
Narrativa contemporanea
Excogita
27 aprile 2022
cartaceo, ebook
96

Mea è fea: brutta, o convinta di esserlo; cattiva, come dicono i maschi, a cui mai si concede. Soprattutto, però, Mea è insofferente: non ci sta dentro. Dentro le dinamiche sociali del paese in cui è nata e cresciuta, dove tutto sembra immutabile, teso a una feroce conservazione; dentro le maglie soffocanti dei rapporti familiari, che a volte nascondono segreti insostenibili; perfino dentro le proprie forme, che la costringono a camuffarsi in abiti cuciti su misura da una madre enigmatica, che le è insieme complice e nemica.
Mea sogna di andarsene da quella Sardegna gretta e arcaica, e la passione per l'architettura la spinge fuori dai confini della sua terra. Ma il richiamo al tempo mentale e psichico dell'isola stende la sua ombra lunga anche sulle migliori intenzioni di Mea, incatenandola, ormai donna, a un bruciante senso di frustrazione e di sconfitta.
Un diario schietto dal linguaggio ruvido e asciutto, un incedere rapido e circolare della scrittura che conduce a un epilogo di lucida rassegnazione.
“In quel piccolo angolo di verde capii che si poteva dedicare la vita intera a un’idea di bellezza, si trattava di trovare il luogo adatto dove piantare radici e coltivarla fino a farla crescere rigogliosa” – Da “Mea la fea” di Daniela Piu, Excogita
Mea vive in un paesino della Sardegna, ma sogna di andarsene. Il pretesto migliore per farlo è l’istruzione. Appena potrà, se ne andrà in una grande città del nord Italia dove frequenterà l’università. Al paese la definiscono “fea”, brutta. È il suo caratteraccio che non piace: è scontrosa, schiva e non dà confidenza ai ragazzi. In realtà, dietro tanta insofferenza, si nasconde un segreto trauma del quale non può parlare ma che condiziona il suo rapporto con gli altri. Cambiare cielo non le servirà per dimenticare e diventare un’altra. Una laurea e un lavoro prestigioso non la potranno guarire. Quando sarà costretta a tornare laddove tutto è iniziato, si ritroverà a faccia a faccia con i mostri del passato.
“Se vi vengono a raccontare che sono depressa, non credeteci: non è assolutamente vero. Ho solo fatto un brutto sogno”
Ando, Mea ed Eleno sono un trio inseparabile. I primi due sono fratello e sorella, l’altro è il loro migliore amico.
Mea subisce però la compagnia di Ando, se lo ritrova perennemente attorno come un cane da guardia. È sempre stato possessivo nei suoi confronti e lei si sente soffocare. La controlla e non tollera le attenzioni che Eleno le riserva. Le sopporta perché ha quasi un timore reverenziale nei confronti dell’amico ma in privato rimprovera la sorella facendosi beffe dei due.
Eleno è sempre stato infatuato di Mea, si limita tuttavia a qualche timido apprezzamento. E’ un ragazzo appassionato di tecnologia, è pieno di progetti che non realizzerà mai, è un gran sognatore. Per Mea rappresenta un punto di riferimento, pur non ricambiando le sue attenzioni.
Mea potrebbe passare anche per una ragazza piacente se non fosse per un problema di cattiva circolazione che le provoca gravi tumefazioni alle gambe. Si sente diversa, brutta e fuori posto. A peggiorare la situazione ci si mette la passione della madre per la moda. Essendo una sarta, realizza da sé modelli decisamente troppo eleganti per la sua giovane figlia che è costretta a farle da modella. È stata definita come la ragazza più chic del liceo, forse con ironia, e questo la fa sentire ancor più a disagio. Mea vorrebbe andarsene, studiare e diventare architetto per poter affermare la propria indipendenza. Questa sua urgenza di fuga, la rende insofferente verso il mondo e quindi le viene attribuita la nomea di “fea”, brutta.
“E comunque, se anche io avessi cambiato la mia visione meritocratica del lavoro, non ci sarebbe mai stato posto per me in quell’angolo di altissimi papaveri” – Mea la fea
La trama è divisa in quattro parti che rappresentano le fasi del percorso di vita della protagonista, Mea. L’infanzia e la primissima giovinezza in Sardegna. Il periodo universitario a Torino. Il suo ingresso nel mondo del lavoro a Milano e, infine, il ritorno al paese.
Il linguaggio narrativo è semplice e molto diretto, a tratti crudo e pungente come la storia che viene narrata in prima persona dalla protagonista. Una sorta di diario. È una narrazione dal carattere introspettivo, ma dai toni forti.
Al centro, troviamo tematiche come la ricerca di sé, o meglio, di qualcuno che si vorrebbe essere e quindi la fuga da ciò che si è veramente o si è costretti a essere. L’affermazione nel mondo del lavoro con esordi sempre difficili. L’abuso e tutti i traumi che ne conseguono. L’inevitabile ritorno alle origini.
Il ritmo narrativo è incostante. Parte rapido per poi arenarsi a metà trama e riaccelerare verso il finale. La parte più lenta è resa tale dall’accatastarsi di nomi e personaggi secondari che la appesantiscono, oltre alla ripetitività degli eventi. La figura della protagonista è ben delineata e ha caratteristiche abbastanza realistiche, tutti gli altri invece sono portati all’eccesso nei loro atteggiamenti e stili di vita.
“Anche un uomo può avere un’anima, ma non credere che la userà per capire te. (Mina)”
Parto dalla premessa che il mio è assolutamente un parere personale dettato da ciò che mi ha trasmesso questa storia. Le tematiche sono sicuramente interessanti e importanti. L’autrice scrive bene e la protagonista è abbastanza “imperfetta” da essere credibile. Tuttavia mi ha lasciata comunque perplessa, in particolar modo il finale, oltre all’avermi trasmesso una certa negatività. Forse così doveva essere, ruotando attorno ad un evento grave e drammatico. I personaggi che gravitano attorno alla protagonista sembrano tutti un po’ sopra le righe per reazioni e comportamenti abituali. Pur riconoscendo l’abilità narrativa dell’autrice, la storia non mi ha convinta.
A voi è mai successo?