
Autobiografia
La nave di Teseo
27 settembre 2018
Ebook/cartaceo
180
Marocco, marzo 1965: novantaquattro studenti, colpevoli di aver manifestato pacificamente nelle strade a Casablanca e Rabat, vengono puniti dal governo del re Hassan II. La forma di prigionia loro imposta è subdola, ma non per questo meno violenta: una mattina tutti i ragazzi ricevono nelle loro case un obbligo di comparizione in caserma per prestare servizio militare e da quel giorno ha inizio una reclusione che durerà per diciannove mesi. I ragazzi vengono mandati in luoghi isolati, lontani dalle loro famiglie e da chiunque potrebbe aiutarli, sono continuamente sottoposti a maltrattamenti e umiliazioni, obbligati a compiere esercizi militari gratuiti e pericolosi, sono denutriti, vessati e sfruttati quasi fino alla morte, senza mai ricevere alcuna spiegazione, senza mai riuscire a sapere la ragione del destino loro imposto. Tra i novantaquattro studenti sottoposti a questa barbarie c’era anche Tahar Ben Jelloun, che per riconquistare la sua piena libertà, come molti altri, dovrà in realtà aspettare diversi anni: il colpo di stato del 1971. Per poter tornare con la mente a quei ricordi c’è voluto molto di più: cinquant’anni per riuscire a raccontare la storia di quei lunghi giorni che hanno segnato per sempre la sua giovinezza, formando la sua coscienza e alimentando intimamente la sua vocazione di scrittore.
Vale la pena che un bambino impari piangendo quello che può imparare ridendo?
(Gianni Rodari)
Sembra portato e sfogliato dal chergui, il vento che soffia da est/sudest tipico del Marocco, questo racconto autobiografico di Tahar Ben Jelloun. E’ proprio del Marocco, e di una parte triste della sua storia, la repressione sociale di re Hassan II, che parlano queste pagine scritte letteralmente sulla pelle dell’autore e di altri novantatré ragazzi, colpevoli di aver manifestato pacificamente per le strade delle città principali della loro nazione. Raccontare se stessi, le proprie ferite fisiche e dell’anima, l’umiliazione patita per aver indossato la divisa di uno Stato che non si è condiviso, fa male: è come gettarci del sale sopra. Farlo dopo cinquant’anni, con il senno di poi, con qualche capello in bianco e qualche grammo di saggezza e maturità in più, è la stessa cosa. Ma il sale ora non brucia, serve per “conservare”, metter sotto sale, appunto, per consentire ai posteri di usufruire del sacrificio di quella carne lacerata; per avere memoria di quello che ci ha portato ad essere quello che oggi siamo. Storie di vita che sono state compresse dalla macina di una Storia più grande, che si è inevitabilmente macchiata con esse.

Tahar Ben Jelloun
Tahar Ben Jelloun è nato a Fès (Marocco) nel 1944, vive a Parigi. Poeta, romanziere e giornalista, ha vinto il Premio Goncourt nel 1987. È noto in Italia per i suoi numerosi libri, tra cui Creatura di sabbia (1987), L’amicizia (1994), Corrotto (1994), L’ultimo amore è sempre il primo? (1995), Nadia (1996), Il razzismo spiegato a mia figlia (1998), L’estrema solitudine (1999), L’albergo dei poveri (1999), La scuola o la scarpa (2000), Il libro del buio (2001, vincitore dell’International IMPAC Dublin Literary Award 2004), L’Islam spiegato ai nostri figli (2001, ripubblicato nel 2010 in una nuova edizione accresciuta), Jenin (2002), Amori stregati (2003), L’ultimo amico (2004), “La fatalità della bellezza”, in Notte senza fine. Amore, tradimento, incesto con Amin Maalouf e Hanif Kureishi (2004), Non capisco il mondo arabo (2006), Partire (2007), L’uomo che amava troppo le donne (2010), La rivoluzione dei gelsomini (2011), Fuoco (2012), L’ablazione (2014), È questo l’Islam che fa paura (2015), Racconti coranici (2015). Presso La nave di Teseo sono usciti Matrimonio di piacere (2016), Il terrorismo spiegato ai nostri figli (2017), la nuova edizione di Il razzismo spiegato a mia figlia (2018) ed è in corso di pubblicazione nei Delfini tutta la sua opera narrativa.
Cullata dalle pagine di un buon libro come dalle onde del mio amato Ionio, trascorro la maggior parte del mio tempo libero a creare nuovi mondi con le parole. Spesso la realtà può esser una prigione e l’arte una possibile via di fuga. La mia curiosità è senza fondo e mi ubriaco con nuovi stimoli, storie, emozioni, luoghi. Se non vi rispondo subito è perché sto sognando tra le nuvole un mondo migliore!