Fantascienza
451
15 settembre 2021
cartaceo, ebook
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Tre personaggi: un io narrante alla continua ricerca di una fantomatica ragazza albina e un antagonista, ora marito, ora carceriere. La vicenda si svolge attraverso continui disallineamenti spazio-temporali, in un romanzo inclassificabile, attraversato da un continuo passaggio dallo stato di sogno a quello di veglia, accerchiato dall'avanzata di un ghiaccio che è reale, forse dovuto a un disastro nucleare, ma che insieme simbolizza l'avanzata dell'inevitabile, la droga che prende terreno, l'abitudine a una fine che si fa ogni giorno più ineluttabile.
L'autorità e il potere maschile vengono annotati attraverso un linguaggio che si sdoppia: mentre il cacciatore modella la sua preda, Kavan, scrittrice consapevole, modella il cacciatore, scolpendo lui e lei nel ghiaccio.
Prefazione di Claudia Durastanti.
“Sono sempre stato convinto che nella realtà si nasconda una dimensione a me ignota.”
Seppur uscito nel 1967, “Ghiaccio”, il romanzo di Anna Kavan, scomparsa l’anno seguente alla pubblicazione della sua opera, è un libro che risulta molto attuale, verrebbe da dire quasi profetico, in materia di ambiente e di impatto che l’Uomo ha perpetrato sull’equilibrio naturale del nostro pianeta.
Per approcciarsi a questa piccola gemma narrativa in modo più attento e consapevole, nonché per capire l’aspetto più profondo dell’opera, sarebbe necessario far riferimento anche alla vita dell’autrice. Come indicato nella quarta di copertina, l’autrice inglese “visse una vita piena di traumi sin dall’infanzia, che la portarono a sviluppare una scrittura sperimentale ed estetica spesso descritta dai sui contemporanei come autobiografica”. Una scrittura innovativa e uno stile peculiare, dunque, influenzati dallo stato di depressione di cui soffriva e dall’uso prolungato di eroina.
“Ghiaccio” di Anna Kavan è un’opera il cui genere risulta di difficile collocazione, poiché definirlo distopico, fantascientifico o surreale, non rende l’idea di quanto la scrittura della Kavan riesca a trasmettere al lettore. In un mondo assediato dal ghiaccio e dal freddo che avanza e distrugge tutto ciò che incontra a tutte le latitudini del pianeta, probabilmente a seguito dell’utilizzo di armi nucleari, in un tempo futuro, non troppo remoto, nei cinque continenti devastati da guerre intestine e distruzione, la voce narrante appare come l’espressione di un naufrago senza speranza. Non c’è più scampo, infatti, per l’Uomo e l’ambiente dove vive. Il futuro è un oblio, una mancanza di vita che il narratore sembra aver accettato, anche se a questo destino non vuole arrendersi completamente.
“Le celebrazioni interminabili di quella città mi parevano noiose e sinistre, mi ricordavano le orge negli anni della peste. Adesso, come allora, la gente si illudeva, si creava una fallace sicurezza attraverso l’intemperanza, ed era portata ad attribuire un’esistenza reale a ciò che desiderava” – Ghiaccio di Anna Kavan
Nella consapevolezza di avere un tempo limitato, il protagonista, di cui scopriremo ben poco e non sapremo neanche il nome, sembra non aver rinunciato ad un unico obiettivo: ritrovare, e poi rincorrere perennemente, una donna di cui è stato profondamente innamorato. È lei il motore degli eventi narrati, l’inconsapevole altra protagonista della storia, raccontata in prima persona dal personaggio principale, ne suo continuo sfuggire alla inarrestabile avanzata del ghiaccio.
Non ci sono spiegazioni di quanto accaduto, né elementi che ci aiutino a definire i protagonisti di cui non sappiamo nulla; mancanze che rendono “Ghiaccio” di Anna Kavan un incubo a libro aperto. Questo perché nella narrazione i pensieri e le immagini creati dalla mente del protagonista si cristallizzano nel fluire della storia, determinando uno scarto delle certezze che il lettore cerca di trovare. Importate è rilevare, in questo senso, il ricorrere a simboli sulle quali l’autrice basa la costruzione dei personaggi. A partire, ad esempio, dai capelli color della luna della donna, segnata fin dall’infanzia da una madre sadica che l’aveva cresciuta in un perenne stato di sottomissione e paura tanto da diventare “una ragazza ipersensibile, estremamente emotiva, timorosa della gente”; come d’altro canto è simbolica l’ossessiva ricerca sui lemuri canori, gli indris, che, come una chimera, rappresentano per il protagonista la fuga interiore alla terribile realtà.
La ricerca della donna, prima sposata a un artista, poi compagna di un signore della guerra, in perpetua fuga da se stessa e da chi vorrebbe plasmarla (compreso il protagonista), attraverso lande desolate e luoghi dove la vita sembra scorrere normale, mentre gli echi del disastro si odono sempre più forti, rappresenta forse una metafora del percorso che l’umanità sembra aver intrapreso, sia nei confronti dell’ambiente che della propria sopravvivenza. Si potrebbe ipotizzare, dunque, che “Ghiaccio” di Anna Kavan sia un traslato dove l’umanità (rappresentata dal protagonista) cerca di riconquistare ciò che della Natura (la fragile donna dai capelli d’argento) ha perduto, avendo giocato in modo scellerato con il potere e l’abuso (i vari governatori e signori della guerra) ed avviandosi così al proprio fallimento (l’avanzare inarrestabile del ghiaccio).
L’atmosfera di cupezza che trasuda da ogni pagina del racconto si concretizza in angoscia grazie all’uso di vocaboli che ricorrono con ipnotica frequenza come inquietudine, presagio, irreale, caos, rovine, distruzione. Vocaboli che concorrono a definire la terribile realtà in cui si muovono le figure che, fatta eccezione per il protagonista la donna e il governatore, sono senza volto come i soldati in uniformi nere e i cittadini dei vari paesi in cui il protagonista si trova.
Alla fine, l’impressione che rimane è quella di aver partecipato inconsapevolmente, ad un incubo magistralmente architettato dall’autrice. Un mondo dove il protagonista spesso si confonde o riflette i tratti dei governatori o dei signori della guerra; dove vive circondato da sopravvissuti che abitano in strutture costruite sulle macerie in paesi ormai destinati a scomparire.
In breve, quanto creato dalla visione della Kavan è un mondo senza speranza: un’immagine che, però, scuote il lettore che coglie nelle parole del protagonista un monito
“Non potevo restare insensibile a quel che accadeva nel resto del mondo. Mi sentivo legato al destino del pianeta, dovevo fare qualcosa” – “Ghiaccio” di Anna Kavan
E, quindi, chiudendo il libro, si rende conto di avere ancora una opportunità per fare veramente qualcosa. E noi, facciamo abbastanza per il nostro pianeta?