Urban fantasy
Brè Edizioni
settembre 2022
cartaceo, ebook
247
Edoardo Ferri è un “misuratore di alberi”: analizza la vegetazione. E proprio mentre svolge questa attività, accompagnato dalla sua aiutante Valeria, scopre che all’interno della corteccia di alcuni esemplari sono presenti simboli misteriosi. Inoltre, in quel bosco, accadono fenomeni strani: voci sospette, ombre inquietanti e piccoli cadaveri dentro alle cortecce.
Ben presto i due ricercatori scoprono che quelle terre sembrano essere schiave di una maledizione di cui i paesani non amano parlare, e soprattutto con i forestieri.
Catturati da un inizio pacato ma coinvolgente, ci immergiamo in uno scenario gotico/thriller di cui questo racconto, “Alberi”, scritto a quattro mani, è avvolto. Un mistero da esplorare come misterioso può essere un bosco.
Edoardo Ferri, nei boschi, ci lavora. È un custode forestale e ascolta gli alberi, comunicando con loro attraverso campi elettromagnetici. Si può dire che è il dottore degli alberi e, difatti, quel giorno, il suo computer portatile segnala la sofferenza di uno di loro. Al fine di evitare l’abbattimento di alcuni alberi, Edoardo preferiva intervenire in tempo con l’aiuto della sua assistente Valeria; finché un giorno, gli abitanti del luogo li informano della difficoltà, ma anche della grande pericolosità, di avanzare tra i sentieri del bosco. Nel dirlo, sembrano nascondere uno scomodo mistero, formato da lontane leggende di calamità e dannazioni familiari. Ma i due esploratori non sembrano badare a questi intoppi e si dirigono senza esitazione verso la boscaglia labirintica. Ben presto scopriranno dei segni strani scolpiti su alcune cortecce ed eventi preoccupanti inizieranno a manifestarsi.
Per nulla intimoriti, Edoardo e Valeria sono decisi ad andare avanti nella loro esplorazione, aiutati da alcuni abitanti del luogo. Finché un giorno Edoardo, grazie a dei sensori posti su un tronco, vede evidenziarsi sul monitor una raccapricciante figura umana sotto la corteccia. Da quel momento, vivrà come intrappolato in una dimensione popolata da creature malvagie soprannaturali che inizieranno a perseguitarlo. A questo punto, il racconto si tinge di giallo, avvolto da un nefasto incantesimo.
“Sotto quella terra c’è il buio più profondo. L’oscurità. Ma quella vera, quella che cancella la luce e spegne il pensiero. È capace soltanto di divorare ciò che incontra sulla sua strada, nient’altro. Da dove viene mi chiederete. Non so, nessuno lo sa. So soltanto che è antica, antichissima” – Alberi
Con uno stile pulito, che offre al lettore la scorrevolezza necessaria per poter assaporarne la lettura, Fernando Lizzani e Mariano Rampini ci conducono in una narrazione scritta a quattro mani che si presenta fluida grazie ad un testo molto descrittivo e accurato, ambientata in un paesino nascosto nel bosco. Con estrema abilità, gli autori ci proiettano in uno scenario fantastico e suggestivo fatto di antiche leggende culturali.
La presentazione paesaggistica è così perfetta da essere percepibile ai nostri sensi. Suoni, odori, colori del bosco che si rincorrono attraverso pagine avvincenti tra stradine sconnesse e tortuose. Vivreste in un bosco?
Il ritmo è appassionante, tanto da indurre una viva curiosità nel procedere insieme al protagonista ed essere proiettati in mondi sconosciuti.
L’intreccio degli eventi evidenzia un punto di forza nella trama, creando il giusto coinvolgimento e trepidazione. I capitoli si susseguono vivacemente. La sequenza degli eventi, che delineano le scene particolarmente animate, è sempre magistralmente costruita, adottando un ritmo dinamico e una descrizione minuziosa delle azioni, mimiche facciali e gestuali dei personaggi tanto da sembrare la scena di un film.
“Ma no, non poteva essere, la sua mente aveva ripreso a funzionare male. Eppure… qualche altra scansione ed eccolo lì, davanti ai suoi occhi sbarrati: dai rilievi, una figura umana, rannicchiata in una posa quasi fetale, era incastonata all’interno dell’albero. Edoardo schizzò all’indietro fino a cadere. Si ritrovò con la schiena distesa sul manto di terra e foglie. Foglie marce. Di nuovo, le narici si riempirono di un sentore di putrido. Sbatté gli occhi più volte come a sincerarsi di essere ancora nel pieno di sé, ma i pochi raggi del sole che filtravano dall’alto sembravano convergere sui suoi occhi per accecarlo. Strinse le palpebre, come per nascondersi da quel brutto sogno. Quando le riaprì, era calata quasi del tutto l’oscurità intorno a lui. Intravedeva solo le forme allungate dei tronchi che si chiudevano verso l’alto, come la volta di una cripta. Un movimento gli fece spostare di scatto lo sguardo. Nella cortina di tenebre intravide una forma indistinta”.
I personaggi ben si adattano all’ambiente circostante, illustrando perfettamente gli atteggiamenti e i pensieri delle persone solite vivere da sempre in piccoli paesini di montagna, pervasi da mille credenze, e dando vita a dialoghi che adottano un linguaggio attuale sviluppando, grazie all’ottima destrezza degli autori, un’efficace costruzione di ogni singolo soggetto con la propria personalità/emotività, utile all’evoluzione del racconto.
Uno dei messaggi che questo racconto ci comunica è che a volte ciò che può apparire una scelta ostile, nasconde invece un nobile motivo. Senza, tuttavia, trascurare l’importanza della natura con la quale siamo un tutt’uno. Una protagonista importante nella narrazione, da contemplare attentamente per capire meglio tutto quello che ci circonda perché da sempre ne è parte sacra. L’albero vive in simbiosi con l’essere umano; le sue radici sono il nostro inconscio e si nutrono dalla madre terra, il tronco la nostra coscienza, le fronde al nostro spirito. Per questa ragione le loro foglie sono delineate come il palmo delle nostre mani.
Gli alberi sono i testimoni del nostro tempo e in questo racconto esprimono sia il loro simbolismo spirituale, a noi collegato attraverso legami familiari (albero della vita/albero genealogico), sia lo spaventevole mistero dinastico da risolvere.
Un eccellente racconto nel quale tuffarsi vivendolo insieme ai protagonisti. Uno svolgimento brillante, maestrevole.
Beatrice Castelli
Béatrice Castelli vive a Torino, cresciuta a Parigi fino all’età di 17 anni, coltiva sin dall’età di otto la passione per la lettura e quella della scrittura.
A dieci anni leggeva Crime et Châtiment di Dostoïevski, preso per caso dalla fornitissima biblioteca di suo padre, senza sapere ancora nulla di questo scrittore.
A 17 anni, con tutta la famiglia si stabilisce in Italia a Torino, dove dovette imparare l’italiano. Lo studio per la letteratura italiana l’appassiona in fretta, come da piccola per quella francese, iniziai così a scrivere pensieri in entrambe le lingue.
Ha frequento l’interpretariato di Torino con il desiderio di tradurre libri per la sua casa editrice preferita: l’Adelphi. Purtroppo incontra sul suo cammino molte difficoltà per arrivarci e così si ritrova a tradurre testi tecnici per nulla entusiasmanti…
L’amore per la scrittura l’accompagna da sempre. Non avendo mai nessuno a chi confidare i suoi pensieri, scrive per se stessa. Ha pubblicato, per due case editrici, poesie d’amore in due diverse raccolte, una per Segnidartos l’altra per Rupe Mutevole Ed. e una favola per bambini sempre per Rupe Mutevole. In alcuni siti letterari ha pubblicato inoltre dei racconti brevi.
In questo momento ha un romanzo già ultimato nel cassetto.