
romanzo
Il ramo e la foglia Edizioni
1 luglio 2021
cartaceo
272

“Le rovinose” si svolge in Italia nei sanguinari anni del terrorismo. È la storia parallela di due ragazze che s’incontrano a Siena durante gli studi universitari e poi vivono vite diverse e lontane.
Due vite animate da utopie, ambizioni, passioni, sconvolte da fallimenti e ossessioni autodistruttive, raccontate in modi diversi. Rappresentandole, l’autrice costruisce un quadro nitido e talvolta impietoso del nostro paese, dove vicende private, spesso cupe, s’intrecciano coi fatti di più ampia portata che possiamo ormai considerare Storia. In un linguaggio incalzante, colto e ironico, con venature dialettali e della lingua di tutti i giorni, D’Angeli ci racconta dunque la nostra storia, fatta anche di sfide personali, violenze domestiche, discriminazione e ribellione.
Parte integrante del romanzo è la “Cronologia” che dal 1976 al 1988 annota l’impressionante successione delle uccisioni quasi quotidiane compiute da gruppi politici estremisti e dalla malavita organizzata.
“Non mi dimenticare. Clara”
Tre semplici parole dalla molteplicità di significati, ciascuno di grande intensità; tre parole che provocano un forte scombussolamento emotivo in chi le riceve e che, magari, avranno provocato forte dolore o speranza in chi le ha scritte.
La firma è chiara: “Clara”; il destinatario lo è altrettanto: “Silvana”. Due donne, appellate da Caterina D’Angeli “Le rovinose” nell’omonimo libro che ne racconta le storie, accadute tra il 1976 e il 1988, un decennio molto difficile e violento per la politica e la società italiana.
Ma partiamo dal titolo: perché “Le rovinose”? L’autrice forse utilizza questo termine in senso spregiativo? Non credo, o meglio l’idea di negatività che il termina porta seco non è direttamente riferito alle protagoniste (ma su di loro mi soffermerò dopo). Loro rappresentano quel canale in cui tutti i mali di quel periodo si riflettono; sono il simbolo delle conseguenze degli eventi storici e del modo in cui esse si riflettono sulla gente comune, e in particolare sulle donne. “Rovinose” perché rovinate dal contesto in cui vivono… e dalle persone che incontrano, a loro volta “rovinose” perché vittime del sistema politico e sociale del tempo.
“E non mi ricordo come passavamo il tempo in via Domenico Bucalossi. È probabile che io studiassi tutto il giorno, chiusa nella stanza che era stata delle antipaticone di Piancastagnaio; finire gli esami in autunno e laurearmi nella sessione invernale dell’anno dopo era la mia ossessione […] E Clara che faceva? La spesa, credo, forse cucinava anche se come cuoca non valeva niente; il resto del tempo l’avrà passato a leggere, dormire, curarsi le unghie, spalmarsi di creme…”
Clara e Silvana sono amiche: è stato difficile, inizialmente, immaginarle tali. Sono due donne completamente diverse nei modi di fare, nei pensieri, nelle aspirazioni. Una frivola, dedita al piacere e alla leggerezza, alla cura di sé, alle sue letture e agli uomini; l’altra più introversa, riflessiva, acculturata, decisa a cambiare la propria vita e affermarsi nel mondo dell’architettura. Dedita ai suoi studi e alla voglia di riscatto in una società che la relegherebbe a mera esecutrice materiali di ordini impartiti dall’alto (e da un uomo). Diverso è anche il modi di approcciarsi ai tempi: Clara si accomoda, anche per il fatto di essere reduce da un passato che l’ha abituata al rapporto schiava-padrone, ad assecondare, a sentirsi completa solo se guidata, in modo anche violento. Silvana, invece, è reattiva. Non ammette mentalità retrograde, si interessa di politica e vuole dimostrare a se stessa (e agli altri) che essere donna non equivale in automatico ad essere la massaia di casa, schiava del marito e della società.

Eppure Clara e Silvana si incontrano e si uniscono: hanno bisogno l’una dell’altra perché, fondamentalmente, in comune hanno il bisogno di avere un’amica con cui parlare o anche stare in silenzio, ma con cui “stare”. Eppure, credo che il romanzo di Caterina D’Angeli, nonostante parli di due donne come lo conferma anche il plurale del titolo, invero fa girare tutta la storia intorno ad una sola di esse: Silvana. Non a casa, soprattutto nella prima parte del romanzo, il punto di vista della narrazione si alterna tra quello di Silvana e quello di un narratore esterno alla vicenda. È come se un episodio lo si osservi da fuori, per poi viverlo attraverso la mente e il cuore di Silvana. In secondo luogo, gran parte del romanzo si sofferma su di lei: sui suoi ricordi, sul suo passato, sulla sua omosessualità, sulle sue sofferenze, su quegli episodi che non è mai riuscita a raccontare fino a quel momento. Il momento in cui Clara ritorna nella sua vita con un biglietto:
“Non mi dimenticare”.
Il romanzo si struttura in tre parti: nella prima e nella seconda viviamo il presente di Silvana, accompagnata da Dorina, sua amica e uditrice, che inizia a ricordare, in una notte da incubo, il suo passato, rievocata dalla figura riapparsa di Clara e dalle sue lettere ritrovate. Vicende trascorse con quelle che era la sua “amata” amica ripassano nella sua mente, nonostante avesse faticato molto a cancellarle. Tra una notte e il giorno seguente, Silvana si racconta per la prima volta, come mai aveva fatto finora, a Dorina perché ha bisogno di comunicare tutto quello che è stato e che aveva volontariamente rimosso dalla sua mente. E lo fa recuperando delle lettere, anch’esse destinate ad essere rimosse fino a quel momento.
Nella terza parte veniamo a conoscenza della storia di Clara... della vera storia. Quella di una donna che si era affidata ad un uomo perché riteneva di aver bisogno di una guida che le impartisse ordini su come vivere e su come farlo bene; che fosse la luce del suo cammino, tanto spaesato; che fosse il suo riscatto da un mondo che la conosceva solo come “La Grulla” di Sassetta. Una storia ricca dal punto di vista emotivo e psicologico e che delinea il lento e inconsapevole processo di annientamento di sé. L’apparenza di quanto traspariva dalle lettere inviate a Silvana acquisisce luce nuova, vera e cruda dal suo diario, unico e solo mezzo di sfogo libero per lei.
“All’improvviso mi sono vista con gli occhi di Filumène, che rovina! Un ammasso di ciccia sfatta che sbuzza da tutte le parti, una camminata a balzelloni da impedita e la faccia, diobono, terremotata! Le occhiaie fino al mento, la pelle vizza, rugosa, un cumulo di macerie. Ci ho messo un po’ a ritrovare gli occhi in quel franamento, non erano viola? Adesso stinti, opachi”
A corredo di queste sezioni ci sono un capitolo conclusivo, breve, sulla testimonianza di Filumène, una “fattucchiera” che è stata vicino a Clara per diversi mesi, nella masseria in cui si era trasferita insieme al marito; una cronologia di tutti i fatti storici e politici accaduti negli anni Ottanta che, oltre ad aiutare ad inquadrare le vite dei personaggi anche nel loro contesto storico, politico e culturale (e non posso non pensare alla figura di Lorenzo). Questa ci fa comprendere che Concetta D’Angeli ci racconta di storie vere, non della nobiltà, ma del paese e della campagna, i veri rappresentanti e testimoni della vita di quel decennio.
“Le rovinose” è un romanzo ricco, intenso e profondo.
Impegnato nelle tematiche che tratta, come le rivoluzioni degli Anni di Piombo, i crimini e le violenze comuniste, le credenze e le ideologie di chi voleva opporsi al regime sfociando in eccessi che rasentavano la follia; la situazione delle donne nella società del tempo, la fatica di affermarsi quale donna in carriera, le etichette sociali; le difficoltà di vivere in famiglie difficili, il rapporto con la madre, l’omosessualità e come viverla in una società retrograda, la nobiltà e i suoi intrighi di corte, la morte e i sensi di colpa, la solitudine, l’amicizia. Davvero l’elenco potrebbe continuare. E se state pensando che questo sia un romanzo noioso, mi spiace deludervi ma non è così! Ancora non riesco a spiegarmi come, ma Caterina D’Angeli ha reso tutto questo un film da leggere senza suscitare mai noia. Il suo linguaggio è ricercato ed elevato, pur essendo di facile comprensione.
Il tempo della narrazione è lungo. Una notte e un giorno di ricordi e racconti che si dipanano su quasi trecento pagine, tutte intense, tutte vere. È la verità il punto di forza del romanzo; i personaggi sono veri (seppur, credo, frutto dell’invenzione dell’autrice), le storie di vita sono vere, le vicende sono vere. Si assiste ad un quadro degli anni ’70/’80 reale e, soprattutto, si assiste a come questo quadro viene vissuto dalle persone comuni, semplici, ricche (e non per soldi, ma per contenuti).
Ogni capitolo è introdotto da un proverbio o un aforisma che non creano distacco. La storia è continua, senza interruzioni. Semplicemente, è necessario prendersi qualche secondo per un bel respiro prima di continuare ad addentrarsi in queste vite così fascinose perché reali. A voi capita mai?

Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.