Narrativa
Felix Krull Editore
5 novembre 2019
Ebook e cartaceo
572
“Amor che torni ...” è la continuazione di “Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé ...” e delle peripezie dei due amanti protagonisti: del loro errare e soffrire, cercarsi e sfuggirsi, ferirsi e amarsi, mille volte perdersi e ritrovarsi infine una sera di aprile, nel modo più inaspettato, prodigioso e fulmineo. Ha lo stesso respiro epico e insieme intimo, la stessa struggente dolcezza, la stessa potenza di sentimenti, le stesse grandi ali dispiegate nel sogno. Perché i due libri sono in verità un unico romanzo, una summa di tutte le storie d’amore mai scritte, di tutti i tormenti e le gioie d’amore mai vissuti, di tutta la psicologia amorosa descritta e sintomatologia amorosa rappresentata dall’inizio della storia umana, ma anche, e più d’ogni altra cosa, un paradigma dell’impossibile che si rivela possibile.
Gli uomini! Gli uomini rovinavano tutto! E Kasim non aveva fatto eccezione. Con la loro proterva arroganza, col loro selvaggio dispotismo, estesosi come un morbo, come una malattia attraverso i secoli, ereditato come una tabe da ogni nuova generazione, si erano accaparrati anche l’amore, un campo che sfuggiva totalmente alla loro percezione; loro, così inetti, così insensibili, così ignoranti di naturalezza e sentimento, avevano stabilito una volta per tutte, con la loro maldestra rozzezza e meccanicità, le leggi dell’amore;
Amor che torni… è il sequel di Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé…
La storia d’amore tra l’autrice e il giovane bosniaco Kasim, che sembrava essersi completamente interrotta sul finire del primo romanzo, in realtà è lungi dal concludersi. Un nuovo incontro casuale tra i due li fa riavvicinare, ma questo nuovo percorso insieme sarà ben diverso dal precedente. Adesso che entrambi hanno avuto modo di conoscere appieno le rispettive vite, i rispettivi problemi, pregi e difetti, proveranno a ricostruire il loro amore, nella speranza di un futuro più roseo insieme. Sarà il destino, alla fine, a decidere per loro.
Esattamente come il precedente romanzo, anche questo è scritto in prima persona e mantiene uno stile aulico e articolato. La mole del libro è consistente, si tratta anche in questo caso di circa cinquecento pagine, ma ciononostante la lettura rimane sempre scorrevole.
Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé… non mi aveva entusiasmato affatto, ma ho voluto dare una chance ad Amor che torni…, consapevole tuttavia che una seconda delusione sarebbe stata dietro l’angolo. E in effetti così è stato: mi sono ritrovata davanti gli stessi difetti del primo romanzo. Kasim non è cambiato per nulla, è sempre lo stesso eterno indeciso trasportato dalla sua pulsione sessuale. Non vuole abbandonare definitivamente sua moglie ma continua a cercare Lodovica. Quest’ultima, seppur consapevole dell’inconsistenza della relazione con Kasim, persevera nell’elemosinare amore da lui, nonostante abbia accanto un marito che la ama.
Più che il racconto dell’evoluzione di un amore mi son ritrovata davanti ancora una volta una sorta di diario che, se non fosse per lo stile ricercato, parrebbe scritto da una giovane alle prese con la sua prima infatuazione. Posso comprendere il coinvolgimento emotivo dell’autrice in questa storia d’amore extraconiugale, ma valeva la pena di scrivere due romanzi così lunghi e ridondanti al riguardo?
Leggere questi due romanzi di Lodovica San Guedoro è stato come immergersi appieno nella bellezza della lingua italiana, ma sono state due letture poco appassionanti, a volte persino svilenti. Ciò che ho apprezzato, tuttavia, è stata la sua sincerità. Non conosco nessuno che abbia messo a nudo i propri sentimenti come ha fatto lei, e questo le va riconosciuto.
Lodovica San Guedoro
Tratto da un’intervista per La voce dell’Jonio:
“Sono nata a Napoli da genitori siciliani. A Napoli frequentai la Teresa Ravaschieri, l’Istituto Francese e la Fiorelli. A Roma, il Liceo Classico Manara, partecipando come simpatizzante dell’estrema sinistra ai moti studenteschi. Femminista della prima ora, feci parte del collettivo ultra di via Pompeo Magno. I miei studi di Filosofia alla Sapienza furono troncati dall’emergere di una forte vocazione letteraria. A meno di vent’anni volai a Parigi, dopo aver fatto il necessario gruzzolo al Liceo Linguistico di via Boncompagni con delle supplenze in Filosofia e Inglese. Poi sorse l’amore per la Letteratura tedesca… e ci fu l’incontro con Lerchenwald. Giovanissimi, lasciando tutti stupiti e interdetti, ci sposammo. Ben presto abbandonammo Roma e ci trasferimmo in campagna, tra Siena e Firenze. Sette anni bucolici, sette anni di creazione e di artigianati vari, tra cui l’apicoltura, di veglie con i vecchi, di giochi coi bimbi dei contadini… e di inutili tentativi con le case editrici. Dopo aver infine pubblicato in proprio un giallo letterario dal titolo “Incitazione a delinquere”, la lentezza con cui gocciolavano le recensioni mi esasperò al punto da spingermi all’esilio. Appena toccato il suolo tedesco, tre case editrici (tedesche naturalmente) chiesero l’opzione per il sunnominato romanzo. Mi decisi per la più prestigiosa, la Luchterhand, che era fornita di un netto profilo letterario. Ma, a traduzione fatta, questa fu improvvisamente venduta, e dovetti correre ai ripari offrendo il libro alla Nymphenburger, di taglio più commerciale. All’edizione hard cover seguì la pubblicazione a puntate sulla Westfaelische Rundschau e l’edizione tascabile nella Ullstein. Seguì, sempre nella Nymphenburger, una raccolta di racconti, l’edizione tascabile degli stessi, e seguitò il silenzio delle case editrici italiane…
La congiuntura mondiale era già allora fortemente antiletteraria, ma la mia vena creativa era troppo grande. Scrissi un dramma radiofonico, replicato più volte dalla Wdr di Colonia. A quarantott’anni tentai di mutare pelle e, trapiantatami a Vienna, mi diedi al teatro: commedie, un dramma fantasmagorico dedicato al Burgtheater, collaborazioni con riviste italiane, discese ricorrenti in Italia: ma l’unico risultato tangibile delle mie fatiche rimane una splendida lettura scenica de “La vita è un sogno” al Teatro Argot di Roma.
Ristabilitami, dopo tre anni di Vienna, a Monaco, pensando seriamente alla posterità, la prima cosa che feci fu di mettere al sicuro le mie opere, edite e no, nella Sezione Manoscritti e Rari della BNCF (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze): i tempi erano davvero bui e magari un incendio avrebbe potuto annientare tutto.
Poi un bel giorno incontrai un garbato e colto signore tedesco che mi confidò di avere da tempo giocato col pensiero di fondare una piccola casa editrice controcorrente: nacque così Felix Krull Editore, presso il quale sono apparsi via via tutti i miei successivi libri e anche alcuni del tempo anteriore”.
“Pastor che a notte ombrosa nel bosco si perdé…” e “Amor che torni…” costituiscono un corpus unico, e un’unica storia. Un’epopea amorosa, la si potrebbe definire, e per la mole del racconto, e per l’avvincente turbinio di emozioni che travolge il lettore e lo tiene incollato alle pagine. Al termine della lettura, si ha la struggente sensazione di doversi congedare non soltanto da una narratrice divenuta oramai familiare e persino intima; ma anche dal mondo fiabesco da lei creato (o ricostruito) con la sua scrittura sempre elegante e mai volgare.
Chiara Genovese
Io d’altra parte mi domando: valeva la pena di scrivere una recensione così? E chi gliel’ha fatto fare di leggere mille pagine di cui capiva così poco?