Romanzo storico
Mondadori
30 marzo 2021
cartaceo, ebook
390
Antonio Casagrande ha undici anni ed è un orfano del Pammatone a Genova che sa che nessuno lo sceglierà perché è cieco da un occhio. Alessandro Pavia invece vorrà lui perché li serve un apprendista.
Antonio impara nella bottega del fotografo quello che gli servirà a stare al mondo: la magia dell'alfabeto, la passione per la politica, e soprattutto la nuovissima arte della fotografia. Il resto glielo spiega madama Carmen tenutaria di un bordello con un gran senso degli affari.
In un giorno di festa a Borgo di dentro Antonio scopre il suo potere l'occhio vede ciò che nessuno vorrebbe. Sullo sfondo l'Italia è appena nata e l'orfano di Pammatone si fa uomo attraverso i momenti che trasformano il paese. Durante le rivolte per il pane conosce Caterina che lo aiuterà a capire il suo posto nel mondo.
“Si è sempre sentito unico. Un unico grosso sbaglio ,venuto al mondo tra Sottoripa e Porta Soprana. Una disgrazia per la quale la risposta giusta è la ruota di Pammatone”
“Di luce propria” è un romanzo ambientato nell’Italia del post-unità, a Genova. Antonio viene lasciato nella ruota del Pammatone, un ospedale, ma anche un orfanotrofio.
Gli viene imposto il cognome Casagrande, uguale per tutti i bambini e le bambine abbandonati; ma Antonio sa che nessuno lo vorrà mai, perché è cieco da un occhio.
“Sua madre l’ha sempre capita. Perché tenersi un figlio così? Neanche lui si sarebbe tenuto”.
La sua infanzia procede tra lavori di pulizie, aiuto nei vari reparti dell’ospedale, preghiere, pasti fatti di erbe amare e, soprattutto, cercando di non farsi mettere i piedi in testa dal bullo di turno, Michele Casagrande, che gli ha lasciato come ricordo una cicatrice.
Antonio, arrivato all’età di undici anni, non spera più che qualcuno lo porti via da lì, finché, in un giorno di forte pioggia, il preposto mette in fila nel salone i bambini e i ragazzi perché qualcuno è venuto a scegliere uno di loro.
Entra nel salone un omone con la barba e tutto zuppo di pioggia che assomiglia a Barbablù; Antonio pensa che appena l’omone se ne andrà dovrà asciugare il pavimento bagnato di acqua, ma il destino ha deciso diversamente e questa volta è lui il bambino che lascerà il Pammatone.
Inizia una nuova vita e l’omone, che si chiama Alessandro Pavia, è un fotografo che, non soltanto gli insegnerà il mestiere, ma anche a scrivere, leggere e la geografia perchè, essendo un mazziniano convinto, vuole che il ragazzo sappia dove si trova Londra, città che ospita Mazzini in esilio.
Antonio è così affascinato e grato al fotografo che il suo più grande desiderio è quello di prendere la “padronità” che sprigiona quest’uomo, che non fa nient’altro che voler bene al piccolo. Alessandro Pavia è il fotografo dei Mille: il suo sogno è riuscire a completare un album con foto e storie di questi uomini, per far conoscere la loro storia a tutta l’Italia.
E così, girando alla ricerca di questi eroi, Antonio conosce Primo Leone, figlio di Domenico, un garibaldino: alla cascina Leone c’è posto per tutti e, così, Pavia si trova tante gente che vuole una foto. Il fotografo dà al ragazzo l’opportunità di fare la sua prima foto e, così, Antonio si toglie la benda che copre il suo occhio cieco e, prima di scattare la foto, vede qualcosa… ma che cosa?
Dopo questa rivelazione Antonio non sa cosa pensare, ma la vita continua e impara a dosare il nitrato d’argento, la carta albunata e tutto quello che serve per scattare una fotografia.
Alessandro Pavia dovrà andarsene perché è un repubblicano e mazziniano; e l’Italia non è più sicura.
Antonio cresce e ha uno studio fotografico tutto suo, che ha potuto aprire grazie ai soldi guadagnati con l’aiuto di madama Carmen, una maitresse padrona di un bordello dove Antonio andava a mangiare tutti i giorni, dopo la partenza del suo “padrone”.
Madama Carmen commissiona ad Antonio, che lei chiama ” acciughetta” per quanto è magro, fotografie delle sue ragazze, da vendere ai clienti del bordello. Dopo molti anni Alessandro Pavia rientra in Italia e va a vivere a Milano; Antonio lo raggiunge e rimane con lui; conosce Caterina, che sposerà dopo varie vicissitudini.
E “il suo occhio pazzo”, come lo chiama lui?
Lo sconvolgerà ancora… ma grazie all’aiuto di Caterina riuscirà a non angosciarsi per quello che vede. La coppia si trasferirà a Quarto, dove lei continuerà a fare l’Ostetrica e lui il fotografo.
Il romanzo è ricco di colpi di scena: non a caso, la storia non termina qui, anzi. Un bel giorno, si presenterà a loro Madama Carmen che, dopo essersi sposata e diventata una ricca vedova, ha dei progetti da realizzare…
Raffaella Romagnolo ha scritto un libro piena di umanità, dove le difficoltà della vita non scalfiscono il cuore dei protagonisti. I personaggi sono ben caratterizzati e hanno una crescita personale messa ben in evidenza dalla scrittrice.
Antonio è un ragazzo che si affida totalmente al suo padrone e che diventerà uomo proprio grazie agli insegnamenti del fotografo. Alessandro Pavia, personaggio storico, tanto burbero quanto buono, si prenderà cura del ragazzo; appassionato di politica incorrerà in qualche situazione spiacevole, in quanto estimatore di Garibaldi, ma non del re.
E che dire di madama Carmen? Una tenutaria di un bordello che, oltre ad avere un grande senso per gli affari, ha un grande cuore. Cercherà in tutti i modi di aiutare chi ne ha bisogno, nonostante, alle spalle, avrà una storia d’amore struggente.
Caterina, invece, è una donna moderna per i tempi in cui il romanzo è ambientato: ella riesce ad entrare nel cuore di Antonio con dolcezza, nonostante il suo passato doloroso, da cui vorrà solo riscattarsi una volta per tutte.
In realtà, mi piacerebbe presentarvi qualche altro personaggio, ma non posso. C’è qualcuno che mi è stato tanto caro durante la lettura, ma lo lascerò scoprire a voi.
“Di luce propria” è un libro che mi è piaciuto molto per il modo in cui l’autrice rende il romanzo avvincente, con una capacità di inserire, in una narrativa tradizionale, la verità storica in maniera perfetta. La storia dell’Italia che passa dalla gioia alla lotta per il pane, repressa con la forza.
Mi ha ricordato molto i grandi romanzi dell’ottocento per come i personaggi vivono: tutti cercano di fare del loro meglio per non smarrire la retta via; si prodigano per aiutare gli altri, senza pensare a tornaconti personali. Ma anche per lo stile dell’autrice, asciutto, con parole a volte dure, ma necessarie, per far capire al lettore lo stato d’animo dei personaggi. La ciliegina è la voce narrante, quella della scrittrice, che permette di leggere la storia con più intensità.
Ho dato cinque stelle al romanzo, di cui ne consiglio vivamente la lettura. Mi ha fatto riflettere anche sui pregiudizi che molto spesso si hanno se si parla di prostituzione oppure di orfani. La lettura è, insomma, molto intensa!
Lettrici e lettori vi lascio con due domande per testare il nostro grado di immaginazione e curiosità: cosa vede, secondo voi, Antonio dal suo occhio pazzo? Alessandro Pavia riuscirà a portare a termine l’album dei Mille?