
Saggio
Einaudi
24 maggio 2022
cartaceo, ebook
104

Il dibattito sul linguaggio inclusivo è tornato prepotentemente in auge negli ultimi tempi grazie a interventi di addetti ai lavori sul tema delle dissimmetrie di genere in italiano. Molto si discute, in particolare, con posizioni sempre piú polarizzate e toni sempre piú ruvidi, sulla proposta di utilizzare il simbolo fonetico dello «schwa», corrispondente a un suono vocalico «neutro», per superare il cosiddetto «binarismo» linguistico.
In questo libro, partendo dalla questione del maschile «non marcato», si riflette sull'eccessiva importanza attribuita ai significanti rispetto ai significati e si propone un'analisi costi-benefici di una soluzione che, pur partendo da premesse in parte condivisibili, riduce il discorso sul linguaggio a una pura questione espressiva a scapito della dimensione comunicativa e di quella pragmatico-testuale, rivelando un atteggiamento moralmente ricattatorio e al tempo stesso elitista da parte di chi, in nome dell'inclusività, rischia di compromettere gravemente l'accessibilità e la funzionalità della lingua.
“Il cammino verso il linguaggio inclusivo è lastricato di buone intenzioni. Ma non di rado conduce anch’esso all’inferno” – Così non schwa, Andrea De Benedetti, Einaudi
Esordisce così Andrea De Benedetti nell’introduzione di “Così non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo”, pubblicato da Einaudi. Un’affermazione breve e concisa che dà avvio al discorso ma che si presta bene anche a riassumere il contenuto del libro. Pur riconoscendo un valore dietro le motivazioni di chi vorrebbe ufficialmente introdurne e diffonderne l’utilizzo, De Benedetti non è a favore dello schwa. Le ragioni sono diverse, le motivazioni solide, logiche e ben argomentate.
Ma partiamo dall’inizio. Cos’è questo schwa?
Gli assidui frequentatori del mondo dell’Internet molto probabilmente ne saranno al corrente, perché lì più che altrove se ne è parlato e se ne parla con una certa frequenza, ma un piccolo recap potrebbe essere ugualmente necessario. Negli ultimi anni si è posta particolare attenzione sulla questione relativa al sessismo nella lingua italiana, con un focus specifico sull’impiego del maschile sovraesteso: è sufficiente che almeno un uomo sia presente in un gruppo di persone, per declinare il plurale al maschile, anche se tale gruppo è a prevalenza femminile. E se nel gruppo ci sono individui che si dichiarano non binari la complessità aumenta esponenzialmente.
L’impossibilità di esprimere il genere di una persona o di un gruppo intero di persone è giudicato da alcuni come un limite espressivo della lingua italiana. Per uscire da questa impasse in alcuni ambienti LGBTQ+ si è diffuso appunto l’uso dello schwa (ə), un simbolo fonetico che identifica una vocale intermedia.
“Lo schwa consentirebbe […] di includere le donne in caso di plurali contenenti almeno un elemento femminile (“Marco, Giorgio e Anna sono arrivatə”), di riferirsi a un individuo generico/sconosciuto di cui si ignori il sesso (“non è venutə nessunə”) […] e, più in particolare, di garantire cittadinanza grammaticale alle persone “non binarie”, cioè coloro che non si riconoscono nel genere maschile né in quello femminile”.
Una trovata senz’altro originale, che tuttavia, secondo De Benedetti, porta con sé più costi che benefici nell’economia generale del sistema linguistico italiano. Lo schwa introduce un suono e un simbolo al momento non presenti nella nostra lingua. Inoltre, come per l’asterisco, anche lo schwa è difficile da pronunciare nel parlato. Si tratterebbe inoltre di ripristinare un genere (il neutro) che non esiste nella lingua italiana, complicandola e riportandola indietro di anni, anziché rinnovarla. Le motivazioni tecniche non si esauriscono chiaramente qui e sono ben argomentate nel terzo capitolo del libro, insieme a confronti con le soluzioni adottate da altre lingue europee: inglese, tedesco, spagnolo e francese.
Il fulcro della questione però è un altro, e ha a che fare con la differenza tra significato e significante, tra le dissimmetrie grammaticali e le dissimmetrie semantiche presenti nel nostro idioma. Nel fatto che, lo schwa, piuttosto che neutralizzare le differenze, rischia di amplificarle. Di sottolineare una diversità, di mettere comunque al centro del discorso il proprio corpo e la propria identità.
“Si dirà che una piccola forzatura val bene un grande obiettivo, ma sostituire a dei criteri lessicografici dei principi ideologici rappresenta una forzatura macroscopica, a fronte di un obiettivo – il riconoscimento morfologico delle persone non binarie – abbastanza marginale rispetto al vero traguardo, che è un riconoscimento sociale compiuto e definitivo della categoria”.
La tematica è complessa e trovare un compromesso non è facile. Per di più, spesso la discussione si riduce a una mera guerriglia tra fazioni, in cui quasi mai si tiene conto della vera vittima: l’italiano. De Benedetti, in “Così non schwa” evidenzia invece proprio questo aspetto, effettuando un’analisi lucida e razionale, senza banalizzazioni e illogiche prese di posizione.
Ho trovato le argomentazioni ragionevoli, il modo di esprimersi chiaro e comprensibile – nonostante alcuni necessari tecnicismi – e il tono, seppur talvolta ironico, mai sbeffeggiante, altezzoso o isterico (come spesso accade quando si leggono libri sulla questione, da qualsiasi corrente di pensiero provengano).
Consiglio la lettura di questo piccolo saggio a tutti, in particolare ad esperti e appassionati di linguistica. La posizione dell’autore è chiaramente polarizzata e i lettori con un pensiero affine troveranno ulteriori solide argomentazioni a proprio favore. Ai lettori che viaggiano su un’altra lunghezza d’onda mi sento ugualmente di consigliare la lettura, è sempre fondamentale osservare un fenomeno da più punti di vista.
E voi, lettrici e lettori di Bottega, che posizione avete in merito alla questione?
Buona lettura a chi vorrà,
Arianna
L’autore
Andrea De Benedetti, (1970) dal 1997 al 2006 ha insegnato Lingua e linguistica italiana all’Università di Granada. Ha collaborato con diverse testate italiane tra cui «il manifesto», «GQ» e «D-la Repubblica delle donne». Attualmente insegna lettere in un liceo e collabora con la SSML Vittoria di Torino e con l’Academy della Scuola Holden. Tra le sue pubblicazioni su argomenti linguistici ricordiamo, per Einaudi, il saggio La situazione è grammatica. Perché facciamo errori. Perché è normale farli (2015) e Cosí non schwa. Limiti ed eccessi del linguaggio inclusivo (2022).