Romanzo storico
Land Editore
20 novembre 2022
Cartaceo, ebook
252
Il giorno dell'anniversario della morte del padre, Laura viene invitata da un’amica a un party in una splendida villa. Il nuovo proprietario, Sebastian, si appresta ad accogliere figure mascherate in abito da sera in stile vittoriano.
È in quest'atmosfera che tra Laura e Sebastian scatta la scintilla; durante una passeggiata in giardino, la ragazza viene attratta da una misteriosa altalena. Un cimelio magnetico, coperto di edera e dall'aspetto triste e malinconico. Proprio su quel legno ormai sdrucito, nascosta agli occhi dei più, capeggia la scritta:
“Dentro la mia anima, vivrai qui per sempre.”
Grazie a quell'altalena, Laura compirà un viaggio indietro nel tempo, dai giorni nostri al lontano 1944, anno in cui nacque la drammatica storia d'amore tra un partigiano coraggioso e una ricca ereditiera italiana promessa sposa a un nazista.
Che ruolo ha l'altalena in tutta questa storia, e perché Laura è così ossessionata dall'idea di scoprire la sorte di due amanti tanto lontani da tutto ciò che lei rappresenta?
“La ragazza dell’altalena” di Francesca Costenaro, edito Land Editore, è un bellissimo romanzo storico, ambientato su due livelli temporali: il presente, 2022, e il passato, 1944.
Il romanzo è strutturato in dieci parti, più l’Epilogo. I personaggi si muovono tra Marostica e Venezia.
Nel presente, conosciamo i fratelli Grande: Sebastian e Giulio. Il primo è un architetto razionale, serio e un po’ cinico.
“Era fatto così, le cose dovevano andare esattamente secondo i suoi piani. Quando non succedeva, provava un senso di frustrazione che generalmente passava il giorno dopo”
Giulio, invece, assomiglia alla madre, sempre con la testa fra le nuvole. Biondo, occhi chiari, caotico e, da due anni, aveva fatto outing. Più simpatico del fratello, è decisamente il mio personaggio preferito perché trova sempre il modo di sdrammatizzare.
“Zio, sei sicuro che vada tutto bene? Mi sembri strano, quasi sotto effetto di stupefacenti”
Quanto amava l’epoca vittoriana, Giulio! Tanto che aveva voluto dare un ballo in maschera per il suo trentesimo compleanno.
Il fratello si presenta con il frac, la camicia bianca e la cravatta scura.
“Doveva ammetterlo: faceva un figurone. Sembrava un conte di un’altra epoca che si apprestava a bighellonare e a pavoneggiarsi in pubblico. Era alto, di carnagione mediterranea, la barba scura appena accennata, i capelli bruni.”
Alla festa partecipano anche Fabio, sua sorella Elettra e l’amica Laura. L’occasione per il ragazzo è quella di presentare ufficialmente il suo compagno: Giulio, il festeggiato.
Durante il ballo in maschera, anche Sebastian rimane piacevolmente colpito da una ragazza sconosciuta.
“Indossava un abito color ocra, sicuramente economico e stretto in vita, con un decolté che si intravedeva niente male. I capelli, intrecciati e raccolti sul capo, erano di uno splendido color rosso ramato. La mascherina elegante, a forma di farfalla, era ricamata da spazi schiusi come una ragnatela, e faceva risaltare gli occhi di un verde acceso” – La ragazza dell’altalena
Un ballo in maschera è, in fondo, una metafora della vita. Siamo tutti attori su questo enorme palcoscenico. Interpretiamo, di volta in volta, la parte che più ci aggrada. Quando indossiamo la maschera, forse troviamo il coraggio di dire o di fare quello che preferiamo.
Il proprietario della Villa era il conte Guido Bosco, che si era spento a soli quarantaquattro anni nel 1965, in completa solitudine. La dimora venne poi acquistata da Vincenzo Grande, lo zio dei ragazzi.
Come faceva lo zio a conoscere Guido? Perché era proibito loro fare domande sul conte? La risposta era sempre la stessa: “Non chiedermi mai più perché muoiono le persone!”
Come in tutte le antiche ville, anche in questa aleggia lo spirito di un fantasma… e si stanno per affacciare dei misteri che legheranno diversi personaggi.
“La luna si rifletteva su una superficie indistinta che spuntava a una decina di metri da loro. Era un oggetto bianco, ma la penombra non permetteva di coglierne la natura”
Era un’altalena. Tutto ruota intorno a quel gioco.
A causa della festa in corso, lo zio novantenne, non riuscendo a dormire, si alza per andare a controllare. Intravede il nipote maggiore, quello che avrebbe dovuto essere più assennato, in compagnia di una ragazza.
Avete mai avuto un déjà-vu?
“… i capelli rossi e la mascherina nera… La mente sembrava fargli un brutto, anzi, un pessimo scherzo. Davanti agli occhi cominciarono ad apparire immagini rivissute tantissime volte e archiviate da molto tempo: un ballo proibito dal sapore dolce, un vino nascosto… la guerra”
Era Laura. L’incubo peggiore della ragazza era stato il padre, Andrea, morto di cirrosi, diversi anni addietro. Quanto aveva odiato la puzza di alcol che si portava dietro. Per fortuna non era violento. Si isolava in un mutismo che sconfinava nella catalessi.
Cosa può accadere ad un uomo per cominciare a bere, fino a diventare oppresso da una dipendenza?
La giovane non riusciva a capire sua madre, Sara: “Come aveva fatto a rimanere sposata con un uomo del genere?”. Tuttavia, madre e figlia ce l’avevano fatta a superare quel periodo, rimboccandosi le maniche, lavorando sodo e potendo contare sull’affetto e sul supporto dei nonni paterni, che erano persone squisite. Sono riuscite ad avviare un’azienda, la Carbone, il cognome di Laura, nella quale coltivano frutti, ortaggi e producono olio.
La ragazza è “disordinata ma maniacale nel lavoro, lunatica, impulsiva, con la testa fra le nuvole, persino troppo pasticcione. Era un controsenso vivente”.
Mi è piaciuto molto il rapporto che hanno instaurato mamma e figlia, fatto di confidenze e di complicità.
Proprio nella casa dei nonni, Laura trova una lettera ingiallita, datata 16 maggio 1944. Veniamo proiettati indietro nel tempo…
Conosciamo, così, un giovane Vincenzo, all’epoca detto “Terremoto”, che si era appena unito alla Resistenza e non faceva altro che correre e nascondersi insieme ai suoi compagni.
“Si muovevano di notte, dormendo nei boschi, nei casolari o in qualche soffitta di persone all’apparenza innocenti. Avevano il vantaggio di conoscere a menadito quei luoghi e poi si spostavano in continuazione, di paese in paese”
Era difficile assuefarsi al dolore, alla rabbia, alla paura, ma occorreva andare avanti. Non ci si abituava mai ad uccidere un uomo, un ragazzo della propria età che, in punto di morte, piangeva e invocava la madre.
Nel 1944, Carla Bosco ha sedici anni e vive con i genitori nella villa. Per il suo compleanno chiede una semplice altalena, “Perché in quel drammatico periodo voleva sentire il vento attraversarle il corpo, provare un senso di libertà, seppur per pochi attimi”.
Quella zona del giardino, avvolta dal silenzio, divenne il suo rifugio.
La relativa tranquillità della famiglia viene sconvolta da una richiesta a cui il capofamiglia non se la sente di sottrarsi.
All’epoca era pericoloso aiutare e, ancor più, nascondere in casa fuggiaschi, ebrei o partigiani. Erano tempi infami, si viveva di sotterfugi e si evitava di pronunciare frasi che potevano essere considerate pericolose.
“Abbiamo paura di aprire bocca, di esprimere un nostro pensiero, addirittura di agire. Ceniamo con pazzi che credono fermamente nella superiorità di un uomo rispetto a un altro, tanto da uccidere senza nessun rimorso, senza nessuno scrupolo. Come possiamo noi, come posso io guardarmi allo specchio al mattino e non sentirmi complice di tutto questo?” – La ragazza dell’altalena
Ritornati al tempo presente, ci sediamo in una piccola osteria di Venezia per un aperitivo in compagnia di Sebastian: un’ombra o un bianchetto, accompagnato da cichéti, stuzzichini.
Il passato e i segreti inconfessabili, portano il maggiore dei fratelli Grande e Laura a Venezia.
Uno dei segreti riguarda una tematica di cui non avevo sentito parlare, ma in tempi di guerra, per sopravvivere, si commisero nefandezze di ogni tipo. Senza svelare nulla, questa parte è raccontata così bene da Francesca Costenaro da farmi commuovere.
In quella stessa villa, anche durante la guerra, si tenevano balli in maschera… ed ecco che le storie sembrano ripetersi, con protagonisti diversi.
È una scrittura intensa, pregna di angoscia, passione e sofferenza.
Il consiglio dell’autrice è che “l’orgoglio non porta a niente di buono. Affrontare le situazioni difficili è il modo migliore per ottenere delle risposte immediate, e per impedire che peggiorino rovinosamente”.
Anch’io ho un consiglio da darvi: preparate i fazzoletti, sarà difficile non commuoversi leggendo questo romanzo!
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐
Mi chiamo Alessia. Sono un’insegnante di matematica e inglese. Vivo in provincia di Pavia. Adoro leggere (soprattutto gialli), fare yoga e cucinare.