
Narrativa
Fazi Editore
maggio 2020
cartaceo, ebook
230

Simone, davanti alla consapevolezza di una morte certa, viene raggiunto a Milano dai suoi tre figli, dopo molti anni di lontananza. È l’inizio di un periodo doloroso, ma per Carla si tratta anche dell’ultima occasione per recuperare del tempo con suo padre. [...]
Dopo il sorprendente esordio con La figlia femmina, Anna Giurickovic Dato torna con un romanzo crudo, sincero e a tratti destabilizzante, una riflessione profonda sulla figura del padre, capace di emozionare e far riflettere. Il grande me è un libro forte, che parla all’animo del lettore senza paure e senza reticenze, raccontando la storia di una famiglia rivoluzionata dalla notizia di una fine imminente e dalla scoperta di un segreto mai svelato, ma soprattutto la storia di una figlia costretta a fare i conti, ancora molto giovane, con il dolore di una grande perdita.
“D’un tratto, rifiuto l’immagine che ho di quel bambino che ancora non era mio padre, perché mai lo ho conosciuto e mai lo conoscerò, mi viene il desiderio di essere ancora più giovane e immatura di quanto lo richieda la mia età: io voglio esserti figlia, papà”.
Succede – spesso inconsciamente, a volte dichiaratamente – che un padre diventi figlio, e una figlia diventi genitore. Un’inversione di ruoli che sembrerebbe un meccanismo naturale, quasi tenero, invece, in queste pagine lo scenario è oltremodo doloroso. Simone sta morendo di cancro – lo scopriamo immediatamente, dopotutto la malattia è il tema dominante – al pancreas – lo sapremo solo successivamente, quando la malattia prenderà il sopravvento – e i suoi figli Carla, Laura e Mario lo raggiungeranno a Milano per trascorrere gli ultimi giorni con lui, sperando che non siano gli ultimi o forse sì.
Le passeggiate a braccetto, rallentando a ogni passo; un sorriso imbastito nel tentativo di celare la crudeltà della diagnosi; imboccarlo per fargli mandare giù quel poco, un cucchiaio per ogni figlio; sopportare teneramente i suoi sbalzi d’umore e non crollare di fronte a manifesti segni di delirio; reprimere una rabbia che non può essere mostrata ma che poi è palese; commuoversi dei suoi momenti sereni e fare a pugni con una male che lo divora giorno dopo giorno.
In fin dei conti, vedere un padre prosciugarsi di vita non è affatto un bello spettacolo, lui che era il musicista, un lettore appassionato, un improvvisato archeologo e un senatore della Repubblica! Il personaggio di Simone viene fuori dalle parole della figlia Carla, che è poi la voce narrante, a spezzoni tra i momenti di riposo che il cancro galoppante gli concede: è come vedere scorrere delle diapositive, quelle dei ricordi, terribili fautori di sensi di colpa.
Un giorno, però, inevitabilmente, il resoconto del passato è l’unica cosa che resta: davanti solo porte chiuse, strade scartate per altre, sogni appena toccati, risultati mai raggiunti. […], d’improvviso scopriamo che non c’è nessun futuro, che persino il presente è fioco, e tutto fa già parte del passato.
Sarà proprio per i rimpianti e i rimorsi che Simone si decide a scoperchiare un enorme macigno svelando “il grande me” tenuto nascosto, ma senza smascherarlo: i figli saranno al cospetto di un segreto minaccioso e indecifrabile. Una trovata narrativa che permette di sostenere la lettura, lenta e difficile come l’agonia che racconta. Una cerniera che lacera la famiglia e che si richiude solo alla fine, incitando il lettore a ricorrere la verità.
Non è un bel libro, ma può senz’altro dirsi un libro vero: chi parla e scrive si lascia trascinare dal flusso degli eventi, confessando le impressioni vissute sulla propria pelle senza filtri e senza giudizi, perché di fronte alla malattia, ci si inventa un sorriso, si scappa, si torna a sperare e si fugge di nuovo in un eterno ciclo vizioso fino all’ultimo sospiro.
La prosa ne è esplicativa, personalmente l’ho trovata veritiera, specchio di come vanno davvero le cose quando non si ha scelta e se nella prima parte il flusso di coscienza, ricco di domande aperte e riflessi incondizionati, si alterna a raptus di speranza, nel secondo atto della malattia non c’è più spazio per le diapositive di ricordi: la narrazione, come fosse un corpo in disgregazione, precipita infausta e il silenzio adombra l’intera famiglia sotto i colpi assordanti di una solo domanda «quale funzione ha perso, oggi, papà?». Quando cala il sipario, non resta nessuno, né un padre né una figlia.
L’autrice
Anna Giurickovic Dato È nata a Catania nel 1989, ma vive tra Roma e Parigi. È avvocato, ha un dottorato in Diritto pubblico ed è sceneggiatrice. Il suo romanzo d’esordio, La figlia femmina (Fazi Editore, 2017), è arrivato finalista al Premio Brancati 2018 ed è stato tradotto all’estero in cinque paesi tra cui Francia, Germania e Spagna, ottenendo un largo successo di critica e pubblico. Il grande me è il suo secondo romanzo.

Amo la lettura praticamente da sempre, amo i suoni che produce, le storie che crea e le emozioni che evoca.
Non posso fare a meno di scrivere che è il mio pane quotidiano e adoro correre. Non faccio maratone ma mi deletto con lo squash e nel tempo libero sforno crostate.
Che altro dire? La Bottega dei libri è una delle cose belle capitate negli ultimi tempi.