
Giallo
Morellini Editore
02 giugno 2023
Cartaceo, ebook
320

A Roccaditria, città immaginaria della Puglia centrale e capoluogo fittizio della Valle d’Itria nella Murgia meridionale, tra i furgoni e le bancarelle del chiassoso mercato aperto settimanale sparisce don Vincenzo Serio: rampollo ormai anziano di una famiglia il cui prestigio è da tempo decaduto, uomo controverso, vedovo rovinato da un’infatuazione narcisistica per la sua giovane domestica e perciò caduto nella rete dell’usura.
Tutte le ipotesi sono sul tavolo: don Vincenzo è morto? È vivo? Se è morto, è stato ucciso o si è ucciso? Se è ancora vivo, è stato sequestrato oppure ha fatto perdere volontariamente le sue tracce? Sarà possibile ritrovarlo nel viluppo di antichi vicoli bianchi e tratturi sommersi nella rigogliosa campagna murgese che definisce la topografia di Roccaditria?
Chiamati a svelare la sorte dell’uomo, tre investigatori di provincia (il pubblico ministero Calò, il maresciallo Volpe e la vicebrigadiere D’Atena) dovranno vincere le resistenze di una famiglia enigmatica e affrontare una criminalità locale spietata e tentacolare, districandosi tra fattucchiere, lettere anonime, cavilli legali, tradimenti professionali, imboscate notturne, inseguimenti e incendi dolosi.
“Debito di coscienza” di Jacopo Epifani, edito Morellini Editore, è un giallo introspettivo che ricorda i grandi gialli del passato.
Dall’incipit prende subito forma il carattere del romanzo. L’anima chiassosa e intraprendente della provincia italiana.
“Un garzone sobbalzò e quasi perse una cassetta di zucchine. Agitando le braccia tozze, la fruttivendola gli impartiva ordini (…) un giovane rovesciava sul banco scatoloni di ghiaccio secco (…) in un vociare crescente, ai piedi del centro storico di Roccaditria, prendeva forma il mercato aperto del giovedì”
È il 7 novembre e dalla ringhiera della sua veranda, Don Vincenzo osserva, sorridendo, quelle scene che si ripetono ogni settimana. Alla mente dell’anziano affiorano ricordi lontani, di gioventù. L’uomo sembra assente, distratto. Lo conosciamo seguendolo passo a passo: dall’acquisto delle clementine alla colazione al bar.
Tanto silenzioso il protagonista, quanto rumorosi e loquaci i suoi compaesani.
Durante la lettura mi sono ritrovata spesso a sorridere, immersa nei divertenti dialoghi della provincia descritta dall’autore. Le vicende sembrano grottesche, ma possono accadere realmente.
Don Vincenzo scompare, proprio in quel giorno di mercato. Nessuno sa cosa gli sia accaduto. Il giorno successivo si recano in caserma a denunciarne la scomparsa la figlia Michela, la sorella donna Margherita e il nipote Livio.
I sospetti e i pregiudizi dei familiari, soprattutto dell’anziana sorella, si centralizzano su Vania, la giovane bulgara che lo aiutava in casa. Una ragazza piacente di cui l’anziano si era invaghito con comprensibile disappunto da parte dei familiari.
“Lavorare (…) Che la casa non la sapeva pulire, non si può dire? Che sapeva cucinare solo le patate, nemmeno questo si può dire? La pasta la faceva diventare bianca … sembrava quella per i malati che non digeriscono” – Debito di coscienza
I familiari giungono a conclusioni affrettate, basate su pregiudizi nei confronti degli stranieri – quella “gente poco raccomandabile”.
I dialoghi sono davvero divertenti! Donna Margherita, dopo essersi lamentata della bulgara per tutto il tempo, mimando il gesto di cucirsi le labbra, sentenzia: “Non dico più niente, mi sto zitta, mi sto zitta fino alla fine”.
Anche una “scomparsa sospetta” viene in aiuto ad un tribunale come quello di Roccaditria, candidato alla chiusura.
“A ben vedere, poi, quel caso meritava davvero di essere approfondito. Troppi gli elementi sospetti: le persone frequentate dal fratello dell’ex domestica dello scomparso, il litigio riferito dalla sorella di quest’ultimo e, soprattutto, il raid nella casa di campagna.”
Jacopo Epifani ci accompagna a conoscere la sua terra. Descrive le case di campagna, le trattorie, la macchia e la boscaglia. Soprattutto mi ha colpito la descrizione delle case tipiche della zona.
“A Roccaditria si chiamano case di fondo, dove il fondo è un’antica unità di misura popolare corrispondente a circa quarantaquattro metri quadri. Monolocali senza finestre (…) Gelide e umide in inverno, per epoche intere le case di fondo sono state covi perfetti perché la tubercolosi contratta sul lavoro dal capofamiglia si riproducesse (…) tutti stipati in quattro mura” – Debito di coscienza
La spiegazione offre all’autore l’espediente per parlare di una delle malattie più diffuse prima degli anni del boom economico. Dopodiché le famiglie iniziarono a comprare appartamenti nelle periferie delle città che si stavano allargando rapidamente. Quegli stambugi erano il ricettacolo perfetto per il proliferare di germi e malattie. In quei pochi metri quadri si cucinava, si sputava sangue, si facevano i bisogni in un secchio nell’angolo e si moriva.
L’autore ci parla della sua terra senza mezze misure. Ci informa che, ancora oggi, alcune di quelle fatiscenti case di fondo sono abitate da immigrati, da sbandati o da anziani che, all’epoca, non si poterono permettere un appartamento.
È un romanzo che parla di appalti truccati, precedenti penali, condanne d’estorsione ma, soprattutto, racconta di una scomparsa.
Ad indagare sono tre investigatori davvero ben caratterizzati: la vicebrigadiere D’Atena, il maresciallo Volpe e il procuratore Patrizio Calò.
“Lei esibiva il meglio dei suoi trentadue anni. Fisico affilato da campionessa provinciale di corsa a ostacoli alle superiori, la coda perfettamente ordinata. (…) il maresciallo annuiva mollemente, adagiando tutto il suo viso paffuto sulla pappagorgia”
Poi c’è lui, Calò, incredibilmente serioso e intuitivo. Un investigatore d’altri tempi che insieme alla vicebrigadiere e al maresciallo formano un trio ben calibrato.
In questo paese di provincia è Volpe a ricavare le informazioni sedendosi al tavolino del bar con i compari. Anche se nei suoi confronti – lui, tutore della legge – persiste quella omertà che unisce i villani e che li rende silenziosi e, apparentemente, all’oscuro di ogni vicenda.
Con il suo stile fresco, pulito, diretto, Epifani ha la capacità di farci entrare nel racconto per fare la conoscenza di tutti gli abitanti di Roccaditria.
“Debito di coscienza” è strutturato in quattordici capitoli più la Prefazione. Ogni capitolo è dedicato ad una giornata.
La storia si svolge in novembre, tra il 7 e il 20. In poco più di dieci giorni si regolano i conti con la coscienza.
“Tornò pesantissima, piombò come un macigno giù dalla gola, travolse il castello di carta delle sue giustificazioni e si schiantò sullo stomaco” – Debito di coscienza
Sono persone normali quelle descritte da Epifani. Persone comuni che passano inosservate, ma nelle quali cova, latente, il risentimento.
La parte più divertente di “Debito di coscienza” è il racconto, in dialetto pugliese, della cugina del maresciallo Volpe, Immacolata. La donna, prima di arrivare al punto, si prodiga in dissertazioni lunghissime e spassose.
“Venerdì scorso, lo zio Antonino è caduto. Io non ne sapevo niente. Gliel’ho detto cento volte. Mille volte. Antoni’, siamo fatti grandi, Antoni’, abbiamo ottant’anni, per noi, aqqua’, ‘ste ven a’ notte, non è più u’ giurn”
Il romanzo è attraversato da un velo di malinconia per i tempi andati, per lo scorrere inesorabile del tempo e i cambiamenti che questo comporta.
“Risentiva le grida argentine e le risate beffarde degli amici d’infanzia, le lattine incastrate nelle forcelle delle poche biciclette perché girando le ruote facessero il rumore della moto.”
In conclusione, l’intuito dei protagonisti porta ad incastrare ogni cosa al suo giusto posto: “una domanda, una battuta, una confessione e una smentita”, tutto in poche parole.
Interessanti e accurate tutte le parti nelle quali emerge la professione di avvocato penalista dell’autore.
“Davanti allo specchio si è soli con se stessi, uomini e non avvocati, e si va a dormire con la propria coscienza, non con il codice”
L’editore Mauro Morellini, che ringrazio per la gradita copia cartacea, aveva definito il romanzo di Epifani di ottima scrittura. Posso confermare che è così!
Un eccellente esordio.
5 stelle ⭐⭐⭐⭐⭐

Mi chiamo Alessia. Sono un’insegnante di matematica e inglese. Vivo in provincia di Pavia. Adoro leggere (soprattutto gialli), fare yoga e cucinare.