
biografia
Melampo
2013
cartaceo
286

Una Campania inquieta e violenta. Questo libro ne racconta la storia contemporanea attraverso gli occhi e la memoria di chi ne è stato travolto: giornalisti, magistrati, poliziotti, guardie carcerarie e semplici cittadini, prima vittime di fatti tragici, poi infangati o dimenticati. Storie di vittime innocenti della camorra, del terrorismo, del dovere. Storie di uomini coraggiosi. Di familiari lasciati soli che ne hanno raccolto il testimone trasformando il dolore in impegno civile. I racconti compongono così un mosaico di resistenza civile, diverso dalla cronaca e dalla storiografia ufficiale. Restituiscono uno spaccato di un'Italia ferita ma che reagisce, consapevole, coraggiosa e responsabile. Un'Italia rimasta per anni ai margini ma con la piccola presunzione di far diventare le sue testimonianze storia nazionale. Un libro crudo e partecipe, che narra la quotidianità della violenza e canta la normalità delle sue vittime, sottraendole sia all'oblio sia alla retorica del martirio. Prefazione di Paolo Siani.
Avete mai letto libri che trattano le tematiche reali come quelle delle vittime innocenti? Se sì, quali e cosa ne pensate?
“Come nuvole nere”, edito Melampo, è un romanzo scritto da Raffaele Sardo.
Leggere “Come nuvole nere. Vittime innocenti” è stata un’esperienza che ha lasciato un segno profondo dentro di me, non solo come lettrice ma anche come giornalista. Questo libro non è una semplice raccolta di storie: è un monumento alla memoria, un atto di resistenza contro l’oblio e la banalizzazione del dolore.
Attraverso le vite di ventidue persone uccise in Campania tra il 1973 e il 1986, Sardo riesce a fare ciò che pochi autori sanno fare con tale sensibilità e rigore: rendere giustizia a chi non ha più voce.
Fin dalle prime pagine, ho avuto la sensazione di entrare in un luogo sacro, dove ogni nome, ogni storia, ogni dettaglio assume un valore quasi liturgico.
Le vittime di cui parla Sardo non sono numeri o titoli di giornale ormai sbiaditi dal tempo: sono persone fatte di carne, sangue, sogni e speranze. Persone che hanno amato, lavorato, riso e pianto, fino al momento in cui la violenza ha strappato loro tutto.
Leggendo queste storie, ho provato un misto di rabbia e tristezza, ma anche un profondo senso di gratitudine verso l’autore per aver restituito dignità a chi era stato ridotto a una nota a margine della cronaca.
“Le risposte alla fine le ho trovate da sola ed erano tutte dentro di me. Ho cominciato a reagire dopo circa quattro anni, quando ho avuto una specie di risveglio. Ho deciso che dovevo continuare a vivere, perché ero ancora giovane.”
Come giornalista, spesso mi sono trovata a scrivere di tragedie, di morti improvvise, di vite spezzate. Ma leggere questo libro mi ha fatto riflettere su quanto spesso, nei media, si tenda a concentrarsi sui carnefici piuttosto che sulle vittime.
I criminali diventano icone, mentre le persone che hanno subìto la violenza rimangono sfocate, anonime.
Lo scrittore rovescia questa narrazione tossica, mettendo al centro proprio quelle figure che troppo spesso vengono ignorate, e lo fa con una delicatezza disarmante, senza mai scadere nel melodramma o nella retorica.
Uno degli aspetti che mi ha colpito di più è il modo in cui Sardo descrive i familiari delle vittime. Non li presenta come eroi o martiri, ma come esseri umani fragili, feriti, ma incredibilmente forti. Hanno trasformato il loro dolore in impegno civile, in una lotta quotidiana per mantenere vive le storie dei loro cari.
Ho sentito una stretta al cuore leggendo di madri che hanno dedicato la vita a cercare verità e giustizia, di padri che hanno combattuto contro il silenzio e l’indifferenza, di fratelli e sorelle che hanno deciso di non arrendersi all’ingiustizia.
Questo mi ha fatto pensare al ruolo che noi giornalisti abbiamo nella società. Spesso ci concentriamo sulle notizie immediate, sugli scoop sensazionali, sulle dichiarazioni dei politici o dei boss. Ma quante volte diamo voce a chi soffre in silenzio? Quante volte ci fermiamo ad ascoltare i familiari delle vittime, a raccontare le loro battaglie quotidiane?
Ciò che rende “Come nuvole nere” così potente è la sua capacità di farci vedere la violenza attraverso gli occhi delle vittime. Non si tratta solo di omicidi di mafia o atti terroristici: sono vite distrutte, famiglie devastate, comunità ferite.
Ogni capitolo è un viaggio nella quotidianità di queste persone, nelle loro abitudini, nei loro sogni. E poi, improvvisamente, tutto finisce. Una pallottola, un’esplosione, un tradimento. La brutalità è descritta con una precisione chirurgica, l’autore sa dosare le parole, evitando di traumatizzare il lettore ma facendogli comunque percepire l’orrore.
“Mio fratello non era consapevole di essere in pericolo, perché fino a quel momento non c’era stato nessun segnale minaccioso. Scriveva di vicende di camorra, ma non era affatto preoccupato. Giancarlo a casa diceva tutto. Forse la sua unica preoccupazione era una querela per diffamazione che aveva ricevuto qualche tempo prima. Giancarlo voleva fare il giornalista senza raccomandazioni, questo era il suo sogno” – Come nuvole nere
Indovinate un po’ qual è la storia che si è presa il primato nella mia classifica e qual è quella dove ho versato le mie lacrime migliori nonostante l’abbia letta e riletta mille volte?
Un altro elemento che ho apprezzato profondamente è il modo in cui Sardo descrive la Campania. Non è solo lo sfondo delle vicende narrate, ma un vero e proprio personaggio. La regione viene dipinta con tutte le sue contraddizioni: la bellezza mozzafiato dei paesaggi, la ricchezza della cultura e delle tradizioni, ma anche la violenza radicata, la corruzione, il senso di impunità.
Ho sempre creduto che raccontare un territorio significhi raccontarne le persone. Sardo lo fa in modo magistrale, mostrando come la violenza non sia un fenomeno astratto, ma qualcosa che colpisce case, famiglie, quartieri.
La Campania, in questo libro, diventa un simbolo di tutte quelle terre martoriate dalla criminalità organizzata, dove la lotta per la legalità è ancora oggi una battaglia quotidiana.
Forse la lezione più importante che ho tratto da questo libro è il valore della memoria. Nel nostro mondo frenetico, dove tutto scorre veloce e le notizie si susseguono senza sosta, è facile dimenticare. Ma dimenticare significa permettere ai carnefici di vincere, di cancellare le vittime dalla storia, ricordare significa dire no all’indifferenza, dire no all’oblio, dire no alla retorica che vuole trasformare le vittime in figure mitiche e distanti.
Grazie per questa splendida lezione di vita che conserverò gelosamente e che porterò sempre con me.
Voto: 5 stelle

Anna Calì, classe ’96. Nelle sue vene scorre la lava del Vesuvio e la passione che contraddistingue il popolo napoletano.
Giornalista di professione e con la passione dei libri sin da piccola. Adora annusarli e, quando va nelle librerie, si perde tra gli scaffali ad osservare le copertine.
Grazie a questa passione è riuscita a mettere in campo due sogni nel cassetto: il primo, recensisce i libri che legge, esperienza che fa bene sia al corpo che alla mente. La seconda: è diventata anche scrittrice e ha pubblicato già due romanzi.