romanzo contemporaneo
Mondadori
gennaio 2023
cartaceo, ebook
360
Per i suoi clienti e vicini su 125th Street, Ray Carney è un commerciante serio: sgobba da bravo padre di famiglia nel suo negozio dove vende mobili a prezzi contenuti. Sua moglie Elizabeth aspetta il secondo figlio e, sebbene i suoceri non mostrino di apprezzare granché il fatto che la figlia e i nipoti vivano in un piccolo appartamento vicino ai binari della sopraelevata, Ray sembra soddisfatto così.
Ma dietro questa apparente normalità si aprono delle crepe: sono in pochi a sapere che suo padre era un membro piuttosto temuto della criminalità locale. Per giunta, con tutti quei divani venduti a rate, i soldi cominciano a scarseggiare. Per cui, se suo cugino Freddie occasionalmente gli porta in negozio qualche anello o una collana, Ray non vede la necessità di informarsi sulla loro provenienza; inoltre conosce un gioielliere in centro, anche lui molto poco propenso a fare domande e assai discreto. Inizia così il conflitto interiore tra Ray l'onesto commerciante, padre di famiglia, e Ray il malvivente.
Ma quando Freddie decide di prendere parte alla rapina allo storico Hotel Theresa, una serie di terribili malavitosi irrompe nella vita di Carney: dal gangster Chink Montague, "noto per la sua abilità con il rasoio a mano libera", a Pepper, reduce della Seconda guerra mondiale dalla pistola facile, fino al micidiale Miami Joe con i suoi eleganti completi viola. Barcamenarsi in questa doppia vita diventa sempre più difficile e pericoloso: riuscirà il nostro eroe a evitare di essere ucciso, a salvare suo cugino e ottenere la sua parte del colpo grosso? Ma, soprattutto, riuscirà a mantenere intatta la sua reputazione?
Questo ennesimo exploit letterario di Whitehead non è solo un esilarante dramma morale mascherato da poliziesco: è anche un romanzo sociale su razza e potere. Ma è in primo luogo una lettera d'amore nella quale Harlem – animata da una sfilata dickensiana di personaggi colorati e originalissimi – ha la stessa vivacità e ricchezza della Dublino di Joyce.
“Il ritmo di Harlem” è un libro che lascia il segno.
Per lo meno l’ha lasciato su di me, che sono stato catturato e catapultato in un mondo e in una atmosfera che, forse, non esistono più.
Mi è sembrato, infatti, di leggere un romanzo proveniente dalle penne della beat generation, quando si bruciava l’inchiostro di pari passo con le vite dei protagonisti delle storie. Ardevano, facevano luce e illuminavano il buio dei giorni che scorrevano piatti, uguali e uniformati a un sistema invecchiato male.
Sia chiaro, “Il ritmo di Harlem” non è niente di tutto questo: non ci sono viaggi on the road e nemmeno preghiere apocrife. C’è, invece, la penna di un autore – Colson Whitehead – che è in grado di far rivivere la realtà nascosta e poco ortodossa di un quartiere molto particolare di New York: Harlem. Per l’esattezza, una penna in grado di trascinare il lettore per le strade a nord di Manhattan degli anni sessanta e settanta.
Storie che raccontano un mondo sommerso fatto di ricettazione, rapine, riciclaggio e malavita da quattro soldi; storie che si incastrano alla perfezione nel contesto storico in cui sono inserite. Sono, infatti, gli anni delle rivoluzioni, della voce del popolo di colore che prova a far valere i suoi diritti, ma anche del riscatto economico e della grande mela che guarda al futuro.
Il ritmo di Harlem: il romanzo di Colson Whitehead
Il protagonista de “Il ritmo di Harlem” è Ray Carney, un padre di famiglia, titolare di un negozio di arredamento di seconda mano. Una persona onesta, dedita al lavoro e alla famiglia, che porta con sé l’eredità di un padre conosciuto nel quartiere come un uomo incline agli affari loschi. Sarà questa traccia lasciata dal passato, unita alla frequentazione del cugino Freddie, a far sì che anche Carney si affacci al mondo della malavita. Un passo dettato dal bisogno e dalla necessità, del resto non sempre gli affari luccicano e nella vita del protagonista sta per arrivare il secondo figlio.
Ray è un uomo scaltro, un personaggio capace di tenere testa ai più grandi criminali della città, pur non avendo esperienza e pur rimanendo sempre in disparte. La sua presenza non è mai sotto i riflettori, eppure, grazie a una accurata scelta dei collaboratori e a una capacità di valutazione, i suoi obbiettivi restano sempre a portata di mano.
Il dorway sleep
Dicevo, in apertura di questa condivisione di lettura, che “Il ritmo di Harlem” è un libro che in me ha lasciato il segno, ha lasciato qualcosa. Ebbene sì. Ciò che porterò per sempre, come souvenir di questa lettura, è il dorway sleep.
Di che si tratta?
Nel secondo grande racconto, dei tre che compongono il romanzo, Carney si trova costretto ad attuare una vendetta per via di una umiliazione subita da parte di un banchiere. Il piano viene studiato a puntino grazie al dorway sleep, ossia la suddivisione del sonno in due tranche. Il gioco è semplice: andare a letto la sera, fare qualche ora di sonno, poi svegliarsi nel cuore della notte, dedicarsi al proprio progetto e, verso mattina, tornare a dormire fino al suono della sveglia.
Io sono rimasto folgorato da questa idea. Trovo che possa essere perfetta per occuparsi delle proprie cose o vendette, perché no. Scherzi a parte, io immagino di alzarmi alle due per scrivere e di tornare a letto verso le quattro soddisfatto per il lavoro svolto. Di sicuro sarebbe del tempo di qualità, libero da ogni intralcio della quotidianità. Sempre che non mi si trovi con la testa crollata sulla scrivania.
Harlem: il quartiere in cui è ambientata la storia
A fare da sfondo a queste grandi storie c’è, come detto, Harlem. Uno dei più suggestivi quartieri di New York. Come ho scritto nel mio articolo precedente, conoscere il luogo in cui è ambientato un libro è un benefit incredibile. Certo, non posso dire di conoscere bene Harlem, ma, essendoci stato, posso dire che la mia fantasia, nell’immaginare l’ambientazione dei fatti, è stata agevolata. Così come è stato facile capire gli spostamenti dei personaggi su e giù per la Grande Mela.
Quindi tutto perfetto? Lettura da cinque stelle?
Per il mio gusto, se devo cercare un difetto a questo libro, forse la lettura si lascia un po’ troppo trascinare. Il ritmo è un po’ lento e le descrizioni di alcune situazioni sono abbondanti. La domanda giusta da farsi è: che sia proprio questo il ritmo a cui si riferisce il titolo del libro? Se è così, allora, chi sono io per esprimere un pensiero annebbiato in merito a un libro che, come detto in apertura, mi ha coinvolto e trascinato in un mondo tanto pericoloso, quanto affascinante.
Concludendo, consiglio “Il ritmo di Harlem” a chi ama le storie sporche. A chi piacciono i sotterfugi, a chi ama le situazioni che non vedono mai la luce del sole, a chi ama la periferia e a chi è in grado di sognare la vita dei due decenni che hanno rivoluzionato il mondo intero.
4 stelle ⭐⭐⭐⭐✰
Autore e speaker radiofonico.
Mi piace leggere, scrivere e condividere le storie.
Il mio sito è www.stefanobuzzi.com