Amazzoni
narrativa straniera
Voland
febbraio 2008 (prima pubblicazione)
cartaceo
160
Amélie torna in Giappone ma abbandona i tragicomici panni di impiegata nella multinazionale Yumimoto, vicenda narrata in "Stupore e tremori", e si concentra sulle peripezie sentimentali di quel periodo. Rinri è il suo fidanzato giapponese, bello e ricco, li lega un amore bizzarro ma non privo di poesia, raccontato con il solito umorismo, affondando lo sguardo chirurgico che le è proprio nell'incandescente universo dell'amore. Ma l'emozione più grande e la relazione più forte è ancora una volta quella che lega l'autrice al paese in cui è nata, e dove ha trascorso gli anni mitici dell'infanzia.
“C’était donc cela, Rinri et moi: l’étreinte fraternelle du samouraï, tellement plus beau et plus beau qu’une bête histoire d’amour…”
[Era proprio così, Rinri e io: l’abbraccio fraterno del samurai, molto più bello e ancora più bello di una stupida storia d’amore]
Ni d’Ève ni d’Adam (Né di Eva né di Adamo) di Amélie Nothomb è il libro che recensiremo oggi per voi. Un libro che ho letto in lingua originale e di cui ho apprezzato la trama, lo stile, la chiarezza. La trama perché sono un’appassionata del mondo giapponese (e come non poteva piacermi una scrittrice belga a sua volte nativa e amante del Giappone!); lo stile perché dal romanzo si evince tutta la naturalezza di cui è caratterizzata da sempre la penna dell’autrice; la chiarezza perché la fluidità del linguaggio è una costante di ogni singola pagina del libro.
Il romanzo è autobiografico e si sviluppa nell’arco di tempo compreso tra il ritorno di Amélie in Giappone dal Belgio dopo 16 anni e il suo inizio come traduttrice in una casa editrice, compresi i suoi numerosi e disastrosi risultati. Qui, Amélie conose Rinri, uno studente ventenne che vorrebbe imparare meglio il francese anche se lo sta studiando all’università. La coppia si incontra in un bar e, dopo una serie di incomprensioni piuttosto cliché e non umoristiche, diventano amici e poi amanti piuttosto spensierati.
Nella narrazione si intrecciano temi quali la cultura, l’amore e l’abbandono: Amelie è anti-americana e xenofoba, non ama i tedeschi, gli italiani e detesta in modo adolescenziale la lingua inglese. Rinri appare un ragazzo pigro, egoista e ricco. Il romanzo è interessante anche perché mostra in che modo in Occidente viene percepita la cultura giapponese: Amélie cerca di sfatare alcuni miti giapponesi come il mangiare le balene, il suicidio di Mishima, il Monte Fuji, i turisti e la fotografia giapponesi, addirittura la pornografia estrema con la sfocatura dei peli pubici.
Viene più volte ripresa la tipica confusione che viene fatta tra la lingua francese (anche nella sua traduzione inglese) e giapponese, la contrapposizione tra l’est e l’ovest nipponico, tra uomo e donna, il tutto arricchito da un forte sostrato culturale con riferimenti a Stendhal, Sartre o “Così parlò Zarathustra”. Sì, Amélie si sente una sorta di Zarathustra femmina delle montagne giapponesi.
Amelie è attratta ossessivamente e compulsivamente dal Giappone, più che da Rinri. È interessata alla cultura giapponese, alla mitologia, al Giappone fatto di montagne, laghi e foreste. Rinri, insieme alla sua bella sorella Rika, è, invece, più preoccupato al proprio aspetto, alla cultura americana, insomma a tutto ciò che non è giapponese. Amélie preferisce i noodles al grano saraceno, Rinri ama gli spaghetti, ad esempio.
Le culture occidentale e giapponese sono al centro della narrazione in modo equilibrato e piuttosto reale, grazie all’acume di una scrittrice dalla prosa chiara e diretta. Ed è proprio dal rapporto tra Amélie e Rinri, ella ci fa scoprire diversi particolari della vita giapponese. O meglio dai rapporti collaterali a quello tra i due protagonisti: si pensi al momento in cui le gambe bianche di Amélie, sotto il suo abito corto, provocano l’ilarità della famiglia di Rinri, dal momento che, secondo la loro moda, una donna come dovrebbe mettere i collant anche in estate. O a quando Rinri decide di presentare ad Amélie le sue amiche, che si aspettano che lei non mangi e parli contemporaneamente come i “conversatori”, che hanno il compito inventato di consentire all’alta società di mangiare senza doversi preoccupare della discussione.
Una storia intrigante, affascinante, vera, connotata dall’amore dell’autrice per il Giappone. Un romanzo consigliato per gli appassionati della cultura nipponica e dei confronti tra questa e il nostro modo “occidentale” di vedere e interpretare le cose. Il tutto attraverso gli occhi di Amélie Nothomb e la sua morbida penna d’autore!
L’autrice
Scrittrice belga. Figlia di un ambasciatore membro di una delle famiglie più in vista del suo paese ha trascorso l’infanzia in Giappone, per poi trasferirsi in Cina al seguito del padre diplomatico.
I suoi libri hanno ormai conquistato milioni di lettori e fans appassionati. L’esordio a soli ventitré anni con Igiene dell’assassino, cui ha fatto seguito, ogni anno, un romanzo accolto con identico successo.
Laureatasi, decide di ritornare a Tokyo per approfondire la conoscenza della lingua giapponese studiando la «langue tokyoïte des affaires»: assunta come traduttrice in una enorme azienda giapponese, vive un’esperienza durissima che racconta in seguito nel libro Stupore e tremori, che riceverà il Grand Prix du Roman dell’Académie française (1999) e da cui è stato tratto anche un film.
Stabilitasi tra Parigi e Bruxelles, dedica 4 ore al giorno alla scrittura e pubblica, per scelta personale, un libro all’anno.
Ricordiamo Né di Eva né di Adamo, Acido solforico, Causa di forza maggiore, Il viaggio d’inverno, Una forma di vita, Barbablù, La nostalgia felice, Petronille .
Il suo editore italiano di riferimento è da sempre Voland.
Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.