
romanzo
Giazira Scritture
febbraio 2020
cartaceo, ebook
192

“Capita a chiunque di ammalarsi di questa specie di amore. Non è così strano. La situazione sfugge al nostro controllo senza che ce ne accorgiamo. Pensiamo di essere in possesso di ogni nostra facoltà, ci sentiamo sereni, razionali, ma non è vero, e si vede lontano un miglio che non è così, è come prendere il raccordo contromano e domandarsi come mai tutti abbiano sbagliato l’uscita.
Lo vediamo nello specchio, nella tristezza del nostro sguardo, nella mancanza di entusiasmo che ci divora, nelle risate false, negli sguardi increduli degli amici, in quelli annoiati di chi ci ripete da anni la stessa cosa: lascialo. Invece, quella sera io lo seguii”.
“Resto per un po’ ad ascoltare il vuoto, tutto il non odio che mi sta ammazzando. Vado in bagno e medico le ferite. Non piango nemmeno in silenzio.
Quando torno in terrazza a bere il mio meritato bourbon, il ghiaccio si è sciolto e Gimmi dorme già il suo sonno infernale”
Quello che per Gimmi è un sonno infernale, per Adele è la realtà con cui ogni giorno, ormai da anni convive. Se il suo primo matrimonio era stato un disastro, questo secondo è un vero inferno. L’uomo che lei tanto ama e a cui tanto si affida, altri non è che uno psicopatico, violento, che sfoga le sue frustrazioni e insoddisfazioni della vita sulle fragilità emotive e sul fisico della compagna, realizzata, stimata e ammirata.
Inizio col dire che leggere Io e il Minotauro di Elena Bibolotta è una grande impresa di coraggio e forza. L’autrice è molto brava a rendere vera e reale la storia, che ci viene raccontata in prima persona dalla protagonista. Il lettore entra in contatto diretto con i suoi pensieri, i suoi sentimenti, i suoi dolori, non solo emotivi. L’autrice non risparmia nulla: ogni scena di violenza, vissuta o ricordata, è descritta con dovizia di particolari e in modo crudo, come lo è, d’altronde, l’attore. Attore non solo in quanto soggetto agente dell’azione, ma anche in quanto professionista (più o meno).
Nel romanzo, tuttavia, non sono presenti critiche o condanne. Si assiste ad una fotografia della realtà: gli spettatori (amici, conoscenti, collaboratori) non comprendono come sia possibile che una donna come Adele, a capo di una casa cinematografica di doppiaggio e figlia di esponenti noti (non solo per la professione) del settore, subisca volontariamente la presenza di un marito violento; le amiche fidate continuano insistentemente nel cercare di aprire gli occhi dell’amica sfortunata, che non si rende conto che tutto ciò che il marito le fa non può essere sempre giustificato. Come si possono giustificare comportamenti del genere?
Eppure, in questa fotografia della realtà, Adele giustifica Gimmi, sia per il suo passato triste e altrettanto violento sia per la sofferenza che su di lui scatena il non essere riuscito a primeggiare nel mondo del cinema. Lo giustifica e si adegua ai suoi modi di fare, conoscendo bene ogni sua reazione, parola o gesto a cosa la condurrà. E poi c’è Gimmi: in questa fotografia in cui non può che assumere la parte del “cattivo”, Elena fa emergere anche un aspetto che va oltre ciò che appare, ossia proprio quello legato alle sue insicurezze e debolezze. Giammai giustificare la violenza, in qualsiasi sua forma e verso qualsivoglia essere umano, animale o inanimato, con le insicurezze e le debolezze! Ma questo vi fa comprendere come l’autrice non vuole giudicare… bensì fotografare e, magari, stimolare nel lettore una consapevolezza che quanto si legge in queste pagine, purtroppo, è vita vissuta di molti.
“Non posso dirlo a Sissi che se non ci sei dentro non puoi sapere e che questo non è un gioco di corde, né c’è una safeword per chiedergli di smettere e che mi consenta di salvarmi, ma è soltanto un’alba piena di promesse e un tramonto fatto apposta per tradirle”.
Emblematico è il titolo: Io e il Minotauro. Raffigura appieno quel limbo in cui si trova Adele: un labirinto senza fine, o meglio, con una fine… quella che la conduce direttamente a lui, il Minotauro. Un Minotauro che, da un momento all’altro, può decidere di tenerti in vita, o di farlo torturando, o di farti morire, psicologicamente e fisicamente.
Il finale è inaspettato e, secondo me, in linea con quella idea che Elena Bibolotti, ripeto, non ha, nelle sue intenzioni, quella di giudicare o condannare. Non sussiste una punizione, nonostante questa la desidereremmo tutti per Gimmi, dopo aver letto cosa sia stato capace di fare. C’è, invece, una luce. Il labirinto di Adele, alla fine, sembra sboccare verso un’uscita luminosa. Ma non vi dirò in che modo e se la luce, finalmente, arriva.
“Nessuno crede che siamo cambiate, perché capita troppo spesso che promettiamo fughe, che nel pianto liberatorio in pizzeria giuriamo alle amiche che la faremo finita una volta per tutte, che fingiamo di avanzare verso la consapevolezza e la libertà, ma nove volte su dieci torniamo sui nostri passi”.
Lo stile di Elena Bibolotti è scorrevole e, un po’ il tema, un po’ la sua bravura, magnetico. Il tempo della narrazione è molto dinamico. Ci sono continui flashback con cui Adele ripercorre gli eventi spiacevoli del suo passato personale e coniugale. Si ha l’impressione di vivere tutto insieme a lei, accanto a lei… e quante volte, caro lettore, ti verrà il desiderio di porgerle la tua spalla! Le descrizioni sono così precise e dettagliate da rendere difficile la lettura di alcuni periodi. Ma non fermatevi, abbiate coraggio e forza… perché servono ad Adele, ma soprattutto a noi che, da un momento all’altro, potremmo trovarci in una situazione del genere o potremmo sapere di conoscenti che vivono tragedie simili.
Un libro che va letto non per denuncia ma per farci capire che viviamo in un mondo in cui esiste il Bene e esiste il Male: dobbiamo imparare a riconoscere loro e l’influenza che hanno su noi. Un libro che può dare tanto, e spero aiutare.
“E mi conforta sapere che esiste, dentro di me, la capacità di concepire una possibilità di vita fatta di sacrifici grandi e amore per le piccole cose, di genitori silenziosi, di brodetti di carne messi sul fornello sin dall’alba, di tendine bianche alle finestre e di torte fatte in casa. Io che sono cresciuta tra tate straniere e psicologi per l’infanzia, tra camerini di teatro e aerei, mi sento a mio agio dentro di lei”

Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.