Thriller
66th and 2nd
7 novembre 2019
Cartaceo
760
“Casa di foglie. Un libro che si apre con le parole: “Questo non è per te”. Non male.”
Casa di foglie. Il libro introvabile di Mark Z. Danielewski. Stampato in Italia e subito sparito. In tanti ne hanno sentito parlare, in pochi sono riusciti a leggerlo. La storia editoriale – o, meglio, l’avventura – è ormai entrata nella leggenda, e ne servirebbe un resoconto a parte. Ormai averne una copia equivale a un trofeo (oltre che a una ricchezza). Per fortuna esistono le biblioteche.
Per inciso, il padre di Danielewski è Tad Danielewski, regista polacco sperimentale. E nel libro, per tutto il tempo, si nota. È come vedere un corto sperimentale su carta.
Il libro introvabile, il libro della letteratura ergodica. Ergodica? Ergodica, sì. Come l’I Ching o i libri di Queneau. Quella letteratura che chiede al lettore uno sforzo non solo a livello di contenuto, ma anche di forma. Il lettore deve sprofondare, sudare, soffocare, intrecciarsi e contorcersi. Deve scavare a mani nude il percorso e poi percorrerlo.
E se si è appassionati di letteratura sperimentale, surreale, folle e postmoderna, a questo punto non si può che essere curiosi.
Ma di che parla Casa di foglie?
Non a caso, di un film perduto e fatto circolare in copie clandestine. Il film è “The Navidson Record”. L’ha girato Will Navidson, un fotoreporter.
“Ognuna delle foto di Navidson rivela con quanta forza egli detestasse la distruzione nella vita umana e con quanta disperazione tentasse di conservarne la volatile bellezza”.
Navidson ha acquistato una casa, si è trasferito assieme alla moglie Karen e ai due figli. Ma un giorno si è accorto di un dettaglio sconvolgente. All’interno, la casa è più grande che all’esterno. E sembra non esserci spiegazione. Inizia così il suo terrificante documentario. Da un particolare che sembra insignificante si giunge all’horror psicologico. Il fotografo esplora e fa esplorare la casa come uno speleologo. Noi però non sentiamo il suo racconto. Noi stiamo leggendo il saggio scritto dal vecchio Zampanò, che ha dedicato la sua vita a scrivere del film di Navidson. Zampanò con i suoi piccoli occhi di ragno strizzati nell’oscurità della sua casa. Zampanò che somiglia a un Borges che ha letto di tutto e cita passi di libri a memoria. Ma non è finita a qui.
Troviamo note al testo che proseguono un’altra narrazione. Stavolta a parlare è Johnny Truant, un giovane che lavora presso un tatuatore e acquista la casa di Zampanò dopo la morte del vecchio. E trova i suoi fogli e i suoi appunti sparsi ovunque. Quella di Zampanò è una casa di foglie e di fogli.
Ognuno di loro viene risucchiato dagli incubi della stessa storia. Navidson. Zampanò che scrive. Truant che legge.
Tutti siamo nella casa. Tutti ne osserviamo i rumori e ne ascoltiamo il buio.
Ognuno di loro lentamente impazzisce. Ognuno di loro cerca “un avamposto di difesa contro la transitorietà del mondo”.
Lo spazio si fa umano. La casa respira.
La differenza tra vero e falso si fa sempre più sottile e inverosimile. “The Navidson record” è esistito davvero? È una storia vera? È, a tratti, uno snuff movie? È un falso documentario, un mockumentary? Uno scherzo, una follia?
E soprattutto: queste domande hanno più importanza?
Leggere Casa di foglie è come guardare INLAND EMPIRE di David Lynch e Adieu au langage di Godard. Contemporaneamente, però. Lascia storditi, spaventati e confusi. Eppure è una delle più interessanti esperienze letterarie che si possano provare.
Forse è un libro che va letto saltando e correndo da una parte all’altra. Ci si arrampica sull’orrore di testi in braille, frasi a testa in giù, quadrati di testo, spartiti musicali, periodi obliqui, linee, punti, figure, disegni, schizzi, fotografie, deliri, caratteri differenti, sottolineature e parole barrate. Note, sottonote, personaggi veri e inventati. È una specie di valzer grottesco.
È il traballante linguaggio dell’erotismo e dell’amore a mascherare il dolore e il vuoto. È l’arrivare a sperare che un mostro ci sia sul serio, da qualche parte, perché altrimenti si è soli davvero. Se un mostro non c’è significa che tutta quella paura è vera e inspiegata, è pragmatica, non è un qualcosa che si può allontanare lasciandola nella bolla consolatoria del surreale. È bello, avere un mostro da incolpare.
Altrimenti quella paura riguarda davvero ognuno di loro. Ognuno di noi.
Altrimenti vuol dire che i corridoi percorsi un migliaio di volte possono farsi all’improvviso più lunghi. Le ombre più scure. Le certezze crollare.
Le maschere sciogliersi rivelando il nostro volto di creature identiche e terrificanti.
Vuol dire che i nomi non serviranno più a salvarci.
“E allora inizieranno gli incubi”.
Mark Z. Danielewski è un autore americano noto per i suoi libri House of Leaves , Only Revolutions , The Fifty Year Sword , The Little Blue Kite e The Familiar.
Sono principalmente moglie e mamma di due splendide ragazze ed ho la passione per la musica ma soprattutto per la lettura. Leggo di tutto romanzi, saggi, storici, ma non leggo libri nè di fantascienza né di horror.