horror
Albero del Mistero
13 agosto 2022
cartaceo, ebook
169
Anno 1885.
Andrea Nascimbeni è un antropologo veronese che si reca sulla cosiddetta “isola dei morti”, al largo della costa ligure di Zoagli, dopo averne viste rappresentate le “esotiche” strutture funerarie nei dipinti dell’amico Arnold Böcklin. L’intento di innovare i suoi studi, lo immerge nella soffocante atmosfera della cittadina senza nome, dove l’architettura destinata ai trapassati riceve maggiori attenzioni di quella dei viventi.
Il delirio lo avvolge ora dopo ora, forse provocato dai numerosi sinistri misteri in cui si imbatte. Nemmeno la febbre può, però, impedirgli di rintracciare i sepolcri aperti e nascosti alla vista di visitatori fortuiti. Esacerbato dai segreti dell’isola e dall’omertà dei suoi abitanti, Nascimbeni trova un momentaneo conforto solo in una donna, della quale si invaghisce. Nulla è però come sembra e l’incontro con un uomo avvolto dal mistero lo mette sul chi va là, quando lo invita ad abbandonare l’isola.
L’antropologo, tuttavia, s’ingegna per rimanervi nascosto fino alla vicina festa del “32” ottobre, come viene scherzosamente definita dalla locandiera che lo ospita, perché sa che si tratta del momento in cui potrà capire quali strani riti funerari si celebrano in quel luogo.
Il romanzo si ispira alle musiche del poema sinfonico omonimo di Sergej Vasil’evič Rachmaninov e ai dipinti di Arnold Böcklin. Se ascolterete la musica dopo aver letto il romanzo, vedrete spalancarsi di fronte ai vostri occhi, come una visione, l’intera vicenda narrata in queste pagine.
Ho iniziato a leggere “L’isola dei morti” di Fabrizio Valenza, edito Albero del Mistero, quasi in sordina.
Il testo a mo’ di lettera, di racconto, la scrittura in un tempo passato e l’ambientazione di fine Ottocento mi hanno fatto partire a rallentatore. Credevo di dover leggere lentamente ogni frase per dover capire bene le vicende, per non perdermi nulla. Ma mi sbagliavo davvero tanto. Già prima della metà, ero avida di capire dove mi avrebbe portato questo testo e a quante domande avrebbe dovuto rispondere.
“Le strutture funerarie apparivano antiche, perfino arcaiche, del tutto somiglianti a quelle che avevo ispezionato in certune tombe etrusche…
L’immagine che non riuscivo a togliermi dalla testa era quella dei sepolcri aperti, dall’ingresso fruibile a chiunque”
Fabrizio Valenza, nella sua tecnica colta, nella sua infinita attenzione ai particolari, dagli ambienti alla ricerca delle parole, ha creato un romanzo che non vuole solo narrare, ma farci immergere in un’antropologica ricerca di riti arcaici e popolazioni antiche. Oltre che in un lavoro immenso ed interiore della personalità del suo protagonista e, di conseguenza, anche della nostra.
Il ragazzo che racconta le sue vicissitudini, l’antropologo Andrea Nascimbeni, dopo essere stato attratto ed incuriosito dalle strutture funerarie rappresentate nei dipinti di Arnold Böklin, ha la grande idea di andarle a visitare di persona. Si sente così attirato da quel richiamo antico che, una volta scoperto che queste si trovano su un’isola al largo della costa ligure, decide di imbarcarsi.
La sua voglia di conoscenza e il suo spirito di sapere lo portano su questo scoglio chiamato “l’Isola dei morti“, che sarà un luogo davvero al di fuori di quello che ha conosciuto o studiato.
Una lunga lettere indirizzata al suo professore e mentore ci avvolgerà in un’atmosfera cupa e soffocante, con persone e personalità oscure, riti e rituali fortemente lontani dalla civiltà italiana raggiunta fino a quel momento. Molto più simili ad usanze funerarie e spaventose di popolazioni totalmente fuori dal tempo e dalla cultura.
Una storia che sa di passato, di visioni della vita che abbiamo già trapassato e che vogliamo dimenticare.
Una storia che va avanti da sola e che coinvolgerà anche i protagonisti secondari. Quasi come se la loro presenza, in un solo capitolo, sia sufficiente per sfumare meglio quella parte penetrante che attira, ma allo stesso tempo, spaventa, il lettore.
Una popolazione d’altri tempi?
Un racconto antropologico di popoli lontani, riportato in un forte contrasto con il nostro modo di vivere? Definito moderno?
Forse. O forse una visuale su un qualcosa che neanche uno scienziato può spiegare; che un antropologo può capire.
Ansia, tensione, paura, addolcite per un po’ da un amore che sembra quasi assurdo.
“Ciò che più mi faceva impressione, non era la mancanza di consueti segnali di una civiltà religiosa conosciuta, quanto l’idea che ogni atto vitale di quella gente, fosse affidato a rituali cerimoniali di sinistra devozione. L’intera popolazione di un’isola, una roccia in mezzo al mare sulla quale io stesso mi sentivo disperso, era dedita a pratiche magiche che la nostra civiltà aveva da tempo giudicato ed abbandonato”
“L’isola dei morti” non è un libro per tutti. Si deve amare assolutamente il genere e la scrittura ricercata. Ma, di certo, è un libro che, una volta letto, non può assolutamente passare nel dimenticatoio.
Io ho davvero tante domande per questo autore, che prima di imbattermi in questo testo non conoscevo, e non vedo l’ora di potergliele fare mentre cerco di capire quanto ci sia di lui nel protagonista. E quanto voglia smuovervi dentro con questa storia piena di tensione.
Appassionata di lettura e scrittura fin da bambina, ho scritto e pubblicato quattro libri. Moglie e mamma, passo le mie giornate ad inventare storie d’amore per emozionare chi le leggerà.