
Romanzo storico
Rizzoli
27 agosto 2024
cartaceo, ebook
544

Una goccia d'acqua è sospesa sul capo del re di Assiria mentre legge il poema di Gilgamesh su una tavoletta di lapislazzuli: è la prima avvisaglia dell'inondazione che distruggerà la biblioteca del colto e feroce Assurbanipal. In un tempo remoto e in luoghi in cui ormai è quasi impossibile scorgere traccia delle più antiche civiltà, prende forma l'ultimo lavoro di Elif Shafak, che con piglio della cantastorie ci conduce, di sponda in sponda, dal Medioriente al cuore dell'Occidente, dove nella Londra di metà Ottocento.
Sulle rive del Tamigi, nasce Arthur, ragazzo poverissimo e dalla mente luminosa, verrà sedotto dalle letture sulle spedizioni archeologiche condotte a Ninive, dove decide che si compirà il suo destino.
Tra le insenature di questo libro che si dipana al modo di un fiume troviamo anche Zaleekhah, donna del XXI secolo, studiosa di idrologia, reclusa nella sua casa-chiatta sul Tamigi e in cerca di una nuova vita. E poi ancora una bambina turca di etnia Yazida, che dopo il battesimo nel Tigri è rapita dall'Isis per essere venduta come schiava.
Ed è quella goccia iniziale appena formata, che non ha ancora toccato terra e che continuerà a trasformarsi, senza mai smettere di compiere il suo cammino, a unire inesorabilmente i protagonisti di questa storia.
L'acqua che unisce i popoli e il mondo, portatrice di vita e di distruzione, l'acqua che non c'è più e quella che intirizzisce, grigia e fredda.
“Tre atomi si uniscono a formare l’acqua: H – O – H. Tre personaggi si legano oltre i confini dello spazio e del tempo, e insieme danno vita a questa storia” – da “I ricordi dell’acqua” di Elif Shafak, Rizzoli.
I ricordi dell’acqua sono i più antichi. E un grande evento parte sempre da uno piccolo dall’apparenza insignificante, al quale nessuno bada. Così nasce il diluvio, che inizia da una singola e minuscola goccia d’acqua. È proprio l’acqua a legare le storie di tre persone distanti per luogo, tempo e cultura. Questo è il racconto del loro incredibile percorso di vita.
“È lì che abitano le storie, nei tempi antichi”
Nel 1840, sulle rive del Tamigi, una ragazza poverissima partorisce il suo primo figlio. Si chiama Arabella ed è la moglie di un uomo inaffidabile, troppo spesso sotto l’influsso dell’alcol. È costretta a lavorare come ramazzina insieme ad altri ragazzi. Scavano nelle acque più putride del fiume, nella speranza di trovare oggetti di valore da vendere. Sono i suoi giovanissimi colleghi a dare il nome di Arthur al suo bambino, in onore del leggendario Re Artù. Ma per tutti, il piccolo sarà Arthur di Cloache e Catapecchie poiché figlio di povera gente.
Arthur crescerà e diventerà un giovane dalla prodigiosa memoria e dalla sorprendente intelligenza. Sarà umile e timido, con una gran passione per la scrittura, la storia e l’antichità. Questa sua sete di conoscenza, unita ad un intelletto fuori dal comune, lo porteranno ad elevarsi sino ad arrivare alle più alte sfere sociali. Ma dentro rimarrà sempre un uomo modesto con un grande sogno. Trovare il poema mancante che il Re dell’Assiria custodiva nella sua biblioteca a Ninive. Ed è lì che desidera andare.
“A volte non sa dire se è stato ipnotizzato verso la ricerca del fiume Tigri o se sta semplicemente scappando dal Tamigi” – I ricordi dell’acqua
Nel 2014, Narin, una ragazzina turca di etnia Yazida, intraprende un viaggio con la nonna verso l’Iraq. Verrà battezzata sulle rive del Tigri, come vorrebbe la loro cultura. La piccola è orfana di madre, è quindi molto legata alla nonna, un’anziana veggente dai poteri ereditati dalle sue ave. Narin è una bambina dolce e fiduciosa, accanto alla nonna si sente al sicuro. Accetta con maturità e coraggio la propria ipoacusia che degenererà in sordità, celando il peggioramento del suo udito per non preoccupare i suoi cari. È molto fiera della propria cultura nonostante gli yazida vengano chiamati con disprezzo “adoratori del diavolo” e fortemente discriminati. La sua stoica resilienza le permetterà di sopravvivere al rapimento e alle violenze da parte dell’Isis.
“Allora capirai che certe volte anche i fiumi devono migrare dal loro letto”
Nel 2018, Zaleekhah, una giovane studiosa di idrologia, ha appena divorziato e si è trasferita in un’abitazione galleggiante sul Tamigi. È una donna sola e tormentata, che ha perso la voglia di vivere. Tende a chiudersi in se stessa, evitando di esternare i propri sentimenti per una sorta di pudore e per non dare preoccupazioni agli zii che l’hanno cresciuta. Ritiene di essere in debito con loro, nonostante l’abbiano accolta con amore dopo la morte dei genitori quando era solo una bambina, evento che la fa sentire colpevole.
Lo zio Malek, di origine mediorientale come lei, ha fatto una grande carriera diventando un uomo ricco e influente in Inghilterra, ma è rimasto il conformista di sempre. Pur non apprezzando l’ex marito della nipote, spera in un loro riavvicinamento poiché la nuova sistemazione della giovane lo preoccupa. Tutta sola su una barca, senza un uomo accanto che la protegga. Melek ha sposato una donna inglese, una signora placida e sorridente, apparentemente indulgente e accomodante. In realtà, ha un carattere determinato e una certa influenza sulle azioni del marito. I due hanno una figlia, Helen, che per Zaleekhah è come una sorella, loro stessi si sentono suoi genitori a tutti gli effetti.
“Non si getta benzina su un uomo che sta bruciando, si va a prendere l’acqua“
Ogni volta che leggo un romanzo di Elif Shafak, è per me come partire per una terra nuova, certa di tornare con un briciolo di saggezza in più poiché educano all’osservazione e invitano alla riflessione.
L’acqua è l’elemento da cui nasce la vita. Può rappresentare la salvezza, ma anche dare la morte. Concede all’uomo l’illusione di poterla domare, ma poi è in grado di riprendersi ciò che in origine era suo. L’acqua unisce e divide i popoli. È l’elemento al centro di questa narrazione.
L’autrice dimostra ancora una volta di saper costruire un romanzo qualitativamente elevato, con una trama che fa di tre storie diverse una sola.
I piani temporali sono differenti. Due di essi sono contemporanei con hanno breve distanza l’uno dall’altro. Il terzo, invece, si ambienta nella seconda metà dell’Ottocento. Pur essendo una storia di fantasia, contiene elementi storici reali (la scoperta della causa del colera a Londra, il cambio di editore da parte di Dickens, che si rivolse alla Bradbury & Evans, il re di Ninive che fu sepolto con i suoi contastorie e servitori, ecc..). Il personaggio di Arthur si ispira a quello di George Smith, studioso e traduttore della scrittura cuneiforme.
“Le parole sono come gli uccelli. Pubblicare libri significa liberare gli uccelli in gabbia. Non si può mai sapere chi raggiungeranno, quali cuori cederanno al dolce canto delle parole” – I ricordi dell’acqua
I capitoli si alternano insieme alle tre storie, dopo una breve introduzione sull’origine della tavoletta più preziosa, riportante il poema di Gilgamesh, reperto così caro ad Arthur. Esso ne influenzerà la storia, così come quella di Nerin e Zaleekhah, seppur indirettamente. Vi è, inoltre, un interessante parallelismo tra il Tigri e il Tamigi, fiumi che scorrono in aree distanti, materialmente e culturalmente. Presenze importanti nei percorsi di vita dei protagonisti.
Il linguaggio di Elif Shafak è seducente perché ti affascina dalle prime righe. Quando si arriva alle ultime, ci si ritrova innamorati. Usa un linguaggio semplice, anche quando tratta tematiche complesse. Non solo ne agevola la comprensione, ma ne stimola l’approfondimento. La trama è dinamica, ma dotata di una certa linearità. Il ritmo è rapido poiché il racconto genera una certa attesa.
La cosa che più apprezzo è l’assenza di retorica nel narrare argomenti come l’importanza della propria identità culturale, il genocidio, le violenze sulle donne yazida da parte dell’Isis. Tutto questo dopo un’attenta documentazione e interviste da parte dell’autrice, a chi ha realmente vissuto quell’inferno. Non voglio dire di più per non spoilerare un sorprendente e commuovente finale.
“La gente pensa che i tatuaggi siano atti di sfida o roba del genere, ma in realtà sono una forma di narrazione. La maggior parte dei clienti viene per questo: non cercano immagini o parole a casaccio da inchiostrarsi addosso. Vengono perché hanno una storia da raccontare”
Voi cosa pensate di quest’ultima affermazione?
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐