Narrativa
Marsilio
20 gennaio 2018
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Spiegelgrund non esiste più. Le mura che circondavano l'ospedale viennese sono state abbattute e tutto quello che il personale aveva giurato di non rivelare mai a nessuno non è più un segreto. Tra il 1940 e il 1945, in quel diabolico istituto il cui obiettivo ufficiale era di raddrizzare i bambini più ribelli e di assistere quelli affetti da malattie psichiche, la realtà era tragicamente diversa. Adrian Ziegler vi arriva nel gennaio del 1941, in una fredda e limpida mattina d'inverno scintillante di brina. Quegli edifici pallidi all'ombra della collina, con le facciate di mattoni scrostate e le inferriate alle finestre, diventeranno la sua casa negli anni a venire. La sua, come quella degli altri bambini rinchiusi a Spiegelgrund - orfani, ritardati, disabili, piccoli delinquenti, «degenerati razziali» -, è una vita indegna di essere vissuta. Non ci sono cure ad attenderli, solo medici pronti ad attuare il programma nazista di eutanasia infantile voluto da Berlino. Persone convinte che contrastare la malattia, fisica 0 morale, sia necessario per rafforzare la razza, o forse, banalmente, solo attirate dall'opportunità di tormentare qualcuno. E ancora, ligi esecutori degli ordini, perché a seguire le leggi in vigore non c'è ragione di sentirsi in colpa. Come l'infermiera Anna Katschenka, che pur amando i bambini ubbidisce per lealtà e senso del dovere e, quasi senza rendersene conto, finisce per scivolare dalla parte dei mostri. Un libro che, con la sua scrittura intensa e profonda, racchiude una riflessione memorabile sull'umana capacità di fare il male, e di resistere.
“La casa di cura di Spiegelgrund ha il compito di sottoporre ad esame e ad un’attenta osservazione tutti i bambini e i ragazzi, dalla fase neonatale fino al raggiungimento della maggiore età, che presentino devianze psichiche, per valutare le loro conoscenze e abilità mentali e fisiche e indirizzabili, dopo la conseguente perizia, all’istituto o alla casa di cura più appropriati. Le esperienze così accumulate verranno inoltre raccolte a beneficio della futura ricerca scientifica.
Niente di più falso o meglio questo è quello che veniva raccontato alle famiglie convinte dai medici a far internare i loro cari per essere curati, ignorando che sarebbero stati invece sottoposti a terribili sofferenze e ad esperimenti criminali, prima di essere uccisi.
L’ospedale di Spiegelgrund balzò alle cronache quando nel 1997 vennero ritrovati, in uno scantinato chiuso a chiave, centinaia di barattoli di vetro catalogati e numerati. All’interno i resti di parti anatomiche, conservate in formalina (gas allo stato liquido) appartenenti a quasi 800 bambini. Ed è proprio all’interno di questo ospedale che Sandberg ci porta con il romanzo “I Prescelti”.
L’ ospedale non era altro che un luogo di internamento, un lager dove venivano internati bambini ed adolescenti con devianza psichiche, malformazioni, diciamo tutti quelli che non potevano concorrere alla pura razza ariana.
“Non so se ve ne rendete conto, ma siete dei Prescelti, perciò siete qui”
Questa vicenda, parliamo di una storia vera, è stata a lungo dimenticata, rimasta nell’oblio per decenni, e viene ricostruita da Sandberg con dovizia di particolari e da voce, tra gli altri, a due personaggi contrapposti Adrian Zigler e Anna Katschenka.
Adrian aveva sangue zingaro nelle vene e la sua vita era indegna di essere vissuta. Sarà uno dei bambini che quasi per miracolo riuscirà a scampare alla morte.
Anna invece era un’infermiera che eseguiva gli ordini dei medici senza comprendere il male che stava compiendo. Verrà processata nel 1948 per quei crimini.
Sandberg riesce ad andare a fondo nella psicologia dei carnefici e delle piccole vittime. Come in un romanzo thriller con sfumature di horror spiegherà in che modo a questi bambini veniva accertata la loro idoneità alla vita: misurati, catalogati, picchiati, torturati. Per la purificazione della razza venivano sedati con pesanti droghe, messi in letti a gabbie e usate camicie di forza perchè non disturbassero.
Adrian viene rinchiuso in questo istituto, un lungo corridoio dalle porte chiuse che dava su grandi stanzoni colmi di bambini, dove non si udiva volare una mosca: “sul momento pensò che i bambini che c’erano là dentro stessero tutti trattenendo il fiato. Più tardi avrebbe pensato che erano già tutti morti fin da allora e fingevano di essere vivi, soltanto per lui.” Perchè non si perdesse d’animo.
Anna invece è l’emblema dell’impossibilità di distinguere nettamente tra vittima e carnefice. Anna in fondo sa che ciò che sta facendo è contrario alla sua educazione e ai suoi principi etici, pertanto si convince dell’esistenza di una ragione delle proprie azioni.
Per decenni i sopravvissuti testimonieranno sui fatti accaduti a Spiegelgrund denunciando inascoltati i torturatori e gli assassini, alcuni dei quali nel frattempo avevano continuato ad esercitare indisturbati la professione. Come dire chi non vedeva non sapeva, chi sapeva non parlava, chi parlava poi non veniva creduto.
In questo orrore il romanzo ci farà arrivare al 1975 quando Adrian incontrerà di nuovo il dottor Gross, responsabile sanitario di Spiegelgrund, a capo del programma di eutanasia infantile nell’Austria nazista. L’incredibile è che il dottor Gross sarà processato ben tre volte, ogni volta verrà assolto, facendo apparire i bambini internati come morti per cause naturali. Morirà nel 2005 a Vienna dopo aver continuato una brillante carriera come chirurgo e psichiatra forense.
In un passaggio del libro Adrian dirà:
“non ha senso scavare nel passato, dobbiamo imparare a guardare avanti. C’è una forma di amnesia che non equivale a non ricordare più, ma è come se il cervello fosse diventato muto. Si agisce come se tutto nella propria esistenza fosse una vuota messinscena. Niente di ciò che gli altri dicono o fanno ha importanza. Nemmeno gli avvenimenti più terribili e odiosi ti penetrano davvero dentro. Allora si dice di non ricordare, o di non capire il significato delle proprie azioni. Ma è possibile che un’intera nazione soffra di un’amnesia del genere”?
E’ indubbiamente un libro ben scritto, che va letto lentamente, a volte c’è bisogno di riprendere fiato per un saggio così duro e spietato che non risparmia niente e nessuno, ma ci riporta ad una memoria che non vuole essere seppellita e perchè potremmo, se dimenticata, “trovarci vittime o carnefici, tanto prima o poi gli altri siamo noi.”
Steve Sem-Sandberg
Steve Sem-Sandberg è uno dei più apprezzati scrittori svedesi. Nei suoi lavori si è spesso soffermato sulle pagine più buie della storia come ne Gli Spodestati (dove protagonisti sono le migliaia di abitanti nel ghetto di Lodz) pubblicato in oltre 20 paesi, è stato un caso internazionale ed ha vinto il più prestigioso premio letterario di Svezia.
Sono principalmente moglie e mamma di due splendide ragazze ed ho la passione per la musica ma soprattutto per la lettura. Leggo di tutto romanzi, saggi, storici, ma non leggo libri nè di fantascienza né di horror.