Giallo storico
Newton Compton Editori
14 maggio 2024
Cartaceo, ebook
264
Roma 1599. Beatrice Cenci è una giovane donna condannata a morte per aver ucciso suo padre, un uomo malvagio che la violentò più volte e che vessò in ogni modo lei e gli altri suoi fratelli. Ma chi è veramente, Beatrice?
Una ragazza nata nobile, ma in una famiglia costantemente sull’orlo del baratro per via della condotta dissoluta del conte Francesco Cenci. Osteggiata dal genitore per il suo acume e la sua risolutezza, Beatrice è costretta a una vita d’inferno fatta di umiliazioni, culminate nella forzata clausura nella rocca di Petrella Salto, dove Francesco trasferisce la famiglia per sfuggire ai creditori e alla giustizia. Ed è proprio qui, in questo castello isolato, che Beatrice matura il suo proposito omicida.
Dalla nascita ai primi anni vissuti in convento, dalle continue angherie paterne agli amori clandestini e all’incontro con Michelangelo Merisi detto Caravaggio, che fino alla fine ne perorerà la causa: in questo romanzo, Simona Teodori restituisce il ritratto struggente e umanissimo di una donna diventata eroina popolare.
“La cospirazione dei Cenci” di Simona Teodori, edito Newton Compton Editori, è uno splendido giallo storico.
Fratello Candido di Montegranaro “sapeva osservare il prossimo in maniera così intensa e con tale concentrazione da incutere timore in chiunque si trovasse dinanzi a lui”. Aveva la cattiva abitudine di sottrarre carni e dolci dalla cucina. I risultati erano lampanti. Il frate era in evidente sovrappeso e non più agile.
Doveva portare un messaggio, da parte del cardinale, a Caravaggio. Quando entrò nella stanza, in cui filtrava una debole luce: “Michele era piegato in una torsione nervosa, appoggiato col fianco al grande tavolo, lo sguardo piantato su un punto indefinito del pavimento. Assorto, col pugno stretto sulla bocca, assomigliava a uno dei suoi personaggi, fissati nello spazio e condannati al silenzio, un’ombra scura nella luce impazzita del giorno, pennelli, colori, tele … La stanza era un coacervo di arte masticata in solitudine, dentro l’odore forte delle colle animali e dell’olio di noce”.
Aveva una personalità inquieta messer Merisi. Spesso furioso, a volte spossato dalle nottate passate nelle taverne romane. Ma quel giorno aveva uno sguardo diverso, afflitto.
Candido restò attonito nell’osservare il nuovo dipinto del maestro: la testa di Medusa.
“Caravaggio aveva catturato l’istante preciso in cui le veniva staccato il capo dal collo. Che diavoleria era mai questa? Il volto dipinto dal Merisi assomigliava a quello di un dannato dell’inferno”
Il pittore sapeva far riemergere, come cadaveri dal Tevere, quelle oscurità che avrebbero dovuto restare relegate negli abissi.
Caravaggio era un pittore, ma anche un alchimista. Per creare i suoi colori, così intensi e vividi, mescolava tra loro sostanze, utilizzando gli alambicchi.
Il Merisi aveva necessità di confessarsi, di raccontare a qualcuno, che credeva fidato, una storia inquietante: quella di “un ignobile assassinio”.
Frate Candido era un opportunista. Da un lato, non aveva alcuna voglia di ascoltare le confessioni di un manigoldo osannato dai nobili. Ma dall’altro… “grazie alla confessione del Caravaggio avrebbe potuto ottenere notizie (o succosi pettegolezzi) da rivendere nelle case degli aristocratici”.
Il pittore sapeva che il frate era in partenza per il Monastero di Monte Avellana, ove amava trascorrere un mese in estate. Poteva il benedettino conferire con il cardinale Aldobrandini a favore dei Cenci?
“Siete la mia pedina per sconfiggere un’ingiustizia”
Era una situazione delicata e risaputa, quella dei Cenci. Clemente VIII stava portando avanti la sua battaglia nei confronti della corruzione dei costumi.
È lo stesso Caravaggio, in confessione, a raccontare come aveva conosciuto i Cenci. All’epoca, Michele era un ventenne ambizioso, pieno di talento, ma privo di mezzi di sostentamento. Sopravviveva grazie a degli espedienti. Quando guadagnava qualcosa, lo spendeva subito nelle taverne.
Proprio in una di queste, incontrò “due scriteriati arroganti con cui legai quasi subito, perché i compagni di bicchiere, si sa, diventano fratelli senza condizioni”.
Era una sera del 1593 e i due gaglioffi erano Giacomo e Cristoforo Cenci. Con il loro aiuto, questo imbrattatore di tele, iniziò a lavorare presso delle botteghe rinomate ed ebbe occasione di conoscere Beatrice.
“La sua immagine di quel primo incontro sarebbe rimasta a lungo impressa nella mia memoria. Portava i capelli biondo rame appuntati sulle tempie con l’ausilio di due fermagli d’oro e pietre dure. Ricadevano sulle spalle, in parte liberi e in parte intrecciati a nastri azzurri, come l’abito di seta che si indovinava sotto il mantello” – La cospirazione dei Cenci
Come i fratelli, anche la giovane aveva un atteggiamento altezzoso, ma, a differenza loro, garbato.
Presso la bottega dei fratelli Cesari, Caravaggio realizzava solo nature morte. Il maestro di bottega aveva intuito il potenziale di quel giovane pittore e, roso dall’invidia, gli affidava solo incarichi di poco conto.
In seguito ad un incidente, Caravaggio venne ricoverato all’Ospedale della Consolazione, l’ospedale dei poveri. In quel luogo iniziò a dipingere liberamente, entrando a far parte del cenacolo di artisti del Cardinal Francesco Maria Del Monte.
Per Michele, il giorno di mercato era un momento di osservazione: “Infilavo gli occhi dentro la moltitudine e i suoi schiamazzi, dentro al suo puzzo. Sissignore, non sei un bravo pittore se le tele non emanano il puzzo dei corpi che ritraggono. Mangiavo gesti, sguardi, atteggiamenti e posture, sapevo che tutto mi sarebbe stato utile”.
Quella di Simona Teodori è una scrittura visiva e quasi olfattiva.
Caravaggio rivelò a fratello Candido l’oscuro segreto della violenza domestica che veniva perpetrata fra le mura della residenza dei Cenci.
Beatrice nacque il 6 febbraio 1577. Era figlia di donna Ersilia Santacroce e di Francesco Cenci. Lei e i suoi fratelli erano certi del giorno preciso della loro nascita perché il padre era solito annotare con puntualità la loro venuta al mondo.
L’autrice si sofferma sul delicato momento del parto, che era un’occasione istruttiva per le donne del popolo. Avevano l’opportunità di imparare sul campo le difficoltà e le strategie messe in pratica per far nascere i bambini.
Non accorrevano di certo le nobildonne, che temevano di macchiarsi le preziose vesti.
Ersilia scelse per la sua bambina il nome di Beatrice, che significa “colei che porta la felicità”. La nascita di una femmina era vista come una calamità perché sarebbe pesata sulla famiglia finché non si fosse trovato un casato degno e non troppo avido.
Ersilia Santacroce era una giovane fragile e pudica. Nella sua breve vita conobbe solo la violenza domestica e il dolore di dodici parti. Non riuscì a sopravvivere all’ultimo.
Beatrice e sua sorella Antonia furono mandate nel convento di S. Maria in Montecitorio. Quando uscirono erano convinte che il padre avrebbe trovato loro marito, ma si sbagliavano.
“Il papa stabilì che ‘entro un ragionevole lasso di tempo anco alla minore sorella Beatrice sia dato marito con egual dote’. Fu l’inizio della fine.”
Il conte Cenci che, dopo la scarcerazione, “ululava per la rabbia”, e vedeva cospirazioni ovunque, decise di lasciare la città insieme a Beatrice e a Lucrezia, la sua seconda moglie. Le due donne vennero quasi segregate presso la fortezza della Petrella, un luogo malinconico, lontano da tutto, nel quale le giornate sembravano non trascorrere mai.
Il più grande desiderio della ragazza era quello di fuggire, ma non vi riusciva.
“Sto aspettando il momento più favorevole per tornare in città: che io venga destinata a un marito, al convento o persino ai bordelli dell’Ortaccio. Almeno conoscerei una liberazione. Non voglio morire reclusa qua dentro” – La cospirazione dei Cenci
Tanti sono i temi trattati da Simona Teodori: da quello delle donne erboriste, estremamente colte, che venivano additate come streghe, a quello dell’antropologia alimentare.
L’autrice ci parla delle abitudini alimentari del tempo.
“Sulle nostre montagne la castagna supplisce la scarsità di cereali. Quel che mangiate, messere, qui lo chiamano il pane d’albero…
Noi a Milano mangiamo polenta, e la farina di mais assolve il compito della vostra farina di castagne”
Viene trattata la spinosa questione morale che ruota intorno al tema di ‘farsi giustizia’. Può essere considerato un delitto o un momento di liberazione?
Con la sua scrittura precisa e affilata, Simona riesce a farci patire l’angoscia e la paura provate dalle donne Cenci a causa di un padre e marito rozzo, violento e senza scrupoli.
Nella narrazione, l’autrice utilizza espressioni del sedicesimo secolo che rendono più credibile e veridico il racconto.
“La cospirazione dei Cenci” è la storia di un dramma dal quale nessuno ne esce vincitore. Una tragedia che, per gli argomenti trattati, potrebbe anche essersi consumata ai giorni nostri.
“Forse in un’altra vita, sotto altre stelle, sarò persino libera di amarvi”
Ringrazio la CE, Newton Compton Editori, per avermi inviato una gradita copia cartacea di questo straordinario romanzo.
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐
Mi chiamo Alessia. Sono un’insegnante di matematica e inglese. Vivo in provincia di Pavia. Adoro leggere (soprattutto gialli), fare yoga e cucinare.