Narrativa
Bollati Boringhieri
8 aprile 2021
cartaceo, ebook
104
È una strana forma di letargia quella che coglie all’improvviso gli abitanti di via Cadorna, dove i più anziani sprofondano a turno in un sonno che dura ventiquattr’ore e poi svanisce senza lasciare traccia.
Qui, in un piccolo borgo della campagna fiorentina alla metà degli anni Sessanta, vive Giulio, il nipote del dottore del paese. Giulio ha sedici anni e ne dimostra la metà. Non si muove e non parla. Si definisce «un coso che ha due braccia e due gambe, ma non funziona a». È tetraplegico. Immobile nel suo lettino, Giulio osserva, rielabora gli scampoli di vita che gli capitano a tiro, intercetta parole e reinventa l’esistenza a modo suo. Insieme alle ipotesi che via via si dipanano sui motivi della letargia, Giulio racconta di sé e della sua famiglia – il nonno autoritario, il padre indolente, la madre a caccia di sogni – da cui emerge un quadro strampalato dei normali, «gli esseri più misteriosi e più scontenti di tutti», messi straordinariamente a fuoco da chi normale non è, anzi si vede affibbiato l’epiteto di infelice. Improvvisamente per Giulio si apriranno le porte di un mondo nuovo e inaspettato grazie a uno dei medici che giravano per i paesi alla ricerca dei piccoli pazienti invisibili: un dottore alla rovescia ispirato alla figura di Adriano Milani, fratello di don Lorenzo, che a lungo si batté perché la sanità restituisse a questi bambini dignità di persona.
La scrittura di Michele Cecchini, lieve e insieme cruda, invita a entrare con coraggio nei pensieri e nell’universo di chi non ha voce. Una fiaba senza fiabesco, dal tono mai patetico e a tratti scanzonato. L’esistenza raccontata da un bambino che non ha alcuna intenzione di rinunciare alla felicità e si lascia «amare dalla vita come viene viene».
“Io sono un coso di nome Giulio. Ho due braccia e due gambe, ma non funziona nulla… nonna Ginevra, la mamma della mamma, quando mi vide all’ospedale nella culla, la volta che ero nato disse agli altri parenti che erano lì: «È incredibile che un bambino così bello possa essere scemo». Io la trovo una cosa non tanto carina da dire… non è proprio il massimo dell’accoglienza per uno appena arrivato.”
Giulio vive in un piccolo borgo della Toscana, insieme ai nonni. Suo padre si “è ridotto a pezzettino di anima” , la sua mamma è andata via da un po’.
Giulio tante cose non le capisce, la maggior parte neanche le conosce, perché il mondo che vede lui, dal suo lettino, è parecchio ridotto. Ma ridotto non vuol dire incompleto. A modo suo, incastra tutti i pezzi del piccolo puzzle che ricostruisce ascoltando i discorsi che riesce a catturare. I “normali” non si pongono il problema di parlare di qualsiasi argomento davanti a lui, tanto non può ripetere nulla di ciò che sente.
Spesso la sua presenza crea imbarazzo, quindi, quando arrivano visite, i suoi nonni lo spostano in un’altra stanza. In questo modo gli altri non possono vederlo, ma lui può sentirli; ed è così che ha scoperto che in via Cadorna, dove si trova la loro casa, sta accadendo qualcosa di strano. Pare che le persone, ad un certo punto, si addormentino improvvisamente. “Letargia”, così il nonno chiama questa strana malattia che sta dilagando nel paesello. Non si capisce a cosa sia dovuta. Chissà, forse il suo papà si è addormentato a causa di questo morbo. No, pensandoci bene Giulio sa qual era la malattia del suo papà, era dovuta ai troppi intralci che gli rovinavano la vita.
“Ora che babbo è ridotto a pezzettino di anima, spero tanto che si senta finalmente libero, prigioniero com’era delle paure e del divano. Capiva tutto, vedeva tutto, proprio come me, ma lui che poteva, alla fine non si risolveva e si lasciava dentro i suoi limiti che erano le sue paure…Un contenitore sgangherato, un abusivo della vita proprio come me. L’hanno riempito fino all’orlo e alla fine si è rovesciato e ha tolto il disturbo”
Anche lui sa che presto si sbriciolerà in tanti pezzettini, come è successo a suo padre e come, lentamente, si sta smontando il nonno; ma è normale che questo accada e, sinceramente, la cosa non lo preoccupa più di tanto. D’altronde, per quelli come lui il tempo se la prende con molta più calma: un solo pomeriggio suo corrisponde a cinque giorni dei “normali”.
La vita gli piace, nonostante tutto. Non capisce perché tutti tendano sempre a lamentarsi; e neanche perché considerino lui un “coso infelice”. Come fanno a sapere come si sente? D’altronde non è che loro sprizzino gioia da tutti i pori!
“Se non lo avessi sentito dai normali, io non mi sarei mai sospettato di infelicità. Ma davvero non è così. I normali sono contenti solo a tratti, tipo quando è il giorno in cui sono nati, oppure il Natale o il giorno dello sposalizio. Allora fanno le feste. Per me la ricorrenza è ogni giorno. Sarà per questo che noi tetra campiamo di meno: perché ci giochiamo più in fretta la nostra dose di felicità”.
L’unica cosa che veramente lo preoccupa sono le formiche che ogni tanto gli salgono addosso. Per fortuna il nonno ha trovato delle palline colorate che le mandano via. Sta molto meglio senza. Per il resto si accontenta di ciò che ha; solo un sogno rimane nel suo cassetto personale: gli piacerebbe vedere il mare, ma forse non ci riuscirà mai…
Ho voluto riportare la voce di Giulio nel riassunto della trama perché la trovo meravigliosa. All’autore vanno i miei complimenti più sinceri per la rispettosa ironia con cui affronta un tema così delicato come quello di chi è costretto a passare la vita immobile, contando solo sulle attenzioni e la disponibilità di chi gli sta vicino.
Giulio ha sedici anni, un cervello sveglio, ma è tetraplegico per un incidente capitatogli alla nascita.
È davvero bello, a tratti commovente, addentrarsi nei suoi pensieri. Hanno la libertà di chi non deve preoccuparsi di come si esprime, la semplicità degli occhi di un bambino e la limpidezza di chi non ha bisogno di nessuna maschera.
Niente gli viene spiegato e quindi lui si costruisce il suo di mondo, smontando quello di chi lo guarda con pietismo, rivolgendo a sua volta a questi individui il suo sguardo attento e sincero.
Non c’è malizia nella sua voce, ma solo una sana verità che non viene alterata da preconcetti. Fa sorridere il suo modo di interpretare le parole, termini complicati che nessuno si prende la briga di spiegargli; li ruba alle conversazioni di chi gli passa vicino e poi gli dà un significato, il suo, che è sempre coerente col contesto.
Sentendo parlare Giulio, mi è venuto spontaneo chiedermi cosa veramente può passare per la testa di chi è afflitto da problemi gravi come il suo. Chissà loro come affrontano le giornate, quali sono le cose che li fanno felici. Sarebbe bello saperlo, per poterli aiutare. E non si tratta di fare la buona azione quotidiana, ma di dare a tutti la possibilità di avere un attimo di felicità. Voi la pensate come me?
Giulio sogna il mare, chissà se prima o poi sentirà il suono delle sue onde. Io intanto ascoltando la sua di voce, ho ritrovato una melodia nascosta, quella della purezza e della semplicità di chi ha la forza di sorridere nonostante tutto. E come direbbe Giulio “e questo è niente”…
Sahira
Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…