romanzo contemporaneo
Piemme
3 marzo 2020
cartaceo, ebook
384
Palestina, 1990. Isra ha diciassette anni e preferisce di gran lunga leggere piuttosto che intrattenere i pretendenti che suo padre le presenta. Eppure, nel giro di una settimana, la ragazzina sognante e ingenua, si ritrova sposata e, insieme la neo marito, catapultata a Brooklyn. Perché Adam e la sua famiglia sono emigrati in America, sebbene ciò non significhi che la parola "libertà" esista tra le mura della loro nuova casa. Anzi, i suoceri, Farida e Khaled, come lo stesso Adam, sono convinti che una donna serva solo per essere al servizio dell'uomo. Che non debba parlare se non interpellata. Che non abbia il diritto di sognare, ma solo il dovere di fare figli. Maschi, possibilmente.
Brooklyn, 2008. Deya è la figlia maggiore di Isra, e nonostante sogni di andare al college, anche per lei è il momento di incontrare i pretendenti. Forse sarebbe tutto diverso se sua madre Isra non fosse morta in un incidente insieme a suo padre, molti anni prima. Ma la nonna Farida è determinata, come lo era stata con sua nuora Isra: una donna è una donna. e deve sottostare ai suoi doveri. Eppure il destino a volte prende pieghe inaspettate, e quando Deya scoprirà la verità sulla storia dei suoi genitori, troverà la forza insperata di lottare per ciò che a sua madre non fu concesso di avere,
“Una femmina era solo un’ospite di passaggio che attendeva di esser portata via da un uomo” – da “La donna senza voce” di Etaf Rum, edito Piemme.
Tre donne, tre generazioni, un unico destino: sposare un pretendente scelto dalla famiglia e dargli un figlio maschio. È così che avviene nelle famiglie tradizionali islamiche, poco conta che si viva in Palestina o negli Stati Uniti. La tradizione va preservata. Ma per la giovane Deya, forse, non è troppo tardi per cambiare la propria sorte. Il coraggio di ribellarsi le può giungere solo attraverso la conoscenza della verità, quella sulla scomparsa dei genitori.
“In Palestina o in America, una donna sarà sempre sola”
Farida, Isra e Deya sono tre donne di origine palestinese, appartenenti alla medesima famiglia.
Farida si è dovuta sposare giovanissima, come voleva la tradizione, con uno sconosciuto scelto dai genitori. Khaled, suo marito, si è sempre sentito in diritto di sfogare ogni sua frustrazione su di lei, malmenandola. Comportamento condiviso da tanti altri mariti con la medesima mentalità. Farida ha dovuto crescere i suoi figli in un campo profughi palestinese. La povertà, la violenza e il duro lavoro l’hanno resa più forte, ma anche più intransigente e autoritaria.
Dopo il loro trasferimento negli Stati Uniti, l’acquisto di una casa a Brooklyn e l’avvio di un’attività di famiglia, la donna ricalca le orme delle sue antenate. I suoi figli dovranno sposare una donna giovane, di buoni principi, pronta ad obbedire e partorire dei figli maschi. Sarà lei a scegliere la candidata giusta, recandosi in Palestina. Le giovani connazionali cresciute in America sono troppo emancipate per i suoi gusti e Farida non vuol correre rischi. La futura nuora dovrà essere fisicamente e moralmente integra.
“Aveva imparato sin da piccolissima che l’obbedienza è l’unica strada che porta all’amore. E si ribellava solo nella propria intimità” – La donna senza voce
Isra è l’unica figlia femmina della sua famiglia. Il suo compito è quello di aiutare la madre nella cura della casa, del padre e dei fratelli, oltre che di sposarsi appena possibile. È una ragazza timida, riservata, con l’insicurezza tipica delle figlie non amate. Non ha nessuna esperienza della vita perché non è mai uscita dal suo villaggio, se non con l’immaginazione quando legge i suoi amati romanzi. Per quanto ami perdersi in quelle storie, sa che non potrà dedicarvi molto tempo e neppure pensare di ricevere un’istruzione. Il suo destino è segnato. Passerà dal giogo delle violenze e restrizioni paterne a quelle di un marito. Ha solo diciassette anni quando sposa Adam, il figlio di Farida, e si trasferisce negli Stati Uniti.
Isra è smarrita, spaventata, ma anche speranzosa. Forse, in America, le donne come lei possono avere maggiore autonomia. Magari Adam le darà quell’amore che non ha mai trovato in casa…
“Imparalo subito, cara. Se vivrai la tua vita in attesa dell’amore di un uomo, morirai di delusione”
Adam si rivela anaffettivo, chiuso in se stesso e schiacciato dalle troppe responsabilità. Come figlio maggiore, deve rappresentare un esempio per i fratelli. Lavora duramente nella gastronomia del padre per mantenere tutta la famiglia e pagare l’università al fratello minore. Inoltre, è suo dovere generare un erede maschio. L’uomo non regge alla pressione, perciò cade nel vizio dell’alcol e diventa violento nei confronti della povera Isra, colpevole di partorire solo femmine.
Deya è la figlia maggiore di Adam e Isra, deceduti in un misterioso incidente stradale, del quale in casa nessuno vuol parlare. Era piccola all’epoca, ha solo un vago ricordo dei genitori. È stata allevata dai nonni, così come le sorelle minori. Esse hanno una vita apparentemente uguale a quella di altre adolescenti: vanno a scuola, prendono i mezzi pubblici in autonomia e leggono romanzi. In realtà, vivono sotto la rigorosa tutela della nonna. Non hanno amicizie e neppure una vita extrascolastica. Devono mantenersi integre per i pretendenti che lei sceglierà a tempo debito.
Deya è intelligente. Sogna di frequentare l’università e scegliere autonomamente il proprio futuro, ma non trova il coraggio di ribellarsi. Può solo rendersi sgradevole ai pretendenti che le si presentano. Sa però che, prima o poi, la nonna la indurrà a cedere. Teme l’ignoto al di fuori della porta di casa e, nello stesso tempo, anela ad esso. Si sente inquieta, non riesce a capire cosa sia giusto per lei e cosa no. Ha bisogno soprattutto di conoscere la verità sui suoi genitori e partire da essa per prendere in mano le redini della sua vita. Un aiuto dall’esterno le indicherà la strada…
“Non credi che le storie debbano essere usate per raccontare la verità?” – “No, noi abbiamo bisogno delle storie per proteggerci dalla realtà”
La narrazione di “La donna senza voce” si sviluppa in luoghi e tempi distinti. Inizia negli anni Novanta, in Palestina, con la storia di Isra, per poi spostarsi a Brooklyn in un quartiere di immigrati, dove si trasferirà. Le vicende di Isra si alternano a quelle più contemporanee di sua figlia Deya, nel 2008, inframmezzate dai ricordi e riflessioni della suocera Farida.
I capitoli sono tra loro legati da un sottile, ma bel distinto, filo conduttore, come quello che lega le perle di diversi colori in una stessa collana. Esiste un ordine che conferisce una logica alla trama sino alla chiusura. Il linguaggio narrativo è semplice, la lettura fluida e il ritmo rapido. Questo perché si tratta di una narrazione coinvolgente, che ci porta a seguire le vicende delle protagoniste con una certa partecipazione.
“Si era accorta che gran parte delle regole che Farida teneva in gran conto non si basavano affatto sull’islam, quanto sul concetto arabo di proprietà” – La donna senza voce
L’autrice è riuscita a dar voce al silenzio dei suoi personaggi senza voce, quelli femminili. Creature invisibili nel caos di una città progredita. Lei stessa è stata indotta a sposarsi giovanissima. Il suo racconto appare, infatti, tristemente realistico, così come Isra, Farida e Deya. Il tema principale è il coraggio di scegliere per cambiare ciò che è stato deciso (da altri). Spezzare la catena delle convenzioni per preservare la dignità propria e delle generazioni future attraverso l’autoconsapevolezza che manca sfortunatamente a tutte le donne senza voce.
Avvincente e coinvolgente. Una tematica affrontata con grande rispetto, semplicità e amarezza. Non manca, tuttavia, un messaggio positivo portato da un personaggio a sorpresa. Non voglio svelarvi altro.
“Ci hanno insegnato a tacere, e che il silenzio può salvarci. Solo adesso, così tanti anni dopo, ho capito che è falso. Solo adesso, mentre scrivo questa storia, sento finalmente la mia voce”
Vi piacciono le storie affrontate da autrici che hanno vissuto le stesse esperienze di vita delle quali narrano?
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐