Giovedì 13 ottobre ho partecipato alla serata di presentazione del libro “Turno di notte”, edito Mondadori e scritto da Giacomo Poretti, conosciuto per essere “il 33,33 per cento del popolare trio Aldo, Giovanni e Giacomo”. Serata organizzata durante “Il festival della dignità umana” presentata da Armando Besio.
Giacomo Poretti, prima di diventare comico, attore, sceneggiatore, nonché direttore del teatro Oscar di Milano, ha lavorato, per undici anni, dal 1974, prima come ausiliario e poi come infermiere presso l’ospedale di Legnano, in provincia di Varese.
In questo libro, tramite il suo alter ego, Sandrino, detto Saetta, perché “nessun infermiere è veloce come lui ad accorrere al letto dei ricoverati”, ci racconta la propria esperienza.
Il libro è una narrazione tragicomica, dopotutto l’autore è famoso per questo, ma a tratti commovente.
Attraverso momenti esilaranti, alternati a racconti più seri e profondi, Poretti ha saputo narrare di argomenti non sempre semplici. I protagonisti sono la sofferenza, la malattia e la morte, con “leggerezza” senza mai angustiare la platea.
Il libro è diviso in cinque capitoli, ognuno con un nome in latino che identifica i cinque sintomi di una malattia.
In quasi ogni capitolo, vi sono parti in corsivo in cui Sandrino parla con una “persona”.
Nel proseguimento della lettura, si comprenderà che questo misterioso interlocutore non è altro che Il Padre Eterno.
Saetta si rivolge a lui come farebbe con un amico, con affetto, ponendogli delle domande: chiede perché i bambini debbano soffrire, chiede perché invecchiamo ecc.
Il titolo, come viene spiegato nelle prime pagine del libro, è dato dal fatto che lavorava su più turni. Quello di notte era il peggiore, in quanto molto volte si trovava da solo in corsia e rimanere sveglio non era per nulla facile.
Nelle pagine del libro si trattano diversi argomenti, come la difficoltà di comunicazione tra infermieri e medici, in quanto questi ultimi parlano in modo troppo forbito e, soprattutto, scrivono in modo incomprensibile; descrive l’ospedale quasi fosse una scuola di sopravvivenza, dove a comandare su tutto c’erano le suore, figure ormai scomparse all’interno dei nosocomi.
Molte pagine, forse le più sentite, sono dedicate a queste suore che hanno saputo prenderlo per mano. Dopotutto, aveva solo diciotto anni. Loro lo hanno accompagnato in uno dei mestieri più difficili al mondo, dove si è in contatto giornaliero con la sofferenza, la tristezza e spesso, purtroppo, la morte.
Un libro che fa ridere ma nel contempo fa riflettere su “quella cosa esaltante, spaventosa e inesplicabile che chiamiamo vita”.
I molteplici impegni famigliari (ho due figli stupendi oltre ad un marito e a un cane) mi hanno sottratto per un lungo periodo ad una delle mie più grandi passioni: la lettura (oltre alla pallacanestro -amore questo condiviso con mio marito, allenatore, e mio figlio, arbitro, che ci ha portato a creare una nostra società dove ricopro il ruolo di presidente). Ora complice un infortunio che mi costringe a diradare i miei impegni fuori casa (non posso guidare) sono “finalmente” riuscita a riprendere un libro in mano! Il fato, insieme ad un post di Kiky (co-fondatrice de “La bottega dei libri” che conosco da oltre 20 anni) pubblicato su Facebook han fatto sì che nascesse la mia collaborazione con “La bottega”, collaborazione che quotidianamente mi riempie di soddisfazione.