
Saggio
EDB
28 maggio 2020
Cartaceo
144

Nessuno può vivere senza avere una madre. Non solo nel senso che tutti veniamo da un grembo materno, ma ancor di più perché tutti abbiamo bisogno di qualcuno che ci faccia spazio, che accetti di farsi scomodare da noi quel tanto che serve per avere un luogo dove stare.
Si tratta di qualcosa di così fondamentale che si potrebbe addirittura dire il contrario: nessuno può vivere davvero senza essere una madre. Per avere una vita degna e ricca, tutti aspiriamo ad essere generativi nei molti modi, non solo biologici, che la vita ci offre.
Imparare il gesto della madre è perciò un compito e una sfida per tutti.
Una filosofa e un teologo riflettono su questo miracolo dell’esistenza.
“Un figlio… è un’altra vita che custodiamo, non catturandolo o rinchiudendolo ma riscoprendo sempre e di nuovo la nostra vita come vita che deve respirare”
“Essere madre è il mestiere più difficile del mondo” è una frase che si sente ripetere spesso e, anche se non sono d’accordo nel definire mestiere il dono più grande che la vita possa fare ad una donna, sul fatto che un genitore debba affrontare parecchie difficoltà nel crescere il proprio figlio non ho nulla da obiettare. E se prima erano principalmente i bisogni fisici (nutrire il bambino, farlo crescere sano e fargli avere un tetto sopra la testa) che venivano messi in primo piano in quanto necessari per la sopravvivenza per niente scontata della prole, ora che le condizioni economiche degli aspiranti genitori, almeno nel nostro Paese, di solito non portano alla mancanza di un piatto in tavola, sono altri i problemi che ci si trova ad affrontare quando si hanno dei bambini.
Ma cosa significa di preciso essere madre?
In questo testo, di poco più di ottanta pagine, si cerca di dare una risposta a questa domanda occupandosi della questione sia dal punto di vista filosofico che da quello religioso.
Sono due le voci narranti che conducono il discorso. Nella prima parte è Carla Canullo, docente di Filosofia Teoretica presso l’Università degli Studi di Macerata , che ci illustra cosa significa esistere come madri e quali sono i caratteri che si manifestano nella maternità
“Se per un verso «essere madre» segnala una «definizione»- come nel caso si dice di una donna che «è la madre di…», per altro verso – sulla scia del secondo senso del verbo essere – indica l’esistere come madre”
nella seconda Don Giovanni Cesare Pegazzi parla della genitorialità come di qualcosa non solo di biologico ma anche di trascendentale, che non si può non essere
“Se non siamo o padri o madri semplicemente non siamo uomini o donne, uomini o donne compiuti”
La prima cosa che viene messa in evidenza dalla dottoressa Canullo nel suo percorso sulla maternità è la sorpresa che la vita che cresce dentro il seno materno suscita in noi, che è la stessa che noi stessi abbiamo suscitato quando siamo stati dati alla luce, sorpresa che non sempre può essere positiva, ma che al di là dei sentimenti che in noi evoca rimane sempre tale. E la nostra vita sorpresa dalla presenza dell’altro reagisce dilatandosi.
Si dilatano gli spazi fisici per poter accogliere la nuova creatura, si dilata il nostro corpo per fargli spazio, e questo dilatamento porta al cambiamento del nostro modo di sentire e vedere le cose che ora vengono tutte osservate con un’ottica differente. L’arrivo del bimbo cambia la nostra quotidianità, il nostro concetto di “proprio” viene alterato. Ciò che credevamo nostro ora ci accorgiamo di non possederlo più; il tempo, lo spazio che prima erano a nostra completa disposizione ora vanno rivisti in funzione del bambino e non tutte cediamo facilmente questi nostri angoli tanto faticosamente conquistati.
A tal proposito, ricordo sempre l’insofferenza che provavo quando la mia bimba richiedeva tutte le mie attenzioni, ma non perché non volessi dargliele o fosse una fatica per me farlo, ma perché in questo modo rinunciavo a quella parte di me abituata a rifugiarsi nel suo angolo di mondo che improvvisamente era sparito. Quante volte mi sono sentita in colpa per questo neanche lo so, quante volte nella mia mente il pensiero di essere inadeguata come madre si è affacciato prepotentemente, insieme alla paura di creare problemi a quella creatura che consideravo il mio respiro. Il timore, la paura, sono inevitabili quando si vive un’esperienza di questo tipo ma, come dice la Canullo, non devono diventare il tratto assoluto dell’esistenza.
Con un bambino tra le braccia si rinasce di nuovo perché ci si ritrova, ci si inventa per accogliere al meglio questa creatura che dobbiamo imparare a rispettare lasciando che essa sia ciò che è e non ciò che noi vogliamo.
“Un figlio non è una vita che catturiamo ma è una vita che custodiamo…e che per vivere dobbiamo lasciare che sia”
L’educazione è la risposta che noi possiamo dare a questa nuova vita che nasce, che dobbiamo imparare a seguire come si segue una traccia, senza cancellarla: solo così impariamo a essere genitori.
La maternità, continua Don Pegazzi, si realizza nel curare il figlio, nel dargli una casa sicura che gli permetta di avere una visione amicale del mondo, nel fargli capire che esiste qualcuno attendibile che risponde ai suoi richiami. In un primo momento questo qualcuno sarà la madre che insegnandogli ad aver fiducia in lei gli insegna ad averne anche nel mondo e in Dio. I genitori, dando alla loro creatura una casa sicura, liberano il bambino dalla paura e quindi dal demonio che si serve della paura dell’uomo per farlo cadere in suo potere.
Questi sono solo alcuni degli spunti di riflessione che possiamo trovare in questo libro, spunti interessanti e ben sviluppati, ma non sempre facili da afferrare. Ho trovato un po’ di difficoltà nel leggerlo, probabilmente a causa del linguaggio non esattamente semplice, ma d’altronde come potrebbe esserlo visto l’impronta decisamente filosofica del testo?
Mi è sembrato di fare una salto indietro nel tempo, quando al liceo passavo ore con la testa china sui manuali di filosofia per cercare di dare un senso alle frasi che scorrevano indifferenti alle mie difficoltà di catturarne il perché. Tuttavia non tutti, per fortuna, siamo uguali e sicuramente, per gli appassionati di saggistica sarà uno scherzo tuffarsi in queste pagine.
La mia valutazione finale non può che dare la sufficienza al libro per l’argomento trattato e per la correttezza della forma, anche se, al di là di ogni bella parola, di ogni concetto più o meno arzigogolato, per me essere madre significa semplicemente amare.
Sahira

Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…