
Romanzo
Fefè editore
14 aprile 2022
Cartaceo
320

Esterina viene al mondo in una notte tragica: durante un terremoto che distrugge molti paesi del Sud Italia.
Siamo ai primi del Novecento, in un territorio aspro dove l'arretratezza sociale è padrona. Il suo carattere ribelle la spinge a sottrarsi alle leggi degli uomini, ma presto quegli uomini le tolgono tutto: un amore fanciullesco, l'affetto di suo padre, la famiglia.
Si rifugia dalla zia Magara, di nome e di fatto, una moderna strega. E con l'aiuto di altre donne perdute come loro, risorge ad una vita di dignità.
Il protagonista della mia recensione di oggi è il romanzo “Il canto dei papaveri rossi” di Stella Rabia, dove viene che raccontata la storia di una donna che ha avuto il coraggio di scegliere prima di tutto se stessa, in un mondo che le puntava il dito contro. Un abbraccio di forza e fragilità è ciò che caratterizza la sua figura in un’epoca in cui dal cosiddetto sesso debole non ci si aspettava né l’una né l’altra.
Appena ho avuto in mano il libro, la prima cosa che mi ha colpita è stata la copertina; quei papaveri sparsi nel giallo del grano che tanto mi ricordavano dipinti dal sapore impressionista, mi davano allo stesso tempo l’idea di semplicità e di voglia di rivalsa: loro, umili fiori, piccoli e insignificanti, si ergevano fieri in mezzo a tutto quell’oro che li attorniava. Solo una volta addentratami nel testo avrei associato ad essi la figura di Esterina, la protagonista nonché nonna paterna della nostra autrice, tanto più che il loro rosso vivo mi rimandava inevitabilmente al simbolo della violenza su di lei commessa.
“Mia nonna non era sposata, ma aveva avuto un figlio, mio padre. Da piccola coglievo i discorsi dei grandi che ne parlavano, frasi appena sussurrate, parole nascoste che parlavano di peccato, di scandalo, di proibito, di sangue e di onore. Crescendo misi insieme tutti i tasselli e conobbi finalmente la vera storia di nonna Esterina.”
Non posso sapere quali fossero gli stati d’animo di Stella Rabia mentre scriveva queste pagine, ma credo che, inevitabilmente, raccontare la storia travagliata della sua antenata, anche se romanzata, abbia contribuito ulteriormente a creare un legame speciale con quella donna, a tratti problematica, che lei arriva a definire “una moneta a due facce”.
“Mia madre, dopo il matrimonio, era venuta a vivere nel paese di mio padre… dovette fare i conti con la dualità della suocera… La fretta con cui si adirava era simile al tempo che le occorreva per diventare di nuovo una donna amabile e generosa. Era una moneta a due facce, l’una sempre arrabbiata e l’altra piena d’amore e generosità” – Il canto dei papaveri rossi
Più volte, mentre le pagine di “Il canto dei papaveri rossi” mi scorrevano davanti agli occhi, mi sono dovuta soffermare a placare il senso di rabbia e di disagio che spesso si fa spazio in me quando, chi subisce un’ingiustizia, oltre al danno si trova a fare i conti anche con un mondo cieco, sessista, insensibile e fondato su principi che non hanno ragione di essere.
Più di una volta mi sono chiesta io cosa avrei fatto al posto della protagonista. Avrei trovato la forza di andare avanti? Avrei capito, perdonato, chi mi aveva cacciato dalla sua vita togliendomi quel poco che avevo per questioni di “onore”?
Forse sarei dovuta nascere qualche secolo prima per capire questo concetto di onore dal doppio volto, che puzza tanto di sopraffazione.
“Esisteva una notevole differenza tra l’onore maschile e quello femminile: nel primo, il rischio era di perdere quel riconoscimento di rispetto che la comunità identificava nella virtù di uomini probi e onesti; nel secondo era legato alla castità…Perdere la castità prima del matrimonio segnava il declino della rispettabilità di una famiglia…la ragazza veniva scacciata dalla famiglia… e spesso per campare era costretta a vendere il suo corpo proprio a quegli individui che l’avevano insultata e ingiuriata”.
Voi cosa ne pensate? Credete davvero che il concetto di onore cambi in base al sesso?
Questo sarebbe un buono spunto per una discussione interessante, come lo sarebbe anche il tema del dovere di ogni figlio verso la propria famiglia e del dovere della famiglia nei confronti dei figli, che l’autrice mette in evidenza riportando, sotto alla dedica, quattro righe che accennano alla teoria delle costellazioni familiari di Bert Hellinger.
“Ognuno appartiene alla propria famiglia per sempre, e l’esclusione di un membro comporta conseguenze gravissime. Dove c’è stata importanza e amore, lì c’è diritto di appartenenza” – Bert Hellinger
Ma cerchiamo di addentrarci un po’ di più nella trama.
Ci troviamo agli inizi del Novecento, in provincia di Cosenza.
La povertà dilaga: uomini e donne sono costretti a lavorare dalla mattina alla sera per portare a casa il minimo da mettere a tavola.
Esterina nasce in una di queste famiglie soffocate dall’indigenza; terza di cinque femmine, ma con un carattere forte e deciso, che presto la farà risaltare agli occhi di suo padre. Lui, che tanto voleva un maschio, ritrova in quella figlia femmina la grinta e la forza d’animo di un vero uomo, tanto da decidere di lasciarle in dote la piccola impresa familiare che un colpo di fortuna gli ha regalato.
“Giovanni nutriva una premura particolare per Esterina: le avrebbe dato in dote la carcara… La figlia possedeva il carattere giusto… sapeva come tirare fuori la sua grinta. E se quella carica avesse spaventato un ipotetico fidanzato, lei avrebbe avuto da campare lo stesso. Alla sua morte avrebbe saputo gestire da sola la fornace, senza l’intervento di alcun maschio”
Gli anni passano e Esterina si trasforma in una splendida rosa che attira gli sguardi di numerosi uomini. Tra questi vi è Leonardo, un ragazzo timido e impacciato che però riesce a farle battere il cuore come non mai; è lui che vuole sposare, non ha alcun dubbio, attende solo che si faccia avanti.
Ma non tutto va come ci si aspetta: i suoi sogni verranno spezzati sul nascere quando un uomo, violento e senza principi morali, si approprierà del suo corpo rovinandola per sempre.
Per questo verrà cacciata di casa, proprio da suo padre, l’uomo che lei da sempre ha messo sul piedistallo, e additata da tutti come la più spregevole delle donne.
Piange mentre con i suoi quattro stracci lascia la casa paterna. Sono lacrime amare, di odio, di impotenza, di dolore, di rabbia contro un mondo che giudica tutti dall’alto senza fare distinzione alcuna.
Piange e le sue lacrime lavano il suo cuore, le danno la forza di tirare su la testa e di guardare avanti pensando a un domani che forse non sarà quello che sperava fosse, ma che non permetterà a nessuno di distruggere.
Questa è la storia di Esterina, divenuta donna ancor bambina.
Sahira

Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…