Romanzo
Mondadori
18 maggio 2021
Cartaceo
276
L’inatteso ritorno a trent’anni su un luogo originario nella vita, rivelato una prima volta d’inverno, lungo rive d’edera e pervinca, dalla voce pausata del nonno. Le scoperte solitarie del bambino e gli agresti, sfrenati soggiorni del ragazzo, di fronte al continuum di vita e di morte che sempre ci porge la natura. L’andirivieni in bicicletta fra Milano e il Bosco di Riazzolo, quasi alle soglie della valle del Ticino. La prima formazione alla Capanna, le scelte e gli urti della vita, fino all’avvio della Cascina Forestina.
Un saggio narrativo en plein air, che descrive dal vivo i metodi dell’agricoltura biologica e il recupero di un bosco millenario, inserendoli nelle politiche dell’Unione Europea, volte a promuovere la biodiversità e la tutela dell’ambiente.
Il racconto accompagna il lettore di stagione in stagione, aderendo alla terra e alle colture, irrigate grazie a limpide acque sorgive, scaturite dai fontanili che raggiungono il fondo. Orti, prati, arnie, campi a riposo, rotazioni di cereali e leguminose, per un manto ogni anno variopinto e fecondo. Ma anche siepi e filari o sentieri che si perdono spesso nel folto, a piedi nudi, fra i carpini e i noccioli, dietro tracce di ricci e faine, mentre il ghigno di un picchio attraversa le fronde.
Spiccano, fin dal principio, l’accoglienza donata e ricevuta in cammino, le persone incontrate fra le opere e i giorni: il campionario del gran teatro di campagna.
L’autore attinge a fresche fonti letterarie, classiche e moderne, dialogando a tratti con esse riguardo a esperienze comuni e perfino allo stesso paesaggio
“Questo libro racconta un luogo nella vita: scoperto da bambino, raggiunto da ragazzo e ritrovato a trent’anni per riprendere il cammino. Un grande Bosco umido, ricco di rogge e fontanili… prati e… campi irrigui, contornati di siepi e di filari… Un paesaggio millenario, custodito dalle cascine ancora operose sui fondi… A volte, le cascine somigliano ai porti di mare o ai conventi sperduti: soccorrono i naufraghi, accolgono i viandanti. Anch’io ci sto provando”
C’era una volta una bambina, che, nel mezzo della campagna che si estendeva oltre il giardino di casa sua, sognava di avere un giorno una fattoria, di coltivare insalate e pomodori nel suo orticello e bere il latte appena munto dalle mucche. Ora quella bimba è cresciuta, e, come tanti adulti che conosco, ha messo da parte i sogni. Però, ogni tanto, pensa ancora a quella fattoria in mezzo al verde, e, se chiude gli occhi, riesce pure a vederla e a percepirne gli odori.
Quanto sarebbe stata felice la bimba di vivere in un posto come la “Cascina Forestina”, che oggi, grazie alla lungimiranza del suo proprietario, è diventata una delle dieci eccellenze rurali del territorio nazionale.
Chi è l’uomo che è riuscito a compiere questo piccolo miracolo? Stiamo parlando di Niccolò Reverdini, l’autore di “Anche l’usignolo“, un libro da leggere senza indugi.
C’è voluto tanto tempo e tanta fatica per riportare in auge quella struttura adagiata sulle colline milanesi; solo una ventina di anni prima non era altro che uno dei vecchi ruderi lasciati in eredità da nonno Franco ai suoi figli. Ma Niccolò non si è perso d’animo: con tanta voglia di fare e un amore ammirevole per i luoghi della sua infanzia, è riuscito a creare una realtà che, oggi, è un fiore all’occhiello della zona.
Leggere “Anche l’usignolo”, è stato come viaggiare con lui nel tempo. È un libro meraviglioso, che io vorrei consigliare non solo a chi è interessato al mondo del biologico o al preservare fauna e flora dei luoghi del cuore; consiglierei questo testo anche agli amanti della poesia, a chi vuole con Petrarca e Virgilio camminare per i boschi e a chi semplicemente adora la bella scrittura. Ben curato e prodigo di aggettivi e di nomi ricercati e armoniosi, questo tomo racchiude in sé il fascino e l’eleganza delle epoche passate.
Per spiegarmi meglio, voglio darvi un piccolo assaggio del “modo di poetare” dell’autore.
“In quarta ginnasio… raggiungevamo spesso, con gli amici, la Capanna. Fiorivano i sambuchi, le robinie, spargendo di profumi la campagna. Erano fragranze fini, fresche, impudiche e recavano ebbrezza ai passi lenti fra il verde vivo dei prati…Quell’aria gravida, feconda, si mutava per molti in minaccia, suscitava dinieghi, anatemi. Ma c’era chi sapeva abbandonarsi, chi si arrendeva all’arrembaggio. E il ribrezzo diventava una danza di naiadi e napee: un lungo gioco di insetti immaginari, di magliette sventolate fino al seno, di schizzi gelidi tratti fuori dai fossi”.
La nascita dell’impresa agricola di Niccolò Reverdini ha il sapore di una fiaba. Grazie alle numerose foto che completano e arricchiscono queste pagine, io me lo immagino il piccolo Niccolò, in sella alla sua bici, scappare dalla rumorosa Milano per andare a trovare i suoi amici alberi. E vedo nonno Franco che lo prende per mano, insegnandogli i nomi di tutte le piante e gli animali che popolavano quel bosco. E quando calava la sera, ad attenderlo, c’era la Carla; il calore del suo sorriso allietava le giornate del bimbo che, stanco, sudato ma felice, rientrava alla cascina dopo aver fatto scorpacciata di sole e di verde.
Immagino ancora la paura e l’entusiasmo che accompagnano la decisone del Niccolò, ormai laureato, che, guardando quei campi incolti e respirando a pieni polmoni l’aria della zona, decide quale sarà il suo futuro: quella terra avuta in eredità dal nonno diventerà la sua casa.
“Toccava a me in quella corte, provare a riportarvi la vita : riempiendola di voci nuove, di verdi ceste, di profumati ortaggi. Avevo scelto di coltivare il fondo con metodo biologico, aderendo ai più freschi indirizzi della Politica agricola comune (PAC) , volti a promuovere la biodiversità e la tutela del paesaggio tramite pratiche di coltivazione a basso impatto ambientale”.
Le sue mani, aiutate da altre mani amiche, callose, forti e generose, riempiranno quei suoli di colture. Nei campi di grano e di ortaggi, coltivati senza fertilizzanti, pesticidi o concimi chimici, nasceranno piantine sane e rigogliose, i cui frutti andranno a rallegrare le tavole degli abitanti della zona, felici di ritrovare i gusti di una volta.
È talmente facile entrare in queste pagine che viene spontaneo affezionarsi a chi le popola. L’eco della nostalgia e del dolore del narratore per la perdita di amici di lunga data, a partire dal cagnolino Venerdì ucciso crudelmente da fucili ostili, a quella dei compagni d’avventura come il Gino, risuona nel lettore, arrivando a commuoverlo.
E come non ammirare lo spirito di accoglienza che Reverdini ha rivolto a chi casa sua, purtroppo, l’ha dovuta lasciare. Integrazione, che parola meravigliosa, ma di difficile applicazione. Non per il nostro autore, però, che ha dato lavoro a molti migranti arrivati in Italia con la speranza di costruirsi un futuro.
Alì, con il suo iniziale silenzio pieno di sofferenza, ma con gli occhi pieni di emozioni, è stato il primo “ospite” fisso della struttura. Ora lavora per Niccolò, passeggiano insieme in quel bosco dove il ragazzo, inizialmente, entrava con sospetto, immaginando belve che qui non esistono.
Spero un giorno di poter calpestare anch’io quel suolo; sono sicura che quella bimba nascosta dentro me si riempierebbe gli occhi di scille e campanellini, percorrendo silenziosi sentieri senza tempo, protetti da sambuchi e robinie.
Mi sono resa conto di essermi lasciata trascinare dalla penna. Fatemi dire solo un’ultima cosa prima di concludere. Voglio ringraziare l’autore, per questo libro e per avermi fatto notare una cosa importante. Quando si parla di Lombardia, inevitabilmente si pensa a grandi città, fabbriche, inquinamento e vita caotica; Niccolò Reverdini mi ha fatto capire che ovunque si può trovare pace e armonia, se veramente la si cerca, perché sono cose che stanno dentro l’anima di ognuno di noi, dobbiamo solo imparare a guardarci nel profondo.
Voi, cari amici della Bottega, la pensate come me?
Sahira
Sono emozione e di essa mi nutro
trovando scialbo ciò che non colora,
Sono emozione che con la penna divora
il bianco candido di un libro vissuto…