
Thriller
Fazi Editore
7 novembre 2023
cartace, ebook
312
Jonathan Touvier, ex alpinista cinquantenne, si risveglia intontito e non sa dove si trova. Attorno a lui soltanto buio, umidità, freddo. È finito in fondo a una grotta e non ha idea di come sia successo.
Non è solo. Insieme a lui ci sono il suo fedele cane Pokhara e due sconosciuti: Farid, giovane di origini maghrebine, e Michel, uomo di mezza età che lavora in un macello. Jonathan è incatenato al polso, Farid alla caviglia; Michel è libero, ma la sua testa è coperta da una spaventosa maschera di ferro, che esploderà se si allontana dagli altri due.
Sulla schiena hanno tre biglietti con altrettante domande: «Chi sarà il ladro?», «Chi sarà il bugiardo?», «Chi sarà l’omicida?». Qualcuno sta giocando con loro, e ha tessuto con cura una ragnatela inestricabile per intrappolarli. Chi è? E perché l’ha fatto?
Ben presto, però, la domanda più urgente diventerà un’altra: fino a che punto si può arrivare per non soccombere in una situazione così estrema?
Se la natura può rivelarsi un’assassina spietata, l’uomo può trasformarsi in un predatore senza scrupoli: tra menzogne e mezze verità, scatta una disperata lotta per la sopravvivenza, da affrontare con ogni mezzo e strategia possibile.
Oggi partecipiamo al blog tour promosso dalla casa editrice Fazi Editore sul nuovo romanzo di Franck Thilliez, “Vertigine”.
“Prendo il libro, con un nodo alla gola, e raggiungo la pagina segnata da un’orecchia. C’è un passaggio sottolineato in rosso: racconta il momento in cui abbiamo condiviso un’arancia e festeggiato il compleanno di Michel, tutti e tre insieme. Nel preciso istante in cui Michel si colpiva con il pugno la maschera di ferro, producendo uno strano rumore che non ho mai scordato.
«La follia non suona così vuota. Trattenetelo nella memoria questo rumore metallico. Finché riuscirete a sentirlo, saprete di non essere pazzi». Sfogliando le pagine, mi cade una Polaroid sulle ginocchia. La raccolgo con delicatezza. Ha un foro sul bordo. Ricordo che l’avevamo appesa per costruire il nostro acchiappasogni.
Sullo scatto, ci siamo io, Michel e Farid, seduti in fondo alla tenda. La mano di Farid è diretta verso l’obiettivo, io sto assaporando il mio spicchio d’arancia e Michel è lì fermo, in mezzo a noi due. Finalmente ho la prova che non sono pazzo”
Leggere un romanzo di Thillez è un’esperienza unica. È come entrare in un vortice di emozioni, di suspense, attratti dai più profondi misteri e forze della mente umana, in un caleidoscopio di elementi che, alla fine, creano una verità inconfessabile.
Il nuovo romanzo, “Vertigine“, non è certo da meno. Costruito con estrema abilità, puntando esclusivamente sullo sviluppo dell’animo e dei pensieri delle figure che emergono dalla vicenda, in particolare del protagonista Jonathan Trouvier, ogni piccolo elemento si coagula nel finale rivelando la più profonda inconfessabile verità.
Il protagonista emerge nei suoi tratti caratteristici dalla relazione che instaura con gli altri due personaggi, che animano le pagine del romanzo, Michel Marquis e Farid Houmad, i due prigionieri che condivideranno con lui questa spaventosa esperienza. Per Jonathan si tratta di una vera e propria discesa negli inferi del suo animo, che risulterà alla fine tormentato e malato.
“Mi hai spesso chiesto cos’era che mi spingeva a scalare le montagne. Sai, le grandi difficoltà permettono di nascondere le più piccole. Tutti quanti affrontiamo il nostro Everest a un certo punto della vita.
Una madre che mette al mondo un bambino, una giovane coppia che stringe la cinghia per comprare casa… Non c’è un compito più facile di un altro.
Costruire la propria vita nella verticalità, come ho fatto io, era solo un modo per fuggire dal calvario che mi ha soffocato per tutta l’adolescenza, e mi ha dato la speranza che dentro di me potesse cambiare qualcosa. La prossima volta, ti racconterò finalmente la verità sul mio passato, ma stavolta lo farò a voce” – Vertigine
Il gioco di specchi che si crea tra le azioni dei tre protagonisti è, in realtà solo quanto Jonathan voglia comunicare di se stesso. Non sappiamo, infatti, nel nostro ruolo di lettori, quali siano i pensieri più intimi di Michel e di Farid, ma sappiamo esattamente come Jonathan reagisce alla situazione, alle loro azioni, ai loro segreti, grazie alla scelta dell’autore di utilizzare come voce narrante proprio quella di Jonathan. E non potrebbe essere diversamente. Il mistero di “Vertigine” – senza voler spoilerare troppo – è nascosto proprio da e in Jonathan.
Allo stesso tempo, però, forse perché fuorviati dalla presenza di Michel e di Farid e dalla situazione terrificante in cui si muovono, alcuni particolari fondamentali della verità si perdono, si confondono, creando quella magia che solo Thilliez riesce a creare.
Se nel finale abbiamo un cadavere a cui mancano parti del corpo e un cane scuoiato, per giungere alla verità abbiamo bisogno di sentirla raccontare dal poliziotto incaricato delle indagini, anche se in realtà Jonathan l’aveva già svelata. Non c’è stato alcun depistaggio narrativo. Tutto è sempre stato lì, ma noi non ce ne siamo accorti.
È sicuramente questo ciò che rende affascinante il racconto di questo maestro del genere. Cogliere di sorpresa il lettore, accompagnandolo nel percorso che porterà alla piena comprensione non solo dei fatti, ma anche di come lavora la mente di un uomo, modellato dal proprio passato e dalle azioni da lui compiute.
Il mistero di “Vertigine”
Come detto, è la voce di Jonathan a portarci nelle spire del racconto (che poi scopriamo essere anche riportato nel romanzo “Darkness”, che il protagonista ha scritto successivamente agli eventi). Racconto che inizia nel momento in cui si risveglia con un polso incatenato a una lunga catena dalle grosse maglie. Probabilmente è stato drogato. Jonathan non ricorda altro se non di essere andato a dormire la sera del 25 febbraio 2010 nella sua casa di Annency, dopo una visita in ospedale a sua moglie, ricoverata per una terribile forma di leucemia.
Jonathan è al buio, sente freddo e il costante sibilo del vento lo porta a rendersi conto di essere intrappolato in un luogo ostile, estremo, coricato dentro ad una tenda. Un senso di panico sembra prendere il sopravvento, ma Jonathan è un cinquantenne pragmatico, dalla lunga esperienza di alpinista, che ha scalato le vette più alte del pianeta. Inizia, infatti, a razionalizzare e analizzare la situazione.
Nessun rumore, nessuna luce, in un luogo claustrofobico, in condizioni estreme non sono elementi sufficienti a paralizzarlo. Scopre di avere degli oggetti accanto a sé. Un casco con un tubo allacciato ad una bombola (un fotoforo da speleologo), degli asciugamani, dei guanti, oggetti che gli permettono di mantenere una straordinaria lucidità nei primi momenti di questa incredibile e allucinante prigionia. Qualcuno ha voluto fargli del male, imprigionarlo, ma gli ha lasciato accanto il suo cane Pokhare, il cane lupo cecoslovacco a cui è particolarmente legato e che considera “il ricordo di dieci anni della mia vita”.
Scopre nell’antro in cui è piantata la tenda che, insieme a lui, ci sono anche due altre persone. Michel Marquis, la cui testa è chiusa in una maschera di ferro, e il giovane Farid Houmad che, come lui, ha una catena al polso.
I personaggi e il mistero
Tutti e tre sembrano vivere un episodio surreale, un vero e proprio incubo. Ognuno porta attaccato alla giacca un foglio con un messaggio, frasi sibilline che creano un effetto destabilizzante: “chi sarà il ladro?” sulla giacca di Michel; “chi sarà il bugiardo?” su quella di Jonathan; “chi sarà l’omicida?” su quella di Farid.
Sembrano domande che hanno la funzione di creare scompiglio tra i tre. In realtà, sono la chiave del mistero, come lo sono gli oggetti che i tre hanno a disposizione. Un giradischi, con due dischi “Uccelli in giardino – 24 canti” e “What a wonderful world”, un forziere chiuso da un lucchetto, una macchina polaroid con solo uno scatto e un termometro auricolare.
Nella tenda sperimentano le condizioni di prigionia, ma anche la rarefatta atmosfera di chi si trova in quota, prima di raggiungere la cima di una montagna. Un luogo inospitale, che, solo grazie alla torcia a loro disposizione, risulta essere circoscritto da pareti di ghiaccio, con una unica galleria (che solo Michel può percorrere, mentre gli altri due, incatenati, non possono superare una linea rossa segnata sul pavimento di pietra), un condotto percorso da forti correnti ascensionali e un pozzo buio che sembra attirare verso il basso chi vi si sporge.
L’ambiente in cui si muovono i tre non viene descritto solo con semplici parole, bensì diventa reale attraverso le sensazioni che prova Jonathan, il quale fa da cassa di risonanza anche per quelle degli altri due. Il freddo, il buio, le correnti d’aria sono descritti non solo per come sono percepiti con i sensi, bensì con l’impatto che hanno sull’animo dei personaggi. Una situazione ignota, spaventosa, in una continua lotta per la sopravvivenza contro un’entità malvagia, che è difficile identificare e che sembra aver studiato tutto nei minimi particolari.
Il personaggio di Jonathan
Forte delle esperienze della sua vita, Jonathan diventa il motore di tutte le azioni, mentre Michel e Farid, nel loro tentativo di ritagliarsi lo spazio per far sentire la loro personalità, si scontrano con la tenacia e determinazione del protagonista.
È proprio nell’incontro/scontro di queste tre personalità che emerge il passato di Jonathan e, quindi, le idiosincrasie più intime del suo animo. Costretto da un padre severo a sopprimere la sua bisessualità, ribellandosi alla famiglia, rifugiandosi in attività che lo portano al limite della resistenza fisica e della mente, come la speleologia e poi l’alpinismo, Jonathan ha trovato la sua ancora di salvezza nell’affrontare le cime più impervie con il suo amico fraterno Max Berk, rimanendo quasi soggiogato dalla carica di vitalità di questi. Ma nel rapporto tra i due amici, si sono create delle inevitabili zone d’ombra quando Jonathan scopre di essersi perdutamente innamorato della fidanzata di Max.
«Max Beck è morto dopo un bivacco sul Siula Grande, nella cordigliera delle Ande, nel 1991. Io avevo trentun anni. Il Siula Grande è… è un vero e proprio inferno verticale, per colpa dei… degli ice-flute… un’architettura di ghiaccio e neve polverosa che solo le montagne peruviane sanno forgiare» – Vertigine
Dopo l’incidente, occorso durante la scalata del Siula Grande, in cui Max perde la vita cadendo in un crepaccio, l’esistenza di Jonathan cambia. In un momento difficile per entrambi, infatti, Jonathan sposa Françoise, iniziando un nuovo percorso con una figlia, una bella casa, un lavoro di giornalista per una rivista di sport estremi.
Ma il destino ha in serbo ancora altre prove: Françoise è malata. La leucemia sembra averla vinta e l’unica possibilità per lei è un trapianto di midollo. La figlia Claire è una giovane donna, che studia e vive all’estero, e Jonathan, nell’antro buio e malsano che condivide con Michel e Farid, cerca di non cedere alla disperazione del suo presente.
Pezzo per pezzo, Jonathan ricostruisce i momenti salienti del suo passato, rivivendo e condividendo con i suoi compagni di prigionia, i momenti più difficili della sua esistenza. Ed è proprio tra le pieghe del racconto di Jonathan che emerge anche il perché Michel e Farid sono lì con lui.
Di entrambi, in tutta la narrazione, sapremo poco. Solo l’essenziale, che non sempre è sufficiente per riuscire ad inquadrare il loro ruolo nella vicenda. Michel ha 47 anni, è sposato e si occupa della macellazione di maiali. Aveva un figlio, che la leucemia gli ha portato via. Ed è proprio per lenire il dolore che lo lacera, che ha deciso di donare il midollo per salvare altre vite. Si scopre così che è lui il donatore che avrebbe dovuto salvare Françoise, mentre il giovane e bel Farid, un ragazzo maghrebino sbandato e violento, è legato a Jonathan perché è stato uno degli autori del pestaggio del cane Pokhara, un atto di violenza che Jonathan non aveva saputo fermare.
Il legame tra i tre è, dunque, molto sottile e particolare, ma quale è l’intento dell’artefice di tutto questo?
Lo si scopre alla fine, quando tutti gli elementi si incastrano rapidamente e tutto diventa molto chiaro.
Jonathan ha una personalità complessa, è introspettivo, ha una capacità particolare di comunicare. Non per nulla, ad un certo punto, prendendo spunto da Robinson Crusoe, che aveva chiamato la sua isola Disperazione, decide di dare un nome all’antro in cui è rinchiuso. E questo nome è Verità. Non è un caso. La verità, infatti, è tutta lì, racchiusa negli angoli più bui e tetri dell’ animo del protagonista.
“Si trattava dunque di questo… Max ha sofferto con me per poter accedere a ogni mio pensiero, scavare nel mio intimo, nella mia vita. Per spingermi ai limiti della sopravvivenza, là dove cede qualunque barriera fisica e mentale, con un unico obiettivo: portare a galla la verità sepolta nel profondo della mia anima” – Vertigine