
romanzo
Il ramo e la foglia Edizioni
gennaio 2022
cartaceo
296

Questa storia è ambientata in una delle tante estati caldissime della Sicilia, in un piccolo paese volutamente non identificato per rappresentare ogni paese, ed è narrata in prima persona dal picciriddu: l’innocenza di un bambino rilegge poeticamente fatti cruenti come omicidi e ricatti, perché soltanto con la fantasia una città controllata dalla mafia può diventare scenario di avventure come in un telefilm. Purtroppo l’amara realtà tracima, rivelando a poco a poco il dramma della vita a scapito della dolcezza dei sogni e delle illusioni.
Legando fatti di cronaca a invenzioni romanzesche, con suoni, colori e sapori tipicamente siciliani, l’autore costruisce un ritratto palpitante della sua terra e getta un ponte tra storia, tradizioni e un futuro in cui l’amore è speranza e forza per il cambiamento.
Un romanzo teatrale, dove le maschere indossate dai personaggi sono necessarie per condurre una vita normale solo in apparenza, ma le stesse maschere non possono essere mantenute di fronte allo sguardo ingenuo, sincero e disinteressato di un picciriddu siciliano che diventa grande interrogandosi sulla mafia.
Un bambino di spalle, in bicicletta, in una giornata come tante lungo un sentiero come tanti, che magari lo sta conducendo a casa. Un uomo bassino, in abito, che sembra indicare qualcosa o qualcuno, o entrambe le cose, che solleva un bastone e ha lo sguardo torvo, non spaventato, nonostante ciò che sembra stia per accadere. L’assassino, di cui si vede solo la pistola puntata, proiettata sul palco di questo teatro, che purtroppo costituisce la vita, o almeno quella vita in cui il potere della mafia predomina anche sull’aria che si respira. “Il bimbo, il nano e l’assassino” è proprio il sottotitolo di “La mafia nello zaino” di Alessandro Cortese, edito da Il ramo e la foglia. Questa immagine, raffigurata sulla copertina del libro è opera di Giulio Rincione.
Ho deciso di iniziare questa mia recensione dall’immagine di copertina perché credo sia la summa di tutto quello a cui il lettore assisterà durante lo sfoglio delle pagine. Protagonista della scena è il bambino che osserva quanto accade sotto ai suoi occhi, di spalle; protagonista del libro è un bambino, che racconta quanto accade sotto ai suoi occhi (ma anche a sua insaputa) con l’ingenuità e la schiettezza proprie della sua età.
Lo sfondo geografico è la Sicilia: ci troviamo in un paesino dell’isola, dove tutti si conoscono e hanno in comune una caratteristica, il silenzio. Le descrizioni dei luoghi non sono molto presenti nel romanzo; Alessandro Cortese ambienta la sua storia in un posto che, seppur non nominato, è ben conosciuto da tutti per fatti di cronaca.
“«Che Don Nino è la sola possibilità che ci resta”» urlò lui. «Perché l’unico modo che abbiamo di cambiare le cose, per noi e pu picciriddu, per tutti i siciliani, è repigliarci quello che avevamo! Comandare noi e decidere del nostro destino, facendo fare ai politici quel che chiediamo e non il contrario!»” – La mafia nello zaino
A prevalere è altro: la vita che in questo paese si vive e il modo in cui i paesani la vivono, secondo gli occhi di un bambino di 10 anni. Il picciriddu è spettatore di vicende turpi, come il ritrovamento di un cadavere per strada dopo il tuono di un boato; di storie macabre relative ad un suo compagno Giulio, trovato morto senza mani a seguito del furto di cose segrete e importanti, contenute in uno zaino; scene di vita familiare, dove a predominare è la violenza e la padronanza; di storie ascoltate di cui si dice troppo o troppo poco. E qui le descrizioni non mancano e sono molto dettagliate, alle volte anche vere e crude.
Ma dove un bambino può assistere a tutto ciò? Nella Sicilia della Mafia, e lo scrivo senza il timore che qualcuno, come è accaduto al nostro picciriddu, possa dire che la Mafia “non esiste, è un’invenzione!“, “è cosa di gente che viene qua in vacanza e gli pare che in Sicilia c’è la mafia perché gli hanno detto questo!“. Logiche di una realtà, purtroppo, esistita davvero, al di là di quanto Alessandro Cortese ci racconta.
Il suo obiettivo è ricordare: il picciriddu si avventurerà in una sorta di caccia alla Mafia, caccia a chi ha ucciso l’avvocato Cantarò e il suo amico Giulio e, nel farlo, si imbatterà nel giudice Di Giovanni e nel suo collega Paolo, che questa mafia vogliono ucciderla! Vi ricorda qualcosa? Eh si, ecco il tema del ricordo: i personaggi sono il simbolo di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e della loro lotta alla Mafia.
Ma la storia di “La mafia nello zaino” non ruota intorno a loro due. Il nostro piccolo protagonista si ritroverà nel cerchio della Mafia, assisterà alle logiche strane di questi Pupi, vedrà omicidi e sparatorie, tutto senza essere visto. Farà esperienza indiretta delle conseguenze negative della Società, della “Famiglia”, fino a comprendere la Sicilia, ad amarla e a guardare altrove, per non essere più parte di questa Opera teatrale.
“Niente è come sembra e neanche la Sicilia. Tutti attori siamo e tutto teatro è: la maschera ce l’hanno messa addosso appena nati e, se uno non la vuole, allora deve andarsene” – La mafia nello zaino
Oltre al tema del ricordo è presente quello della violenza domestica, taciuta perché le cose così si crede che debbano andare; il tema dell’omertà tra persone che credono di agire in vista di un agire nobile; il tema della fede, quella vera e quella distorta da persone che credono che sia Dio a dare mandato all’uomo di far andare bene le cose, di far vincere sempre il rispetto. I personaggi di Cortese rispecchiano tutti una tematica specifica o un aspetto della realtà paesana. Un esempio simpatico sono le tre anziane signore, Triulu, Malanova e Scuntintizza, raffigurazione delle classiche tre comari sul ciglio delle strada, che tutto vedono e tutto riportano a dire.
Non mi dilungherò oltre sulle tematiche: su questi argomenti si parla tanto, si condanna tanto, si agisce poco. E Cortese questa difficoltà di agire ce la racconta bene. Ci fa entrare nei pensieri e nei sentimenti della povera gente che quotidianamente guarda e sta zitta, sta zitta e guarda. E fa tutto ciò nel mutismo, per la paura che ciò che oggi è successo a quel tale domani potrà succedere a lei. Il romanzo è un grido di denuncia, ma anche di insegnamento. Non è la Sicilia ad essere sbagliata, sono le maschere che ci scegliamo ad esserlo, al di là del luogo geografico. È sbagliato il voler cambiare le cose tramite mezzi violenti e sintomatici del primato del più forte.
“Sarebbe così brutto se ce ne andassimo e dimenticassimo tutto per ricominciare da un’altra parte? Potremmo essere persone nuove, sai? Sceglierci nuovi nomi, andare a vivere in una nuova casa… non dovrei neanche lavorare e forse tu potresti anche non andare a scuola e studiare a casa. Basterebbe tornare dal carabiniere e promettergli aiuto”
Il narratore è interno alla storia: un uomo si racconta e lo fa ritornando bambino. A parlare è il picciriddu, ma quanto racconta e il modo in cui lo fa non sono certo riconducibili ad un bimbo di dieci anni. Se devo trovare un neo in questo romanzo, è proprio questo: ho trovato discrepanza tra l’età del protagonista e il linguaggio e le riflessioni che il protagonista fa. Evidentemente questo è dovuto al fatto che dietro alla voce del bambino c’è il narratore sostanziale della storia. Lui racconta dopo aver maturato tutto quanto vissuto in età infantile e decide di raccontarlo con gli occhi di chi la verità vera non la conosceva. Questo aspetto non emerge subito: di conseguenza, ci troviamo di fronte ad un bambino che parla e pensa da adulto, rendendo’ il lettore un po’ perplesso.
Il linguaggio narrativo usato in “La mafia nello zaino” è quello della quotidianità. Ci sono intercalari in dialetto siciliano, facilmente comprensibili per un meridionale, un po’ meno per gli altri, ma le note a piè pagina aiutano in questo. L’uso del dialetto è una scelta ben condivisibile: aiuta ad entrare nella realtà viva che si sta raccontando. Aumenta la vicinanza del lettore al paesano, alle logiche mafiose, a quelle anti-mafiose.
Il tempo della narrazione comprende diversi anni (gli ultimi accelerati verso la conclusione). Il ritmo è moderato, così come con moderazione l’autore racconta i fatti. Un bambino non comprende subito le “cose dei grandi”: l’autore è bravo a far percepire al lettore questo aspetto.
Un romanzo che consiglio di leggere per le tante trame di sentimenti che ci sono alla base: non ci sono schieramenti. Cortese ci presenta la scena senza giudicare, ma sottolineando che dietro all’agire umano, sia buono che bruto che sia, ci sono logiche così incardinate nell’essere umano, che sembra quasi che ogni gesto, anche il più scelerato, trovi la sua giustificazione. Che libro carico di input riflessivi!
Voi quando leggete un libro siete soliti schierarvi o mantenervi neutrali per tutta la narrazione?

Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.