Narrativa
Self-publishing
settembre 2014
cartaceo, ebook
186
"Il mondo dei clochard in una dimensione incantata e poetica." Ecco un modo possibile di definire il lavoro dell'autore. L'ottica con cui Salvatore Scalisi guarda i senza tetto e gli emarginati è benevole; egli è del tutto schierato dalla loro parte; è abilissimo a mettere in rilievo i loro sentimenti, le loro gioie, i loro dolori rassegnati. La vita di questi particolarissimi esseri umani, nel racconto, si svolge in una realtà ovattata; scorre cioè, in una dimensione sovrapposta alla realtà "normale" che resta in sottofondo. Allora l'una e l'altra realtà diventano due rette parallele che scorrono lontane all'infinito e non si incontrano mai, o quasi e, se si incontrano, è solo per scontrarsi, per evidenziare l'abisso senza fine che separa i due mondi.
Tutto questo accade sullo scorrere di paesaggi tratteggiati a tinte sobrie e delicate come acquarelli. Bellissimi e pieni di grande fascino, le descrizioni degli interni ora spogli e tristi, ora luminosi e festosi.
“Dopo essersi salutati, stando attenti quasi a non manifestare le proprie commozioni, l’uomo si allontana lasciando alle sue spalle due anime e un mondo che non è riuscito ad amare come avrebbe voluto e va incontro a un destino di cui non conosce la vera identità.”
Stefano è stanco della solita vita, forse più che stanco direi disilluso e questa suo disincanto si traduce in pesantezza, apatia, poca voglia di fare. Il suo sogno? Essere uno scrittore; ma non basta riempire fogli su fogli per essere definito tale. C’è bisogno di qualcuno che ti riconosca, di un libro fresco di stampa con sopra il tuo nome impresso perché anche i tuoi occhi vedano ciò che la mente desidera. Tante volte ha provato a inviare i suoi manoscritti alle più disparate case editrici, ma niente è mai tornato indietro, neanche una semplice lettera che spiegasse il perché i suoi racconti non riuscissero a sfondare.
La vita di ogni giorno non gli basta più. Un figlio, una bella moglie, un lavoro: forse per molti rappresenterebbero il Paradiso, ma come può vedere la bellezza che ha intorno chi dentro di sé non sente nulla? Decide di prendersi una pausa e, da un giorno all’altro, abbandona tutto per ritrovarsi a girovagare per strade sconosciute.
Comincia la sua nuova vita in una mensa per poveri ed è lì che incontra Giulio, un clochard che lo prende sotto la sua ala protettiva e lo inserisce nella comunità dei senzatetto.
Sotto la guida di Giulio Stefano si adatta velocemente ai ponti come casa, ai cartoni come letto, alle stelle come soffitto.
“Nel guardarsi attorno sente come una fitta al cuore: la sua nuova realtà inizia a prendere forma…si distende sopra un cartone, il borsone come cuscino e la coperta addosso datagli da Giulio, in attesa di essere vinto dal sonno.”
Quella dei clochards è una vita strana, scandita unicamente dagli orari dei pasti che sono soliti servire alla mensa dei poveri. Per il resto la giornata è libera di essere vissuta come meglio si crede e Stefano prende l’abitudine di recarsi ogni giorno nella piazza dove molti dei suoi nuovi colleghi rivendicano diritti su angoli e panchine. Ed è proprio qui che incontra Carlo, il filosofo come qualcuno lo chiama, col quale riesce a creare un legame talmente stretto da farsi “adottare” da lui una volta che Giulio, suo malgrado, lo abbandona.
Carlo lo spinge a scrivere, a non arrendersi. Grazie al suo sostegno riprenderà a far scorrere la penna con più entusiasmo. Ogni tanto il suo pensiero corre a ciò che ha lasciato: sa che prima o poi dovrà tornare lì dove ha deciso di interrompere il suo cammino. Lo farà, di sicuro, ma per ora ha Carlo, la penna, la strada e la libertà…
Non vi è mai capitato di chiedervi, quando incrociate per strada un clochard, quale sia la storia che si nasconde dietro a quegli abiti consunti dal tempo, dentro quegli occhi che a volte sembrano parlare e altre sono talmente lontani che ti verrebbe da inseguirli per vedere se si riesce a portarli indietro?
A me spesso, per questo ho voluto recensire questo libro: mi interessava conoscere, anche se solo attraverso un romanzo, uno di loro.
La prima cosa che balza all’occhio addentrandosi in queste pagine è la delicatezza con la quale l’autore riesce a descrivere la vita dei senzatetto. Ci mostra il loro percorso attraverso le loro parole che mai giudicano o ammoniscono. I personaggi sfiorano l’uno i ricordi dell’altro senza invaderli, macchiarli con la propria opinione, lasciandoli liberi di scorrere nella mente di chi parla per poi farli volare via senza ostacolarli. Nella famiglia allargata dei clochard ognuno vive la sua libertà , cercata o subita, in sordina, in solitudine, dentro e fuori da quel mondo che in un modo o nell’altro ha fatto loro male.
Questa dimensione poetica tuttavia non mi ha portato ad amare totalmente questo libro. Lo stile adottato dall’autore consta in una lunga serie di dialoghi serrati che più di una volta mi hanno lasciato senza respiro; questo, a parer mio, è andato a discapito delle ambientazioni, brevi o assenti, che spesso ho dovuto dedurre dagli scambi di battute dei personaggi.
La figura di Stefano non mi ha convinta fino in fondo. Il vuoto, la disillusione, credo siano difficili da capire finché uno non ci cade dentro. Eppure lasciare tutti in sospeso per decisioni da noi prese non lo considero un comportamento giusto. Questo fa il protagonista: per ritrovare se stesso e la sua musa ispiratrice abbandona la sua famiglia senza avere però il coraggio di tagliare ogni filo che ad essa lo lega. Tiene un piede in due scarpe. Ogni tanto si fa sentire a casa continuando a rassicurare tutti di un probabile prossimo ritorno che poi non avviene mai, e intanto continua a vivere la sua vita come più gli aggrada, senza il minimo senso di colpa, troppo incentrato su di sé e la sua ricerca dello star bene.
Gli altri personaggi si muovono sullo sfondo in maniera omogenea. Mi sono mancati tutti quei particolari, i gesti o le imperfezioni che permettono di dare loro un volto, di far si che si provi empatia per l’uno o per l’altro.
E questo è un peccato perché credo che riempiendo un po’ di più di vita luoghi e persone “L’uomo dei piccioni” sarebbe potuto essere un capolavoro visto che ha tutte carte in regola per diventarlo.
Sahira
Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…