Buongiorno amici di La Bottega dei Libri. Siamo quasi giunti al termine di questa giornata all’insegna dei libri. Ma prima di darci la buonanotte, vogliamo farvi conoscere l’ospite di oggi del nostro Salotto-Interviste
Diamo il benvenuto a Luciana Cerreta, autrice di “Bellanima“, un romanzo introspettivo che abbiamo recensito per voi pochissimo tempo fa… diamo subito sfogo a tutte le nostre curiosità!
Quali sono le tre parole che useresti per presentare il tuo libro ai nostri lettori?
Vero, profondo, doloroso.
Quali sono le tre emozioni che, sopra tutte, toccano la profondità dell’anima dei protagonisti?
Una di queste è sicuramente la felicità, anche se non si direbbe ad una lettura superficiale ma tra le pagine, in alcuni momenti, vi è una felicità assoluta, svincolata dai se e dai ma…e anche dal dopo. Di seguito il timore e la tristezza sicuramente.
Bellanima è una storia autobiografica? Se si, cosa ti ha spinto a raccontarla?
Sì, è assolutamente una storia autobiografica. La spinta nasce dalla scrittura stessa in quanto la scrittura è terapeutica; perché era un modo per guardare dalla giusta distanza quello che stava accadendo alla mia vita. La genesi del libro è stata doppia in realtà perché dopo il momento terapeutico la prima bozza di Bellanima nacque per un regalo speciale… ma questo lo lascio nel cassetto del “ personalissimo”.
Cosa pensi del dolore? Nella recensione che abbiamo fatto del tuo romanzo emerge l’idea di un dolore forte, chissà quanto paragonabile ad altri dolori che non trovano fondamento nell’amore. Tu cosa ne pensi?
Del dolore so una cosa sola e cioè che da qualsiasi cosa esso nasca bisogna attraversarlo fino in fondo. Bisogna lasciare che attraversi e riempia corpo e anima solo così, una volta esaurito il percorso potremmo liberarcene. Se cercassimo di nasconderlo o peggio ancora ignorarlo e vincerlo, prima o poi, come uno spettro tornerebbe a farsi sentire.
Non credo che esistano dolori paragonabili, ognuno ha una sua potenza che non necessariamente deve essere distruttiva. Il dolore è dolore. Non può esistere una scala né una gerarchia perché nessuno può stabilire le priorità del dolore. Ognuno di noi lo vive in maniera diversa, ha predisposizioni ed elaborazioni diverse per cui nessuno può definire un dolore più vero e più importante rispetto ad un altro, che si tratti di amore o di morte, di azioni subite, inevitabili o di qualsiasi altra occasione di dolore.
Inizialmente, la protagonista del romanzo appare essere una. Solo verso la fine, subentra colui che si scopre essere un secondo protagonista. Come lo descriveresti al lettore?
Il non sapere iniziale ha spostato la focalizzazione sulla vita della protagonista, sulla sua sofferenza, sulla sua rabbia; come ben dici pare quasi che il “lui” sia assente, disinteressato e distante. Con la scoperta del reale motivo di questa assenza discontinua e ruvida è ovvio che la fisicità e l’emotività anche di lui acquistano una luce nuova e del tutto inaspettata. Si scopre che in questa storia a soffrire non è una persona sola ma due, ognuna logorata a proprio modo, ognuna incastrata ed intrappolata in una situazione che esula dalle loro volontà. Entrambi subiscono, lui in maniera diretta lei indiretta, la volontà di terzi. E i terzi non sono solo persone fisiche. I terzi in questione sono subdoli e non palesi, sono una cultura millenaria e il dibattersi tra due società assolutamente differenti. La scelta dolorosa tra il volere e il dovere. Qualcuno ha definito questa una scelta passiva ma i meccanismi sono tortuosi e complessi per poter essere compresa fino in fondo da un occidentale.
Il lui della storia ha un ruolo che sembra essere marginale, ma forse rappresenta molto di più. Come lo descriveresti ai nostri lettori?
Ma, come ho già detto, non credo sia marginale. Forse marginalmente è stato descritto nelle prime pagine del libro, ma senza questo lui nulla sarebbe stato uguale. Un lui che possiede un lato solare e gioioso che comunque mal bilancia un peso insopportabile a cui sottostare e di cui tacere per molto tempo, essenzialmente perché egli stesso cerca di eluderlo. Non un voler nascondere ma il provare, forse in maniera inconscia, a vivere una vita “normale” lontana da imposizioni culturali. Forse la rappresentazione di molti ragazzi immigrati nella nostra Europa che oggi si trovano in una sorta di limbo di appartenenza.
Qual è il messaggio che hai voluto trasmettere con questa storia?
Forse più che un messaggio è stata una condivisione. Mi hanno scritto in molti dicendomi di essersi riconosciuti nei pensieri e nelle emozioni che la protagonista racconta a se stessa prima di tutto.
Forse per meglio comprenderlo questo lungo flusso di coscienza è necessario, in qualche maniera, aver vissuto un sentimento simile perché mi rendo conto che certo non è di facile comprensione per chi ha visto e vissuto nell’amore solo gioia e piccoli incomprensioni… ma qui ci addentriamo su un terreno scivoloso, fermiamoci. Proprio stamattina leggevo un articolo di Galimberti sull’argomento che mi ha convinta ancora di più della necessità di un vissuto simile per ben condividere e capire.
Le descrizioni delle emozioni provate sono molto profonde. La storia è stata scritta dopo aver superato la fase della sofferenza o durante?
Assolutamente durante. Ogni sensazione, ogni pensiero è stato scritto e descritto nel momento in cui è stato provato perché, come ho detto precedentemente, è stata una sorta di terapia del dolore. Con il mio agente abbiamo solo assemblato i pezzi, che in realtà avevano già una loro sequenzialità.
Se dovessi scrivere un altro libro (come ci auguriamo), cambieresti tema? Affronteresti argomenti un po’ meno personali?
Non so, a me piace molto scavare dentro l’animo umano, il tema forse lo cambierei e forse no, dipende anche da quello che la vita proporrà sul mio cammino ma sicuramente l’introspezione, il mostrare ciò che spesso molti tendono a tenere celato per pudicizia, per vergogna o perché semplicemente non trovano una maniera adeguata e semplice per mostrarlo, ecco questo modo di raccontare lo sento mio. Il personale diventa poi generale quando scopriamo che non siamo gli unici detentori di alcuni sentimenti. Diventa così anche una consolazione la consapevolezza della condivisione.
Quale consiglio daresti ai nostri lettori nell’approcciarsi a Bellanima?
Bellanima ha una sorta di evoluzione interna per cui necessita di curiosità e consapevolezza. La prima parte è leggera, quasi superficiale nel ricordo, la seconda profonda e dolorosa, per cui bisogna avere la giusta dose di curiosità per indagare il vero e la consapevolezza che
amore non è una cosa tranquilla non è delicatezza, confidenza e conforto (…) Amore è violazione dell’integrità degli individui, è toccare con mano i limiti dell’uomo
Questo è il Galiberti a cui facevo riferimento prima e descrive alla perfezione il senso di Bellanima.
Ringraziamo di vero cuore Luciana Cerreta per essersi aperta a noi. La sua profondità e intensità – siamo certi – saranno uno stimolo in più per i nostri lettori nella lettura dell’altrettanto profondo e intenso “Bellanima”.
Leggere mi stimola e mi riempie. L’ho sempre fatto, fin da piccola. Prediligo i classici, i romanzi storici, quelli ambientati in altre epoche e culture. Spero di riuscire a condividere con voi almeno parte dell’impatto che ha su di me tutto questo magico universo.