologa avviene proprio all’incipit del libro dove, con poche frasi ben calibrate, Daria Bignardi ci presenta immediatamente il tema della sua storia.
“Ho perso – per colpa mia – il mio grande amore.
«Deve trovare un colpevole e trova se stessa» dice la dottoressa Anna Del Fante pulendo le lenti degli occhiali rossi con la sciarpa azzurra”
Proprio la dottoressa Del Fante, involontariamente, farà da tramite per la nascita di una nuova amicizia tra Galla e i “pazienti prima e dopo”, Nicola e Bianca, che, con le loro considerazioni, contribuiranno a colorare questo libro a 3 voci, dove l’autoriflessione e il bisogno di lasciare andare il passato diventano il motore della narrazione.
Come mi accade sempre, lascio passare qualche giorno tra il momento in cui leggo il libro e quello in cui scrivo la recensione. Lo faccio perché in questo modo i personaggi riescono a entrare meglio in me, come se, riflettendo su di essi, riuscissi a conoscerli meglio.
Ad una prima lettura, devo dire che il libro non mi ha particolarmente colpito. Non so cosa mi aspettassi di preciso da Daria Bignardi, ma sicuramente era qualcosa di diverso. Poi, però, il personaggio di Galla mi si è un po’ incollato addosso, non per le vicende da lei vissute, ma piuttosto per il suo modo di affrontare la vita. La sua arrendevolezza, più di una volta, mi è capitato di sperimentarla, così come anche la rabbia che la voce di Gabriele mette in evidenza. Voi come reagite di fronte a qualcosa che veramente vi ferisce? Vi lasciate andare o lottate per venirne fuori più forti di prima? Tendete a trovare una giustificazione al tutto o invece guardate in faccia la causa del vostro dolore per affrontarla?
Gabriele è ciò che Galla non vuole essere, ma che da qualche parte dentro di sé è, eccome! È la voglia di vendicarsi di quell’uomo che si è preso la parte migliore della sua vita, per poi abbandonarla su due piedi. È la speranza delusa, la solitudine e, nello stesso tempo, la voglia di rivalsa, quella che ti fa lottare contro i mulini a vento se serve. D’altronde, sono altre le battaglie che Galla ha dovuto affrontare nella sua vita, in primis quella contro la talassemia, responsabile del suo aspetto etereo che diventa un punto di forza per la sua carriera da fotomodella. Quella contro chi storpiava il suo nome, senza dubbio, poco usuale. Si chiamava così un’imperatrice, Galla Placidia, una grande donna che è riuscita a farsi valere anche nelle avversità. Questo la nostra protagonista lo tiene a mente, forse per attribuirsi un’importanza consolatoria quando, inevitabilmente, di fronte alle sue presentazioni, sguardi perplessi le cadono addosso, o quando qualcuno tende a metterla nel ridicolo, apostrofandola con qualche cattiva storpiatura.
Il personaggio che la Bignardi modella non è sicuramente un esempio di forza d’animo e, proprio per questo, è più facile sentirlo vicino perché, diciamoci la verità, di eroi nel mondo ce ne sono pochi; eppure, ognuno di noi diventa spesso l’eroe di se stesso quando combatte battaglie anche contro le proprie idee, le proprie convinzioni, l’orgoglio o la paura. Si lotta per poter andare avanti così come fanno Galla, a modo suo, e tutti i personaggi che le ruotano intorno.
Presentandoci una storia semplice, Daria Bignardi riesce, con maestria, a metterci davanti ad uno specchio e a costringerci a guardare la nostra anima riflessa. A volte ci dimentichiamo di farlo, ma non sarà sicuramente dandole le spalle che staremo meglio…
Sahira
Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…