
thriller, giallo
Maratta Edizioni
9 marzo 2020
cartaceo, ebook
246

Il ritrovamento del cadavere di un uomo senza testa nel parco di S. Giusto è la perfida accoglienza che la città riserva al commissario De Stefano, da poco insediatosi alla Questura di Trieste. La vittima, Giuseppe Milan, è un impiegato di un notissimo studio legale triestino. Unico indizio, un foglio bianco su cui è riportato un nome, George Morgan. Ma la scia di sangue è solo all’inizio.
Ben presto, il commissario De Stefano si ritrova con una serie di delitti e nessun movente. Unico comune denominatore, il fantomatico George Morgan.
Quale è il legame che unisce i delitti? E chi è George Morgan, l’assassino senza volto?
“Aspettava che l’ambiente gli parlasse. C’era sempre sulla scena di un delitto recente qualche cosa che aleggiava nell’aria, un segno invisibile che non si può rivelare con la polvere per le impronte o il Luminol o qualsiasi altra diavoleria chimica o tecnologica. Ma per questo bisognava essere solo nel silenzio e raccogliere quelle sensazioni che solo lui poteva sentire.“
Trieste, come diceva Saba, ha una scontrosa grazia, una caratteristica che potremmo prendere in prestito per descrivere in breve anche Renzo De Stefano, il commissario protagonista del giallo “Bora Nera” da poco trasferitosi nel capoluogo giuliano per seguire la sua fidanzata Ilaria, triestina di origine, e impegnato sin dai primi giorni di incarico a trovare il bandolo di una serie di omicidi, iniziati con il ritrovamento in un fossato del parco sotto la Cattedrale di San Giusto, di un corpo senza testa.
Ciò che appare subito evidente nelle prime fasi dell’indagine è il caratteristico modo del commissario De Stefano di rapportarsi alla “scena del crimine”, ovvero la necessità di analizzare il luogo del delitto, da solo, prima di venire a conoscenza dei dettagli, guardandolo e sezionandolo in modo da farsene una precisa opinione.
Come un vero e proprio segugio, il commissario “annusa e ascolta” quanto ha da trasmettere l’atmosfera del luogo dove sono avvenuti gli omicidi, non dando nulla per scontato, ma raccogliendo le prime istintive impressioni.
Forse per questo suo modus operandi, De Stefano, siciliano originario di Marsala, è un personaggio ben definito; con le sue idiosincrasie, (odia le pratiche burocratiche, il dialetto parlato come madre lingua, l’uso degli inglesismi nella lingua italiana parlata e scritta) e la sua sensibilità atta a cogliere ed apprezzare il paesaggio e le atmosfere di Trieste, dove mare e altipiano carsico sono i suoi due confini naturali, serrata com’è in quella stretta lingua di terra contesa nella storia e dove le più diverse culture si sono mescolate, amalgamate, mantenendo inadatte le loro identità.
Le indagini del commissario, dunque, scandite dal costante consumo di “neri” (il caffè espresso per i triestini) e di sigarette che, peraltro, egli fuma impunemente anche in luoghi dove è espressamente vietato farlo, all’inizio sembrano procedere con molta difficoltà.
Ma, nonostante la serie di omicidi si sussegue senza avere un nesso comune, mettendo in apprensione l’intera città, l’attento e profondo lavoro di investigazione tende a delineare un quadro ben preciso. Partendo dall’analisi della vita incolore della prima vittima, un impiegato, persona tranquilla e perbene senza amici né tantomeno nemici, per proseguire con le indagini sulla seconda vittima, una giovane donna titolare di una foto-copisteria, e con il finto suicidio di un notissimo avvocato, il cerchio si restringe quando vengono alla luce fatti che coinvolgono esponenti dell’alta società triestina e si giunge a ritmi serrati ad uno sconcertante finale.
In questo thriller che, per l’ ambientazione triestina, ricorda i gialli di Veit Heinichen, si innesta sul filone delle indagini di De Stefano una trama secondaria, quella del rapporto tra la coppia di amici del commissario: Marina, giornalista per un quotidiano locale e Roberto consulente chimico farmaceutico; una sotto-trama che fa da contraltare alle indagini e con esse si interseca, mantenendo durante tutto il romanzo una funzione di controbattuta alle vicende principali.
Seppur il romanzo sia particolarmente interessante per la caratterizzazione dei personaggi che ruotano attorno alle indagini, grazie all’uso di elementi che sottendono alle loro personalità come l’amore per i cani da parte del Questore, il tifo sfegatato per il Milan del capo della scientifica (quando De Stefano è un convinto interista), gli abiti dallo stile eclettico del fido ispettore Diodovich, nonché per la scrittura fluida e a tratti molto convincente e la scelta del titolo che è gioco di parole per indicare il vento di Bora che tradizionalmente è chiara (se c’è il sole) o scura (se il cielo è coperto da nubi), mentre nel romanzo diventa nera a causa del numero di omicidi, Bora Nera presenta, purtroppo, delle piccole sbavature.
In particolare si arriva all’ultima pagina, senza sapere se la morte di una coppia trovata nella loro camera da letto in un lago di sangue, – un caso a sé stante che nulla ha a che fare con il filone primario delle indagini, – sia stato un suicidio o un omicidio nonostante alcuni riferimenti del commissario e degli inquirenti facciano intendere che sono in corso delle indagini.
Infine, in quanto triestina, mi è saltato subito all’occhio che, in un paio di occasioni nel romanzo, Trieste e il suo dialetto vengono definiti friulani. Trieste è città giuliana e definirla friulana equivale all’errore che faremmo dicendo che Rimini è emiliana.
Sia ben inteso che non è un semplice fatto di campanile, ma una precisazione di differenze storiche e di conseguenza anche linguistiche.