
giallo
Sellerio
2024
cartaceo
424

Kindaichi Kōsuke, detective di fama tutto logica e conoscenza della natura, viene avvisato per lettera che una tragedia sta per travolgere l’illustre famiglia degli Inugami. Kōsuke si precipita a Nasu, paesino tra le montagne giapponesi in riva a un idillico lago.
È il 1949 e lì, nel suo palazzo, è appena spirato il magnate d’industria Inugami Sahee, il re del tessile. Attorno al letto di morte sta raccolta la folla degli eredi, divisi da odi reciproci: le tre figlie, avute da donne diverse, e i loro tre figli, nipoti del vecchio. E la bella Tamayo, che però non ha legami di sangue con gli Inugami, è la nipote del prete shintoista che accolse Sahee quando era un giovanissimo vagabondo, misero e senza futuro. Per questo e per le sue virtù, Tamayo è stata amatissima, al contrario dei parenti.
Il testamento del patriarca non può però essere aperto finché manca all’appello il quarto nipote, Sukekiyo, ancora prigioniero di guerra. E quando finalmente Sukekiyo si presenta, coperto da una maschera che nasconde il suo viso deturpato da una bomba, il con-tenuto del testamento sgomenta tutti: la guida dell’impero industriale andrà a Tamayo a condizione che sposi uno dei tre nipoti; in caso di morte della giovane, invece, gran parte del patrimonio spetterà a un figlio segreto, e solo la parte restante ai nipoti.
È come una sentenza, una maledizione: omicidi rituali, segnati dai tre simboli del casato – l’ascia, il koto e il crisantemo –, eliminano i pretendenti, personaggi oscuri si muovono per il paese, le identità di ciascuno si celano e si confondono. In questo ginepraio, Kindaichi – che è basso, trasandato e un po’ buffo, ma che brilla per doti deduttive – esplora piste sempre diverse, abbraccia e abbandona ipotesi di colpevolezza che improvvisi cambi di scena smentiscono. Mentre odio, invidia, onore ferito si mescolano sotto i suoi occhi in un amalgama melmoso.
La maledizione degli Inugami contiene la chiave del grande giallo, ovvero l’avvicendarsi senza respiro di situazioni misteriose. E Yokomizo Seishi, uno dei maestri del crime deduttivo giapponese, ha il talento di inserirlo dentro una nuova atmosfera, tanto esotica quanto adatta a dare plasticità a cupezze e inquietudini.
È stato troppo interessante, per me, di ritorno da un viaggio in Giappone, ritrovarmi a leggere non solo una storia ambientata in terra nipponica, ma proprio un giallo della letteratura giapponese. Piccola premessa, per affrontare quelle analogie e differenze che ho ravvisato tra un giallo all’italiana e un giallo orientale. Nello specifico, “Il detective Kindaichi e la maledizione degli Inugami” di Yokomizo Seishi, tradotto dal giapponese da Francesco Vitucci e pubblicato dalla casa editrice Sellerio.
Brevemente, la trama senza spoiler. Inugami Sahee, imprenditore di successo del settore tessile giapponese, muore, lasciando un testamento tanto ingarbugliato quanto previdente, che non accontenta affatto lo stuolo degli eredi, avidi di denaro e di potere. La signorina Tamayo ne è la parte avvantaggiata e, intorno a lei, ruoteranno misfatti, morti e i tre simboli della famiglia Inugami: l’ascia, il koto e il crisantemo. Sono stata davvero molto riassuntiva. In realtà, la trama è molto complessa, a tal punto che l’autore, intelligentemente, pone all’inizio del romanzo una mappa genealogica per avere ben chiari i membri della famiglia Inugami e i legami tra loro. Ma questo spezzone può bastarci per addentrarci nell’analisi del romanzo, con l’invito per voi a leggerlo.
Dimenticavo di presentarvi il detective: Kōsuke Kindaichi. Un uomo che sembra avere poco dell’investigatore dai suoi modi di fare, ma dimostra, alla fine, l’acume degno di un grande e silenzioso osservatore.
“Ciò che gli aveva rivelato il sacerdote fu un vero e proprio fulmine a ciel sereno; nella Vita di Inugami Sahee non c’era alcun riferimento a quella vicenda, per questo Kindaichi venne a saperlo solo in quel momento” – Il detective Kindaichi e la maledizione degli Inugami
Al di là della storia, che appassiona il lettore, anche se talvolta lo rallenta quanto a suspense, de “Il detective Kindaichi e la maledizione degli Inugami” mi hanno colpito in modo particolare taluni aspetti caratterizzanti il giallo giapponese, che ho notato discostarsi dal giallo italiano. Primo fra tutti, la prevalenza, al di là dell’indagine in sé, della storia e della sua architettura. Durante il corso della lettura, ho sempre avuto la sensazione che l’autore ci tenesse molto a far entrare il lettore nella trama del romanzo e nella storia familiare degli Inugami, per capirne anche le psicologie e le personalità. Non a caso, il finale non si limita alla soluzione del caso, ma vuole quasi lasciare un messaggio anche di speranza e positività.
Sicuramente è presente, nel giallo di Seishi, la struttura ad enigma; ma se devo dire che il lettore, insieme al detective, cerca, nota e annota, non posso farlo. Il lettore non partecipa all’indagine e alla ricostruzione del caso, ma al dipanarsi delle trame tra i vari personaggi.
Le descrizioni sono molto dettagliate. I luoghi vengono presentati in ogni particolare, anche meteorologico. I personaggi vengono scandagliati mano a mano, anche se, d’impatto, subito si carpiscono le personalità deboli e forti, negative e positive. Credo che un esperto di gialli, categoria in cui non mi ritrovo, riuscirà anche a scoprire l’artefice degli omicidi chi è. Ai giallisti non piacerà questo aspetto, ma ripeto. Credo che il fascino di questo romanzo sia proprio il prorompere dell’aspetto romanzato sull’indagine in sé.
4 stelle ⭐⭐⭐⭐✰

Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.