Poesia
Scrivere poesia edizioni
2023
cartaceo
100
L’amore, nell’opera di Marco Verrillo, è anch’esso testimonianza indelebile di verità. È un amore che non cede il passo a facili inganni, che non sceglie comode scorciatoie e che, nel bene o nel male, non concede sconti. È l’amore che scava, ferisce e salva. È l’amore che accoglie il dolore come un dono, l’amore che cattura occhi e pelle. Così, a colpi di fotogrammi spiazzanti, nudi di fronzoli e di sovrastrutture, l’autore ci inchioda al suo ritmo festoso e malinconico, lasciandoci lo spazio ideale per raccogliere i brandelli di ogni nostra identità taciuta, accarezzare tutti i sogni sopiti, svegliarli e finalmente rinascere avendo cura di amarci.
(dalla postfazione di Selene Pascasi)
“Ciò che è rimasto” di Marco Verrillo è il libro che mi ha tenuto compagnia nelle calde sere di luglio. Si tratta di una piccola raccolta di testi, riflessioni e poesie, che concentra emozioni e storie in poco più di cento pagine. Una lettura che mi ha molto colpito per la libertà di stile dell’autore che, in barba alla mania di dover per forza definire un genere, scrive senza remore e senza risparmiare sentimenti, passando dai versi alla prosa come se le parole fossero il mezzo per dar voce alla sua anima.
È questo, a mio avviso, il punto di forza di “Ciò che è rimasto“, ossia l’aver sposato l’idea che la scrittura è libertà. A maggior ragione quando si riversano sul foglio emozioni personali e intime. Verrillo è bravo in questo gioco di affidarsi alla poesia per dare voce all’anima e al racconto per fare sentire il cuore.
“Ciò che è rimasto”, il libro di Marco Verrillo
“Ciò che è rimasto”, edito da Scrivere poesia edizioni, è un libro di quelli che io chiamo “da comodino”. Trovo infatti molto piacevole lasciarsi accarezzare da poche pagine per volta alla fine, o all’inizio, di una giornata. Dico poche perché i testi poetici meritano, o necessitano, di essere assimilati, percepiti ed elaborati. A volte con la testa, a volte con la pancia, a volte con il cuore.
Non penso sia giusto fare scorpacciate di poesia correndo il rischio di non gustare il sapore di ogni parola, di ogni emozione.
Così è stata la mia lettura del testo di Marco Verrillo: attenta, aperta e introspettiva. Le parole dell’autore, infatti, spesso sono riuscite a colpire i miei pensieri, dandogli la scintilla necessaria per avviare il loro percorso.
Un esempio su tutti: più o meno verso metà libro si trova un testo in prosa di circa tre pagine. Un testo senza titolo, a dimostrazione della libertà di scrittura che ho evidenziato in apertura. Un testo che parla di solitudine, di coraggio e di capacità di prendere in mano la vita. L’ho letto, l’ho riletto, e poi ho fatto una piccola orecchia alla pagina per facilitare il mio ritorno a quelle parole. Dopo qualche giorno ci sono tornato ancora e, anche ora, mentre scrivo questa nuova condivisione di lettura, mi sono fermato un attimo per rileggerlo.
Ma quanto è bello quando un testo ci colpisce così tanto? Io, nei panni di un autore, sarei felicissimo di sapere che il frutto del mio flusso di scrittura riesce a travolgere il lettore con un’enorme onda di emozioni.
“Star bene con sé stessi è una scelta. Una conquista quotidiana. Lo sai quando sono cambiato davvero? Quando non ne potevo più di voler cambiare. Di accomodare gli altri. Di ritrovarmi solo dopo aver sistemato il resto.”
È chiaro che per verificarsi questo idillio che unisce chi scrive e chi legge, serve che i pianeti dei due soggetti siano ben allineati. Con ogni probabilità sono rimasto folgorato da queste pagine perché ci ho riconosciuto un particolare momento della mia vita. È proprio questo il bello delle raccolta di poesia: la lettura non si esaurisce mai e dei versi che oggi passano via senza dire nulla, domani possono diventare un salvagente. Proprio come funziona con le canzoni.
Marco Verrillo e il suo stile
Marco Verrillo è un autore campano che, da quel che si può intuire dalla lettura di “Ciò che è rimasto”, vive al nord. C’è, infatti, anche una traccia geografica della sua produzione artistica in quanto, in coda a buona parte dei testi, vengono indicati il luogo e la data in cui sono stati scritti.
Questa è un’idea che ho apprezzato molto. Mi piace quando un autore lascia traccia della sua ispirazione. L’ispirazione è un dono così astratto, così imprevedibile e così sfuggente che l’idea di fotografarla indicando il momento in cui si è manifestata mi affascina parecchio.
Così come mi ha catturato la sensazione di malinconia che si respira sfogliando le pagine. Del resto, già il titolo di questa raccolta evidenzia il fatto che qualcosa è andato perso. Ma qualcosa, cosa? L’amore? Una parte di vita? La gioventù? A queste domande non voglio dare risposta perché trovo sia giusto che ogni lettore percepisca le parole secondo la sua sensazione.
Ecco, questa caratteristica della poesia, cioè quella di venire interpretata in un modo o nell’altro a seconda della sensibilità di chi legge, a mio avviso a volte può rivelarsi anche il punto debole di un testo. Chi scrive conosce la verità, chi legge capisce ciò che vuole o riesce a capire. Il rischio è sempre quello che qualche parola si perda per strada.
Conclusioni
Proprio per questa caratteristica dispersiva delle raccolte poetiche, devo riconoscere il mio limite nella elasticità di interpretazione di alcuni pensieri che, comunque, sono sempre scritti in maniera corretta e con un italiano impeccabile. In generale, concludendo, considero “Ciò che è rimasto” una buona lettura.
Un viaggio nel mondo del poeta che tra poesie d’amore, riflessioni sulla vita e racconti di vita reale e grezza, avvicina il lettore quanto basta per tratteggiarne l’anima. Verrillo è un autore libero che mi ha molto affascinato: ecco perché non vedo l’ora di approfondirne la conoscenza attraverso l’intervista che verrà sui canali di Bottega.
3 stelle ⭐⭐⭐☆☆
Autore e speaker radiofonico.
Mi piace leggere, scrivere e condividere le storie.
Il mio sito è www.stefanobuzzi.com