
Thriller western
Parallelo45
30 aprile 2020
Cartaceo
188

Cash e lo sceriffo Wheaton hanno uno strano legame.
Lui la tirò fuori dall’auto distrutta di sua madre quando aveva tre anni e da allora la tiene d’occhio. Il Minnesota settentrionale, lungo il Red River, è un luogo duro in cui vivere e, a tredici anni, Cash lavora già nelle fattorie.
Ma lei è ancor più dura della vita: agile, indossa sempre giacca e pantaloni di jeans, fuma Marlboro e beve Bud. Guidare il camion è la sua fonte di vita e giocare a biliardo è la sua grande passione. Wheaton immagina per lei una vita migliore. Vuole che entri nel Junior College.
Nel sogno, Cash è anche di più della protetta di uno sceriffo, della futura studentessa, della ragazza tosta e brava con la stecca da biliardo. Nel sogno, Cash vede, ed è quello il punto di partenza per iniziare l’indagine e scoprire chi ha commesso l’Assassinio sul Red River.
“La sua mente era sempre lì a comporre canzoni o storie.
Le lunghe giornate di lavoro le davano parecchio tempo per pensare a cose da scrivere. Se avesse mai trovato il tempo di mettere le parole per iscritto, sarebbe stata tutt’altra faccenda.
Le parole che aveva in testa non pagavano affitto. O una birra. Forse con il prossimo stipendio avrebbe comprato una chitarra.
Poteva cantare nella cabina del camion e non sarebbe stato necessario mettere le cose per iscritto. Forse”.
È la prima volta che leggo un thriller western.
Durante la mia infanzia ho visto numerosi film western, ma erano tutti incentrati su pistoleri, duelli a mezzogiorno ecc., dove ovviamente i visi pallidi erano i buoni e gli amerindio i cattivi.
In questo libro, la storia si ribalta: i buoni sono gli indiani e i bianchi gli oppressori.
Sottratta alla famiglia, per motivi ignoti, dopo l’ennesimo incidente d’auto della madre e divisa dai fratelli, Cash, 3 anni, viene presa sotto l’ala protettrice dello sceriffo Wheaton, che la seguirà durante il suo pellegrinare tra una casa famiglia e l’altra.
Cash è una ragazzina sopra le righe, lavora nei campi con gli uomini, facendo lavori maschili e comportandosi come un maschiaccio.
Il suo difetto più grosso? Essere indiana, nel senso di pellerossa, in un mondo dove i nativi americani sono costretti a vivere nelle riserve e a sottostare alle leggi dei “bianchi”.
“Ogni sera andava letto in una fattoria di estranei e guardava le stelle fuori dalla finestra, desiderando il calore di una famiglia. Allora non aveva il senso del tempo.
Era in quella casa da una settimana? Due mesi? Non lo sapeva mai.
Conosceva soltanto la gioia che le riempiva il cuore ogni volta che l’assistente sociale arrivava e le infilava di nuovo gli indumenti semplici logori dentro i quali arrivata”.
Marcie Rendon approfitta, raccontando le indagini di alcuni omicidi avvenuti nelle vicinanze del Red River, per dare voce, attraverso Cash, alla denuncia delle drammatiche condizioni di vita a cui sono stati sottoposti per anni i bambini, figli di nativi americani.
Questi ragazzini venivano sottratti alle loro case e affidati a famiglie di “bianchi” che li trattavano come schiavi, oppure venivano rinchiusi in istituti.
È stato grazie alla White Earth Anishinabe Nation, di cui è membro anche Marcie Randon, che finalmente questi ragazzi, ormai diventati adulti, hanno potuto rientrare presso le proprie famiglie d’origine.
Questo dramma vissuto da questi piccoli innocenti è stato per me una triste scoperta. E voi ne eravate al corrente?
“Cash si alzò, spazzolò via foglie e polvere dal fondo dei pantaloni, e si girò per tornare indietro lungo l’argine.
Lunghe Trecce fece lo stesso. “Dove andiamo?”, le chiese.
Cash non rispose, continuò semplicemente a camminare. E lui andò con lei”.
“Assassinio sul Red River” è il romanzo di esordio per la Rendon nel mondo dei thriller.
Una scrittura semplice che rende piacevole la lettura, mantenendo viva, pagina dopo pagina, l’attenzione del lettore, il quale si trova a vivere un’avventura coinvolgente e in certo senso sconvolgente.
È sicuramente un libro più incentrato sulla denuncia che sulla trama. La storia scorre, intriga e incuriosisce molto, ma in alcuni momenti, pochi per la verità e identificabili nella minuziosa descrizione dell’ambiente, li ho trovati leggermente noiosi.
L’autrice
Marcie Rendon (nata nel 1952) è un drammaturgo, poeta, autrice e attivista artistico della comunità nativa americana di Minneapolis.
È un membro iscritto alla White Earth Anishinabe Nation.
È la fondatrice della Raving Native Productions (teatro), e insieme a varie opere teatrali, sceneggiature, poesie e racconti, ha scritto 2 libri di saggistica per bambini, e 2 romanzi gialli. Il suo primo romanzo “Murder on the Red River” ha vinto il Premio Pinckley 2018 per la narrativa criminale di debutto. Il suo secondo romanzo “Girl Gone Missing” è stato selezionato per un premio Edgar nel gennaio 2020. Il suo lavoro teatrale di maggior successo fino ad oggi è “Free Frybread Telethon”, un’opera teatrale che ironizza sul sistema carcerario americano e sul suo trattamento dei nativi americani.

I molteplici impegni famigliari (ho due figli stupendi oltre ad un marito e a un cane) mi hanno sottratto per un lungo periodo ad una delle mie più grandi passioni: la lettura (oltre alla pallacanestro -amore questo condiviso con mio marito, allenatore, e mio figlio, arbitro, che ci ha portato a creare una nostra società dove ricopro il ruolo di presidente). Ora complice un infortunio che mi costringe a diradare i miei impegni fuori casa (non posso guidare) sono “finalmente” riuscita a riprendere un libro in mano! Il fato, insieme ad un post di Kiky (co-fondatrice de “La bottega dei libri” che conosco da oltre 20 anni) pubblicato su Facebook han fatto sì che nascesse la mia collaborazione con “La bottega”, collaborazione che quotidianamente mi riempie di soddisfazione.