Narrativa contemporanea
Mondadori
18 maggio 2021
cartaceo, ebook
192
Dall’autrice di Dove finisce Roma , l’irresistibile storia di Remigia Porcu, la bambina che voleva essere Michael Jackson.*Quando Remigia viene al mondo, in una sera d’inverno del 1980, tutti, nella sua grande famiglia, si chiedono da dove sia uscita quella bimba dalla pelle scura scura e i capelli ricci come lana d’acciaio. “Sembra Michael Jackson!” scherza lo zio Stefano quando la vede.
E il nomignolo è destinato ad attecchire. Remigia, detta Maicolgècson, cresce in un paese del Campidano non lontano da Cagliari, figlia unica ma circondata da cugini e cugine. L’amore per la musica arriva prestissimo: grazie agli zii e ai cugini più grandi a cinque anni scopre i Queen, Bob Marley e David Bowie, poi “Sanremo” e “Superclassifica Show” fanno entrare nel tinello dei genitori e nei suoi sogni di bambina Eros Ramazzotti, Laura Pausini e tutto l’olimpo della canzone pop italiana.
Mentre a scuola i compagni la prendono in giro chiamandola “marocchina” e “vucumprà”, a lezione di canto non la batte nessuno; così alla sua insegnante viene l’idea di mandarla in tv, al programma per piccoli cantanti di Sandra Milo. Il viaggio in nave, Roma, gli studi Rai di via Teulada, le luci, gli applausi… anche se quella prima esperienza non andrà proprio come se l’era immaginata, tanto che verrà archiviata come il suo “Grande Insuccesso”, Remigia ha capito cosa vuole fare da grande: cantare e ballare, come Madonna, come Michael Jackson.
E, una piccola battaglia dopo l’altra, tra un successo e una delusione, un primo bacio e un’audizione, tenterà di difendere il suo sogno dalla malignità dei coetanei e dalle idee degli adulti su cosa a una bambina sia consentito desiderare e cosa no. In una prima persona buffa e commovente intrisa di modi di dire sardi, che cresce e si affina di pari passo con la protagonista e il suo sguardo sul mondo, Paola Soriga ci regala il tenerissimo racconto di un’infanzia isolana e un tuffo nella cultura pop italiana degli anni Ottanta e Novanta. E lo fa con una lievità, una delicatezza e un’allegria linguistica rare.
“Ballai pensando…alle cose importanti anche se sono lontane, come i cantanti, come i sogni; pensando alla vita che fa male e ti butta giù ma il cuore continua a battere, il sorriso resta lì, lo spettacolo continua.”
Quando Remigia nasce, in un piccolo paesino della Sardegna degli anni ’80, il colore scuro della pelle e quei capelli “tipo lana d’acciaio”, che le ricoprono la testolina, le valgono subito l’appellativo di Michael Jackson.
Il suo aspetto fisico sarà un po’ il suo cruccio negli anni dell’infanzia, il pretesto che i suoi coetanei utilizzeranno per prendersi gioco di lei. Ma a Remigia importa fino ad un certo punto. Il suo sogno è cantare e lo fa ovunque gliene viene data l’occasione, spronata in primis dai suoi “didini” (termine che si usa ancora oggi in Sardegna per indicare i padrini di battesimo o cresima) che, di quella bimba che si incanta davanti a “Superclassifica Show”, intuiscono il talento sin dalla più tenera età.
Didino Stefano, appassionato di musica a trecentosessanta gradi, rivestirà un ruolo importante nella crescita artistica della figlioccia; regalandole gadget di Bob Marley, facendole conoscere un ampio repertorio musicale, che spazierà da Nick Cave a Guccini passando per i Quenn e il canto tradizionale sardo; educherà quella piccola mente al ritmo e alla melodia, alla bellezza e all’universalità della musica, che non conosce barriere né confini.
Grazie all’opera di convincimento di didina Gina, invece, i Suoi si decideranno a farle prendere lezioni di canto. Con Gina, la piccola Remigia partirà per Roma, dove l’attendono gli studi di “Piccoli Fans”, programma per bambini molto conosciuto all’epoca, trasmesso dalla rai e condotto da Sandra Milo.
Davanti al microfono, però, sul palcoscenico di via Teulada, la piccola si confonde e dimentica le parole del suo pezzo. Per molti anni questo rappresenterà il “grande insuccesso della sua vita”, rimarcato dalle chiacchiere della gente del paese e dalle risate dei suoi compagni di classe.
A scuola tutti dicevano:
«È quella che è uscita in televisione!»
«È quella che è andata da Sandra Milo!»
«È quella che si è messa a piangere!»
«Eia, quella che sembra una marocchina!»
Che mi ero messa a piangere non era vero.
Quell’esperienza la segna così tanto che, per un po’ di tempo, si rifiuta di prendere il microfono in mano. Ma i sogni difficilmente si fanno arrestare dagli ostacoli. Ed ecco che Remigia, crescendo, riprende a calcare il palcoscenico, cantando e ballando come le ballerine che spopolavano in quegli anni alla tv.
Di solito, quando recensisco un libro, evito di svelare tutta la trama, per creare il giusto livello di suspense che inciti il lettore a prenderlo in mano. Oggi, invece, a grandi linee, vi ho raccontato tutto, e se l’ho fatto è perché, stavolta, la trama, pur avendo la sua innegabile importanza, non è la “protagonista” del romanzo; lo sviluppo nel tempo degli avvenimenti è solo la cornice che racchiude la vera storia che Paola Soriga ci vuole raccontare; storia piena di profumi, di colori e di emozioni fagocitate dallo scorrere della vita quotidiana.
La voce narrante è quella della piccola Remigia, che si racconta e ci racconta le sue giornate. Remigia dona a queste pagine freschezza, semplicità e purezza. Intercalando le frasi con espressioni tipiche del luogo, mostrandoci la realtà con gli occhi ancora non schermati dalle lenti della sconvenienza, ci porta a sorridere riga dopo riga, rendendo il libro piacevole e divertente da leggere.
Attenzione però! Non vorrei che pensaste che questo sia solamente un libro comico e leggero. Tutt’altro!
Sono tanti i temi importanti che, tra le righe, Paola Soriga affronta. Remigia è il simbolo dell’intraprendenza femminile. In un mondo dove ancora per le donne non è previsto altro futuro, se non quello di essere mogli, madri o di svolgere solo determinati tipi di lavoro, lei non si arrende. Vuole cantare, vuole ballare, anche se i suoi genitori a tutto questo danno il valore di un semplice passatempo.
Tra i dialoghi e le riflessioni che la bimba, prima, e l’adolescente che diventerà, poi, riporta nel testo, vengono presentati al lettore i diversi modi di intendere la diversità, l’amore, la vita; l’aspetto fisico della protagonista, l’orientamento sessuale di didina Gina, il siparietto comico che scatena la sua partecipazione in tv, diventano argomento delle chiacchiere paesane, dove tutto e tutti vengono posti davanti ad una lente di ingrandimento spesso troppo appannata.
Per fortuna, dietro tutto questo sparlare, c’è sempre la famiglia che protegge, che conforta, nonostante spesso non capisca o accetti. L’autrice, nella splendida cornice del Campidano di un tempo, ha fatto rivivere quell’unità familiare che io personalmente ho respirato da bambina. Famiglie unite e allargate, case che si diramavano come braccia intorno al corpo principale, che di solito era rappresentato dalla dimora del genitore. Case costruite sopra, intorno, affianco, a quella natale, che permettevano di mantenere intatto il legame instauratosi dalla nascita con i propri consanguinei.
Quanto mi manca quel mondo dove i nonni e le nonne rivestivano un ruolo di primo piano fungendo da collante tra i figli, il chiasso delle tavolate festive, i profumi e i sapori che si alternavano in tavola.
Ora, con lo sviluppo della tecnologia, pensiamo di essere tutti più vicini perché magari una videochiamata annulla le distanze visive. Ma quel chiasso, quelle risate e magari anche gli abbracci dispensati nei momenti più tristi, nessun social media o dispositivo elettronico potrà sostituirli. Chissà cos’accadrebbe se ad un tratto il mondo digitale si spegnesse. Secondo voi come reagirebbe l’essere umano ad un’eventualità del genere?
La mia recensione è giunta al termine; fatemi aggiungere due sole righe per ringraziare, in primis, la Mondadori, per avermi inviato il cartaceo del romanzo, e poi Paola Soriga, per la sua simpatia, e per avermi fatto rivivere un mondo che non c’è più. A presto!
Sahira
Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…