horror
Fazi Editore
2 maggio 2023
cartaceo, ebook
360
Lewis, Gabe, Ricky e Cassidy sono quattro giovani indiani cresciuti insieme in una riserva ai confini col Canada. Il legame che li univa si è spezzato quando Ricky è morto all’improvviso: una rissa fra ubriachi, secondo la versione ufficiale. Ma è davvero andata così?
Sono passati ormai dieci anni, i ragazzi sono diventati uomini e si sono più o meno integrati nella società bianca, lasciandosi alle spalle gli eccessi di gioventù ma anche un fardello con il quale non hanno mai fatto davvero i conti: le regole e le tradizioni della riserva. Il ricordo dell’amico scomparso, però, non li ha mai abbandonati. Con esso, torna prepotentemente a turbare le loro coscienze un episodio del passato che li ha segnati, mettendo fine per sempre alla loro innocenza: una battuta di caccia finita male.
Una storia difficile da dimenticare, che oggi torna a perseguitarli. È Lewis il primo ad accorgersi di una presenza inquietante in casa sua, e a questo punto ognuno di loro inizia ad avere paura, per sé e per i propri cari...
“Gli unici indiani buoni” di Stephen Graham Jones, edito Fazi Editore, è un romanzo horror che nulla ha da invidiare alle maggiori produzioni del genere, uscite dalla penna di autori del calibro di Stephen King. La narrazione è limpida, scorrevole, quasi cinematografica, tanto da tenere impegnato il lettore in un continuo saliscendi di certezze e paure, di mistero e di terrore. L’effetto, di certo, è dovuto alla maestria dell’autore nel creare personaggi insoliti, quattro indiani dei nostri giorni, ma anche alla decisione di collocare la vicenda in un particolare ambiente, quello di una riserva indiana.
Vicende, personaggi e ambientazione, combinati assieme, non sono il mix perfetto per una storia di questo genere, ma permettono anche una lettura più profonda. Il mistero altro non è che un velo dietro al quale si palesa una visione sul disagio dei nativi americani, confinati nelle riserve ed intrappolati tra credenze e usanze degli avi da una parte, e la civiltà occidentale moderna, dall’altra.
“Ce l’avevano quasi fatta quell’ultimo Ringraziamento. Lui, Gabe, Lewis e Cass ne avevano tutte le intenzioni. Per una volta sarebbero stati anche loro quel tipo di indiani; avrebbero mostrato a tutta Browning come si faceva… ma poi era arrivata la neve grossa ed era andato praticamente tutto a catafascio”
Forse più che in altri generi, è proprio nel racconto horror che si evidenza maggiormente il costo della rottura con la tradizione. Un costo in termini di vite umane e che, forse, le nuove generazioni, più integrate nei meccanismi della modernità, riusciranno a saldare.
La vicenda non sarebbe certamente la stessa se i quattro personaggi non fossero il prodotto della vita nella riserva dei Piedi Neri, a sud del confine tra il Montana ed il Canada. Una riserva che è descritta come “una merda, una noia, un nulla” da chi ci vive, ma che rappresenta anche il paesaggio sacro e il luogo di incontri tribali (i “powwow”), di un ampio territorio, circondato dal Glacier National Park.
In questi luoghi reali e geograficamente distinguibili, di boschi e di laghi, di avvallamenti e scarpate, dove il sacro monte Chief Mountain, immancabile sagoma indistinta all’orizzonte nordoccidentale, sorveglia “tutti quegli idioti di Piedi Neri”; in luoghi popolati da animali selvatici come alci, orsi, cervi e soprattutto dai wapiti, animali quasi totemici ed elemento clou della vicenda, si esemplifica il collegamento tra i nativi e la Natura e si avverte l’atmosfera creata dalla rottura tra il mondo della propria tradizione e quello estraneo della modernità.
Se la maggior parte della popolazione vive a Browning, dove ci sono le scuole e le palestre dove i ragazzi e le ragazze giocano a basket, l’inquietante vicenda si sviluppa e si concentra in tre luoghi che sono le coordinate della geografia del romanzo. La riserva di caccia riservata agli anziani, la casa di Lewis e la capanna del sudore, costruita da Cass vicino al suo camper stanziale.
L’antefatto che dà avvio alla catena di eventi e strane apparizioni è lo scenario dove i quattro amici dai tempi dell’infanzia, Ricky, Lewis, Gabe e Cass, si sono resi protagonisti di una particolare battuta di caccia in un sabato antecedente la festa del Ringraziamento di dieci anni prima. Spinti dalla noia e dalla necessità di esternare la loro appartenenza al mondo indiano, “Che sensazione si prova a procurare la carne all’intera tribù?” si chiede, infatti, Ricky, si imbattono in un nutrito gruppo di wapiti, vicino al Duck Lake, nel territorio di caccia preservato per gli anziani della tribù.
“Non che l’accesso alla zona degli anziani fosse completamente vietato, ma soltato gli anziani – più uno e soltanto uno – potevano usare i pick-up per entrare e uscire. Chi era più giovane doveva farsela a piedi, cioè almeno due ore di cammino (…) “Gli anziani non sono gli unici con i frigoriferi vuoti” disse Cass con un’esplicita alzata di spalle” – Gli unici indiani buoni
Con frenesia e sconsideratezza (cacciare in territorio proibito equivale a un vero e proprio realto), i quattro si lanciano nella caccia a bordo di un vecchio pick-up. E, come antichi indiani guerrieri, iniziano a sparare ai capi di bestiame. Forse perché hanno infranto una regola della tribù; forse perché le condizioni atmosferiche sono proibitive, fa freddo e nevica abbondantemente, i personaggi, ma anche il lettore, percepiscono che il luogo racchiude un mistero ancestrale, quasi fosse infestato dagli spiriti.
I momenti della caccia si stagliano nitidi, come immagini che vivono di luce riflessa, dove i colori, il bianco della neve e il rosso del sangue, rendono la bravata un atto che ha in sé il germe di qualcosa di nefasto.
“Nella vuota sordità che seguì, i quattro rimasero su quella sporgenza di roccia, con la neve che scendeva lamentosa e stridula, il cielo scuro quasi addosso. E Gabe – che aveva sempre gli occhi migliori – contò nove corpi enormi laggiù nella neve, ciascuno probabilmente intorno ai due quintali”
È da quella bravata che le cose cominciano a cambiare per i quattro indiani. Ricky se ne vuole andare dalla riserva. Nel suo viaggio verso il North Dakota, trova la morte vicino ad un parcheggio di un bar, in un campo d’erba gelata. Anche Lewis, il più sensibile dei quattro, ha sentito la necessità di andarsene, spinto anche dal senso di colpa che lo tormenta per quella sciagurata bravata che i quattro chiamano il “Classico del Ringraziamento”.
Lewis ha lasciato la riserva e si è trasferito con la moglie Petra, una donna bianca, in una casa di un sobborgo di Great Falls, il cui giardino sul retro è limitato dai binari del treno che sfreccia con gran rumore due volte al giorno. Nonostante il lavoro di Lewis all’ufficio postale e quello di Petra in aeroporto, i soldi non sono tanti e i due si accontentano di questa casa incolore, e un po’ misteriosa, con l’impianto di illuminazione difettoso.
Alle pareti, Lewis ha appeso gli oggetti tradizionali della sua tribù. Ma, nonostante questo, l’ambiente domestico non trasmette al lettore quel senso di appartenenza e di sicurezza che ci si aspetterebbe. Tutt’altro. È una casa che Lewis sente non sia protettiva nei suoi confronti, tanto che ad un certo punto ritiene sia infestata. È questo, infatti, il luogo dove si svolgerà una delle scene più cruente del libro. E dove il lettore inizierà a capire con cosa si stanno confrontando i personaggi.
Il terzo ambiente, che ha una valenza importante per lo svolgersi della vicenda, è la capanna del sudore. Gabe e Cass, gli ultimi due amici rimasti, non si sono spostati dalla riserva. Vivono ai margini, di espedienti ai confini della legalità, cercando di raggranellare un po’ di soldi. Cass convive con un’indiana Crow, mentre Gabe è il padre di Denorah, la promessa del basket del liceo locale. I due si ritrovano, dunque, ancora insieme, questa volta per un rituale tipico della tradizione dei Piedi Neri. Rinchiudersi in una capanna, nudi, mentre viene versata dell’acqua su pietre roventi e, nel calore generato, ricordare e commemorare le persone trapassate.
È sul terreno vicino al camper di Cass che viene costruita la capanna, in un paesaggio che sarà lo scenario di uno dei momenti più “oscuri” del romanzo.
“Per chilometri intorno c’è solo erba gialla e neve incrostata. E, negli avvallamenti delle colline dove arrivano i semi spinti dal vento e scorre l’acqua, grappoli di alberi. L’unica cosa che distingue quel panorama da un paesaggio dell’Ottocento o di tutti i secoli precedenti sono i pali della luce che portano il collegamento elettrico al camper”
Sarà proprio qui che avverrà l’altro misterioso e granguignolesco massacro, in una notte buia e fredda; quasi a voler simboleggiare che chi viola le regole della tradizione sarà, poi, vittima di una tremenda vendetta. Vendetta che trova il suo apice in una strana ed inquietante partita di basket a due, quando la giovane figlia di Gabe dovrà affrontare le colpe dei padri e raggiungere il luogo da cui tutto ha avuto origine.
“Guarda alle sue spalle – niente la richiama indietro – e fa un passo avanti con cautela, per risolvere quell’ultimo grande mistero indiano.”
Notti gelide e buie, luoghi avvolti da atmosfere misteriose; pick-up sgangherati su strade sterrate che fendono foreste secolari; treni che sfrecciano veloci alla periferia dei sobborghi su binari, che sembrano allontanare la civiltà indiana verso una modernità che non porta benessere ai nativi, sono alcune delle immagini simbolo che rimangono impresse nella memoria del lettore in un romanzo in cui gli spiriti de “Gli unici indiani buoni” sembrano “chiudere il cerchio tutto indiano” della storia.