Ed eccoci di nuovo qui, come ogni sabato, per intervistare gli autori che ci hanno tenuto compagnia con i lori libri!!!
E oggi abbiamo il piacere di accogliere qui, nel nostro caldo e comodo salottino, l’autrice del libro La democrazia della felicità, Stefania Coco Scalise. Intanto vogliamo darti il nostro più caloroso benvenuta…
Ma partiamo subito con il parlare del tuo libro: cosa, o chi, ti ha ispirato per la stesura del romanzo?
Scrivere è sempre stata una mia passione. Ed un modo per dare voce ad uno stato d’animo. Osservare la realtà, i cambiamenti, spesso brutti, della società, e provare a raccontarli, sono stati il motore che mi ha spinto a scrivere questo libro e trovare poi il coraggio di spedirlo alle case editrici. Perché ci vuole un po’ di coraggio a far leggere qualcosa di tuo, di intimo, agli altri. Ti espone e ti rende vulnerabile. Però sentivo che dovevo farlo, dovevo raccontare con il filtro dell’ironia questi tempi amari, dove la felicità è una condanna ed un inganno a cui tutti sembriamo essere rassegnati. Fingendo di vivere vite che non sono reali, mediate ed abbellite dai social network, in cui diamo una rappresentazione di noi stessi che non contempla la possibilità di essere tristi. O di fallire.
Mentre scrivevi sentivi di starti affezionando a un personaggio in particolare? Perché?
Non c’è stato un personaggio a cui mi sono legata particolarmente. Questo perché nel mio libro mi sono voluta astenere dal dare giudizi morali. Dinanzi ad una società sempre pronta con troppa facilità a sputare sentenze sulla vita di sconosciuti, io mi sono tirata indietro. Quindi ognuno di loro ha lati di luce, e lati d’ombra. Forse il personaggio della Professoressa è quello che sento più vicino ma solo perché lei rappresenta un baluardo della cultura classica, che rimane basilare per costruire e nutrire una coscienza collettiva. Quella che sembra abbiamo tutti un po’ smarrito.
Quando hai messo la “parola fine” al testo, qual è stata la prima cosa a cui hai pensato?
Ho pensato che quello che avevo scritto rispecchiava davvero quello che volevo esprimere. Non è sempre facile ottenerlo. Le parole non sono semplici serve della nostra volontà. Hanno una vita propria e spesso non riesci a far esprimere loro quello che davvero vorresti comunicare. In questo caso, credo di esserci riuscita. Ed è stata una grande conquista.
Piccola curiosità per i nostri lettori, e in realtà anche mia: per scrivere il romanzo hai seguito un particolare schema o le parole son venute da sole?
Come dicevo, io credo che le parole abbiamo vita propria. Sono loro a dettare i ritmi, e noi molto spesso meri esecutori o tramite la penna o tramite la voce. Quindi non c’è dubbio che siano venute da sole. Non ho seguito alcuno schema, anche perché sono per natura troppo impaziente per avere la capacità di fissare delle regole ed essere in grado di seguirle.
Se ora fossi costretta a cambiare qualcosa al romanzo, cosa cambieresti?
Forse darei più definizione al personaggio di Nina che è poi il simbolo del cinismo di questi tempi, del desiderio di carriera malato e dell’assenza di empatia, vero male di questi anni. Però molti hanno visto in lei una vittima del sistema, e non una donna capace di servirsene per i suoi scopi. Le ho evidentemente dato del sentimento, quando invece non volevo che ne avesse.
Il messaggio del libro sembra ben chiaro: la felicità come armonia nello stato. Ma volevi comunicare anche qualcos’altro?
Sì. Volevo mettere in luce come la felicità promessa, sbandierata non è solo un’illusione. È un pericolo. La felicità è uno dei concetti più relativi e relativizzabili che esistano. E spesso per ottenere la nostra, dobbiamo sacrificare quella di qualcun altro. Per questo il mio romanzo può vagamente definirsi distopico. Una società che promette a tutti la felicità, non produce armonia, ma inevitabilmente distopia.
Invece, di solito che tipo letture sei solita intrattenere?
Amo leggere di tutto. Ma prediligo la letteratura contemporanea, e, quando voglio svagarmi, i gialli. Quando ero ragazzina ho cercato di costruire le basi, leggendo i grandi classici. Li ho sempre suddivisi per paese: i russi, i francesi, gli americani, e così via. Come fosse un mappamondo. Oggi do maggiore spazio ai contemporanei. E all’editoria indipendente, che, quando di qualità, resta la più capace di scovare ed investire sul talento individuale.
Ed eccoci alla fine, ed è arrivato il momento di salutarci. Vuoi fare un saluto ai nostri lettori, magari come farebbe uno dei tuoi personaggi?
Aveva sempre amato i saluti. Sapeva che a molti mettevano tristezza, e che tanti li avrebbero evitati volentieri, vinti dall’emotività. Ma a lei erano sempre piaciuti. Perché salutare una persona contiene in sé la promessa, anche flebile, che potresti non rivederla più. E Nina spesso ci contava, su quella promessa. Era troppo vigliacca per ammetterlo apertamente, ma erano rare le volte in cui incontrava qualcuno che ritenesse tanto interessante da volerlo rivedere una seconda volta. Quindi stringeva sempre le mani con un certo vigore. E guardava tutti negli occhi, con intensità. La stessa intensità con cui sperava che quell’addio fosse per sempre.
Bene e con questo anche noi ti salutiamo e speriamo di poter leggere un altro dei tuoi bellissimi romanzi.