Buongiorno cari lettori, bentornati nel nostro angolo delle interviste. Oggi con noi Luca Luchesi! Ecco a voi l’intervista…
Benvenuto Luca, è un piacere averla ospite qui nel nostro blog. Qualche giorno fa abbiamo letto la recensione del suo “L’ultimo nemico – Una storia di un futuro presente”, a cura della nostra Nadia con cui abbiam preparato per lei alcune domande.
Quindi diamo inizio a quest’intervista…
Com’è nata la sua passione per la scrittura e la lettura?
La lettura è innata, mi ricordo che sin da piccolissimo la mia babysitter (allora si chiamava la tata) mi guardava e con la sua cantilena veneta si rivolgeva a mia mamma dicendo “signora, ma Luca legge anche la carta del formaggio!”. Quella della scrittura invece è molto più recente, direi che è cominciata con un riassunto di un saggio ponderoso di Kojeve sulla Fenomenologia, l’unico libro in cui ho capito cosa pensasse davvero Hegel, pubblicato in self-publishing su Amazon. Ogni tanto qualcuno lo compra, forse studenti alla ricerca di bigini, da allora ho continuato con altri saggi a sfondo antropologico fino poi a tentare la prova del romanzo.
Oltre alla scrittura e alla lettura ha altre passioni?
A cadenza più o meno decennale mi faccio coinvolgere in qualche causa politica senza alcuna possibilità di successo, l’ultima volta è stato nel 2013 con Fermare il Declino, vista la situazione odierna il fallimento è acclarato ed evidente. Date le circostanze, la prossima potrebbe chiamarsi “Almeno non continuate a scavare” oppure “Non fate l’onda”. Facezie a parte ma non troppo, credo che nei prossimi mesi la promozione del libro mi occuperà gran parte del tempo libero.
Come mai si è rivolto prima ai lettori inglesi?
Questo è dovuto all’esordio con la saggistica. Scrivendo il bigino del saggio di Kojeve, mi accorsi che in italiano tendevo a produrre frasi arzigogolate e alla fine incomprensibili, problema risolto alla radice passando all’arido, ma sicuramente più sintetico e comprensibile inglese da email di lavoro. A questo punto, mi abituai a scrivere i saggi prima in inglese e poi a tradurli in italiano, per sorvolare poi sugli ovvi benefici dell’allargamento del pubblico. Per il romanzo ho seguito lo stesso metodo, ma con due variazioni importanti. La prima, nella stesura in inglese, ho rivisto tutte le bozze con l’aiuto di una ragazza madrelingua, ed è stato un ottimo esercizio di ripasso dell’inglese, non solo grammaticale. Ad esempio, in una scena ambientata in America, facevo terminare il pranzo con un caffè. Errore, errorissimo! In quel tipo di locale, mi fece notare il mio correttore, a fine pasto si chiede un liquore o del vino. Poi, nella traduzione italiana, mi sono evidentemente preso molta più libertà, potendo espandere notevolmente il campo di utilizzo di espressioni e sfumature che in inglese restava giocoforza limitato.
Quando è nata l’idea di scrivere l’ultimo nemico? è stato inspirato da qualche film?
Comincio dalla fine, nessun film, ma moltissima letteratura di genere e non. Se devo nominare dei modelli, allora ci metto Tom Clancy e Frederick Forsyth per il ruolo della tecnologia e l’organizzazione degli intrighi. Per l’innervatura filosofica, sicuramente René Girard, e ho sempre avuto in mente Joseph Roth e Bruce Marshall per la leggerezza, quasi la tenerezza, con cui trattano i loro personaggi. Il supremo omaggio letterario, cioè il furto, l’ho dedicato a Roberto Calasso, prendendo a prestito da una delle sue prime opere il nome del supercattivo dell’ultima parte del romanzo, Farlimas. Sono sicuro che non me ne vorrà. Veniamo ora al quando. Intorno al 2015, quando i miei saggi hanno passato la soglia del migliaio di download pagati, ho iniziato a pensare al romanzo. Poi un mio collega è uscito con la sua opera seconda, un giallo storico, presso Lettere Animate, e a quel punto la spinta dell’imitazione è stata irresistibile. Se ce l’ha fatta lui, perché non io? Mi ci è voluta qualche settimana di meditazione sull’A4, lungo il percorso casa-lavoro, per mettere assieme la struttura fondamentale dell’opera, e nei tre anni successivi la stesura vera e propria, sfruttando tempi liberi e tempi morti nei viaggi di lavoro.
Pensa sia possibile ipotizzare davvero l’esistenza di un farmaco dell’immortalità?
Magari non un’esistenza immediata, ma la vedo del tutto possibile nel prossimo futuro, diciamo un orizzonte di 20 o 30 anni. Google sta investendo miliardi di dollari in una compagnia apposita, la Calico, focalizzata in termini anodini nello studio dell’invecchiamento, ma si capisce benissimo che Larry Page e soci puntano al bersaglio grosso, all’immortalità. Da ingegnere, ho il dubbio che sia forse un obiettivo incompatibile con il secondo principio della termodinamica, ma a parte questo non vedo ostacoli.
Ha mai visitato qualcuno dei luoghi citati nel romanzo?
Tutti quanti. Da Rio a Gerusalemme, da Mosca ad Abidjan, Il romanzo è stato anche un pretesto per rievocare memorie e trasfigurare episodi e luoghi che ho attraversato nella mia vita, la maggior parte per motivi professionali e solo in minima parte per turismo. Da questo punto di vista sono un autore con poca fantasia, ho bisogno di una solida cognizione ed esperienza delle circostanze per far decollare la finzione.
Molti studiosi ipotizzano che nel 2045 il mondo come lo conosciamo non esisterà più a causa del progredire dell’intelligenza artificiale, lei vede tanto progresso come un nemico? o come un alleato con cui possiamo imparare a convivere?
Potremmo applicare lo stesso ragionamento agli ultimi trent’anni, oggi il mondo non è più quello del 1988 grazie a Internet e alle telecomunicazioni mobili. Ma noi siamo sempre gli stessi. L’intelligenza artificiale non cambierà l’equazione, solo aumenteranno ancora una volta le possibilità di evoluzione in tutte le direzioni, quelle buone e quelle cattive. Qualcuno dei cantori di Internet nel 1988 avrebbe mai pensato che i social avrebbero portato ad un aumento delle persone che credono all’inutilità dei vaccini e alla piattezza della Terra? Eppure è successo. Ma aumentando la potenza, aumenteranno inevitabilmente i danni dovuti al suo abuso. Insomma, vivremo sicuramente una prospettiva sempre più apocalittica, in forme che non possiamo ancora probabilmente immaginare.
Provi a convincere il lettore ad acquistare i suoi libri…
E’ una storia avvincente, per ritmo, situazioni e colpi di scena. Ma non è solo un thriller, trascina il lettore a pensare a se stesso e al mondo che lo circonda, evocando fatti reali e ipotizzando situazioni future estreme ma possibili. Sono molto fiero di aver ricevuto alcuni dei commenti più belli e mirati da delle donne, prova che non è il tipico thriller tecnologico pensato per un pubblico di videogiocatori compulsivi.
Un accenno al suo prossimo progetto…
Devo ammettere che sto pensando al sequel, non per niente ho lasciato che alcuni personaggi-chiave sopravvivessero alla catastrofe finale. I tempi di stesura dipenderanno molto dalla risposta del pubblico, per cui potrebbero volerci da uno a vent’anni, ma credo proprio che, come il Don Chisciotte, ne vedremo un seguito. E poi devo trovare un modo per inserirci Parigi, la mia prima patria professionale, che ne “L’ultimo nemico” ha un cameo relativamente piccolo.
La ringraziamo per esser stato qui con noi e a tutti voi diamo appuntamento al prossimo appuntamento con l’angolo delle interviste.
Trentenne in cerca della sua strada nel mondo. Amo leggere e perdermi tra le pagine di un libro, viaggiare con la mente in posti che non conosco, vivendo un’infinità di vite e storie. Girovagando sul web, sono inciampata ne “La Bottega dei libri”, un piccolo grande ritrovo per gli amanti della lettura come me. Quindi eccomi qui a scrivere e condividere con voi questa passione…
Un Superman