saggio, scienza, religione
Puntoacapo Editrice
maggio 2020
cartaceo
472
L’umanesimo naturalistico è ormai radicato nel pensiero di oggi: Dio, spirito, coscienza, libero arbitrio sarebbero solo illusioni, autoinganni, retaggio di un passato prescientifico venato di ignoranza e superstizione, l’essere umano un insieme di atomi e sofisticati algoritmi plasmati dall’evoluzione.
L’Homo sapiens, non in sé differente dagli altri animali se non per il fatto di essere arrivato per primo ad occupare una determinata nicchia ecologica, sarebbe ormai datato, obsoleto, migliorabile, riprogettabile, sacrificabile e sostituibile con esseri transumani non più biologici, enormemente più intelligenti ma artificiali. Ma le cose stanno veramente così?
È quello che si chiede Zbigniew, giovane ricercatore che ha riscoperto la fede attraverso le traversie dell’esistenza, confrontandosi con Jörge, scienziato e irriducibile ateo naturalista: come duellanti passeranno al vaglio implicazioni filosofiche della nuova fisica, delle neuroscienze, dell’informatica, dell’estetica e della morale.
Verranno così prese in esame diverse tematiche del pensiero contemporaneo, dalla teoria degli Universi Paralleli alla Grande Simulazione, dalla teoria della Complessità alla posizione dell’essere umano nel cosmo, dalle nuove tendenze nell’ambito evoluzionistico della Sintesi Estesa alle prospettive metafisiche della collocazione del flusso di informazione, dal Trans-umanesimo alla Super Intelligenza Artificiale.
Tutto questo all’interno di un intreccio imprevedibile. Anche se apparentemente nessuno vincerà la partita, alla fine molti luoghi comuni saranno comunque destinati a cedere. La realtà con la quale ciascuno di noi è chiamato a confrontarsi è troppo complessa per essere affrontata ad un solo livello, ci sarà sempre qualcosa che sfugge, qualcosa di sfocato, qualcosa di insondabile…
“Nell’essere umano… forse conviene partire dall’esistenza di questa realtà: il Bene e il Male, l’ordine morale… piuttosto che dall’estetica, che di necessità è un terreno più legato alla soggettività, al gusto, e che in ogni caso resta strettamente collegata alla morale. Volevo solo dire che nella natura tutto questo non esiste: gli animali non fanno il male, sono innocenti. La crudeltà e anche l’altruismo pur presenti nel mondo della natura non hanno niente a che vedere con la morale, sono meccanismi istintivi, inconsapevoli, non frutto di libere scelte”
La dicotomia tra Bene e Male, tra scienza e fede, tra morale ed estetica rappresenta un tema immane sia dal punto di vista del contenuto che dal punto di vista delle profonde trame di inter-relazioni a cui dà luogo. E, devo ammettere che difficilmente, di mia spontanea volontà, apro discussioni o dissertazioni in materia. Non so, poi, se per scherzo del destino (che non smette mai di metterci alla prova) o per mera casualità, mi è stata proposta la lettura di un – definiamolo per il momento così – “saggio” che non si sofferma su uno solo degli aspetti citati, ma li comprende tutti, calandoli inoltre in alcune realtà altrettanto complesse e, a loro volta, di stimolo per ancora altre relative riflessioni.
La poiana bianca del libero arbitrio di Federico Dell’Agnese Carlis ha come sottotitolo Romanzo filosofico in bilico tra Scienza e Fede e inizierei la recensione di oggi soffermandomi proprio su questo bilico. È dai tempi dell’Umanesimo che la ragione si è insinuata nei meandri dei Dogmi religiosi, ponendo dubbi e sollevando i problemi del “non spiegabile”, o, come lo definirebbe Dante, dell’ineffabile. Ma se nel 1200 parlare di ineffabilità non dà luogo a confutazioni, nel 1500 qualcosa cambia: anche l’ineffabile deve essere spiegato razionalmente e se ciò non è possibile, non si è di fronte alla verità. Inutile dilungarmi sulla storia: potrei solo annoiare o, addirittura, risultare banale ai più che la conoscono molto meglio di me. Ma mi serviva un appiglio storico per ripetere a me stessa che il romanzo di Federico Dell’Agnese è calato in una realtà che va conosciuta almeno nei suoi originari tratti essenziali, altrimenti (e l’autore mi perdonerà) il suo intento letterario fallisce.
Il nodo centrale del saggio/romanzo, che ruota intorno a specifiche storie di vita (come vedremo a breve), è dimostrare (o forse solo comprendere), quando si parla di fenomeni che riusciamo a spiegare razionalmente, quanto la morale e l’ultraterreno possano incidere nella libertà di scelta dell’individuo o se tutto sia meramente riconducibile agli impulsi elettro-chimici dei neuroni del nostro cervello; o ancora, in caso contrario, se tutto sia rinviabile a quella parte della fisica quantistica che sperimenta la correlazione tra eventi scollegati tra loro senza riferirsi a principio causali o agli elementi spazio-tempo.
Ma il mio intento, oggi, non è di certo confondere, complicare o portare il lettore a prendere una scelta sul se continuare a leggere o meno questa recensione; bensì di capire il messaggio che l’autore vuole comunicare, ossia che al di là della fede e della ragione, c’è qualcosa di superiore che spinge l’uomo ad agire e, poi, a sopravvivere, nel bene o nel male, alle conseguenze che le sue scelte hanno provocato.
E così, conosciamo Jörge, professore universitario di fisica teorica, in crisi rispetto allo svolgersi della propria vita per un matrimonio che lo ha spento nell’animo e nella considerazione di sé; lui sceglie di rinunciare alla fedeltà del vincolo coniugale e di lasciarsi trasportare dai moti passionali del suo inconscio; controbatte con fervore le teorie filosofico-scientifiche di Zbigniew, un ricercatore che non solo lo confuta nel profondo della razionalità, ma gli porta via anche l’oggetto, ormai dissipato, del suo desiderio.
Non proprio, Rhod: Dawkins non concepisce la selezione di gruppo, per lui non va nemmeno presa in considerazione. Elenca, mi sembra, una serie di motivi e vantaggi darwiniani per giustificare l’origine dell’altruismo, della bontà, dell’empatia e della generosità: la parentela genetica; lo scambio; la restituzione dei favori ricevuti e l’elargizione di favori in previsione di una restituzione futura […] Proprio quello che alcuni scienziati contestano alle religioni.
Susan è una donna che opera nel mercato finanziario e, in collaborazione con la sua amica Ludwiga, alla ricerca di un riscatto più familiare che sociale, prende una scelta azzardata che provocherà molti problemi non solo a se stessa, ma soprattutto ad un intero Paese. Scopriremo, poi, il suo legame, inaspettato per il lettore, con uno dei personaggi del romanzo e il ruolo che lei rivestirà nella rappresentazione di una fede su cui non aveva avuto modo di soffermarsi fino a quel momento di sofferenza.
E cosa pensate delle scelte prese per imposizione da parte di un superiore gerarchico? O in virtù di un ideale? Quanto in esse conta la sussistenza del libero arbitrio? Conoscendo Fioravante, un ex partigiano, e leggendo le testimonianze di nonno Joseph sulla guerra, viene davvero naturale chiedersi come fare i conti con ciò che si è “dovuto” fare. Ma il libero arbitrio quanto si correla alla necessità di un obbligo?
Emblematico il personaggio di Sheila: una povera ragazza salvata da una vita poco dignitosa di sopravvivenza, ma poi divenuta complice di un crimine più grande di lei. Nel suo animo emerge la coscienza che mette in discussione la scelta che sta per prendere e che la fa sentire incerta sul da farsi; una coscienza che non la abbandonerà per la restante parte della sua vita.
Ma ci sarebbe davvero tanto altro da dire. Mi sono imposta di non scrivere un trattato di pensieri, anche perché non ne avrei né la competenza né la capacità. Ho toccato temi davvero spaventosi dal punto di vista ontologico.
Gli esseri umani, quando hanno intrapreso il progetto di creare altri essere intelligenti, hanno pensato di poter superare Dio, di fare qualcosa di meglio, potenziando fino all’esasperazione l’intelligenza, la memoria, le doti fisiche, la lunghezza della vita, l’esperibilità della felicità, la capacità di provare emozioni, lo spettro delle sensazioni sperimentabili, gli stati alterati della coscienza.
Cosa mi ha lasciato questo libro? Mi ha messa in discussione facendomi vedere da vicino le menti e i cuori di chi si trova a compiere scelte difficili che poco hanno a che vedere con il “cosa mangiamo a cena?” o “scegli il bianco o il nero?”. Politica, guerra, religione, lezioni universitarie, tesi scientifiche, filosofia sono i contesti in cui vengono effettuate scelte. E alla fine, alla fatidica domanda sulla compatibilità o meno del concetto di libero arbitrio alle scienze, mi ha fatto azzardare ad una risposta, ovviamente non frutto del mio sacco: Crede ut intelligas et intellige ut credas. Eh si, ho scelto questa frase a conclusione di queste riflessioni. Qualcuno potrebbe obiettare al fatto che a pronunciarla sia stato un Santo, quindi sarebbe poco consona a garantire l’obiettività nella valutazione del libero arbitrio. Ma, perdonatemi: quale supporto alla scienza può essere migliore di quello dato da un discepolo di Dio?
E forse anche Federico Dell’Agnese un po’ la pensa come me: non a casa sceglie di terminare il suo romanzo con una lettera singolare, e non perché a scriverla è una sola persona (anzi forse parlare di “persona” non è corretto in questo caso… e il lettore scoprirà il motivo), ma perché apre le porte ad un altro grande tema che ruota intorno al rapporto tra la ragione/la scienza e il sentimento che è pungolo per le scelte. E la scelta sulla poiana è sintomatica in questo: non a caso è l’animale che simbolicamente rappresenta proprio quei collegamenti spirituali alle cose che, seppur terrene, attingono sempre, vuoi dall’origine vuoi nel corso dell’evoluzione vuoi al loro spirare, a verità superiori.
Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.